Chi vuol essere americano? Come entrare negli Usa…

Certo, ci sarà pure Barack Obama, ma gli Stati Uniti per noi altri saranno comunque più lontani. O quanto meno, più difficili da raggiungere: dal 12 gennaio per ottenere il visto affari o turismo di 90 giorni per recarsi negli Usa  bisognerà richiedere un’autorizzazione al viaggio via web. Il sito cui fare riferimento è quello della Esta. La cosa spassosissima sono le domande – disponibili anche in italiano – cui bisogna rispondere, versione web del celebre “questionario” già noto a chi è andato negli States. Curiosità: bisogna indicare la compagnia area con la quale si viaggia; c’è l’Alitalia, di Cai nessuna traccia. La sanno lunga, gli americani.

Insomma, ecco le domande.

A) Ha mai sofferto di malattie contagiose? Di disturbi fisici o mentali? Ha mai fatto abuso di droghe o è stato mai tossicodipendente?
B) È stato mai arrestato o condannato per aver commesso un’infrazione o un reato di depravazione morale, o per una violazione relativa a sostanze stupefacenti? È stato mai arrestato o condannato per due o più reati diversi, per i quali la durata dell’arresto totale è equivalsa a cinque o più anni? Oppure è stato mai coinvolto nel traffico di stupefacenti? Oppure sta cercando di entrare negli Stati Uniti per partecipare ad attività immorali o criminali?
C) È stato in passato, o è ora, coinvolto in attività di spionaggio o sabotaggio, o in azioni terroristiche? O in genocidio? Oppure, tra il 1933 e il 1945 è stato coinvolto, in alcun modo, nelle persecuzioni intraprese dalla Germania nazista o dai suoi alleati?
D) Sta cercando lavoro negli Stati Uniti? Oppure è stato mai escluso o deportato dagli Stati Uniti? Oppure è stato in passato rimosso dagli Stati Uniti o ha ottenuto, o cercato di ottenere, un visto o un ingresso negli Stati Uniti tramite frode o dichiarazione falsa?
E) Ha mai trattenuto o detenuto un minore, sottraendolo alla custodia di un cittadino statunitense al quale il bambino era stato affidato legalmente?

Il regalo di Giancarlo

Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985
«Della mia generazione ho potuto conoscere migliaia di persone perché per un bel po’ di anni quella gioventù, è uscita di casa e ha occupato vita e strada di questo Paese. Ha perlustrato in lungo e in largo la società che aveva intorno e ha potuto conoscere la società che lei stessa già costruiva. Se non ho amici tra i compagni di scuola, ne ho avuti in cambio migliaia dopo. Quindi non è per combinazione che ho conosciuto Giancarlo Siani, ma per l’immediata spinta a riconoscervi che avevano quelli che sono stati giovani negli anni ’70».
Erri De Luca, “Il cronista scalzo” 1996

L’anno scorso, per chiudere un cerchio che mi aveva portato da un nuovo lavoro alla cassa integrazione, mi fermai mezz’ora così, in piazza Leonardo al Vomero, dove uccisero Giancarlo Siani. Senza velleità d’alcun tipo. Solo per fissare bene nella memoria una piazza che fino ad allora avevo sempre percorso di sfuggita.
Nacque lì l’epilogo  di un libretto  sul giornalismo ai tempi del telelavoro che immeritatamente vinse proprio il “premio Siani” e che stranamente in dodici mesi non ho avuto il tempo  di  far pubblicare, pur nonostante qualche lusinghiero – e ancora stavolta immeritato – interessamento.  Con quello che è successo nei mesi a venire penso che ora potrei aggiungere un capitolo. O addirittura riscriverlo del tutto.
Eppure, anche quest’anno, in un mese abbastanza complesso, l’unica bella notizia è arrivata proprio quel 23 settembre, quella data così cupa, il giorno che ammazzarono Giancarlo.
Poi giorni passati immerso in un acquario e ieri, come spesso accade nella vita, è stata una cosa piccola piccola a ridestarmi da questa specie di trance.
In redazione (quella centrale a Cagliari) è arrivato un fax: è  di una ragazza napoletana di 18 anni i cui genitori lavorano entrambi in Alitalia. Lei ha pensato che era giusto prendere carta e penna e sintetizzare quello che papà e mamma forse dicono arrabbiati davanti ad una televisione, mentre guardano i loro colleghi in piazza o i soliti programmi di approfondimento sul caso.
Nel fax c’è scritto: «tra l’altro sono un’aspirante giornalista e ho sentito il bisogno di scrivere la mia». Il titolo dell’articolo è “Il futuro dei giovani nelle mani dei lavoratori Alitalia”.

E ho pensato che nient’altro è il senso di questo mestiere. È la 18enne liceale, arrabbiata, che dice di aver sentito “il bisogno” di scrivere. È Raffaella –  notoriamente timidissima – che prendendo la menzione assegnata quest’anno a “Santa Precaria” ha detto al direttore del “Mattino” Mario Orfeo, in una sala strapiena: bello qui in redazione, oh quasi quasi ci resto, perché non mi assumete? È la cocciutaggine di Arnaldo Capezzuto che si prende sputi, minacce e schiaffoni da quegli imbecilli razzisti che a Pianura vogliono cacciar via da un palazzo un gruppo di immigrati (mentre io al telefono cerco disperatamente come sempre di scongiurare la sua morte…); è Peppe Porzio che  dimostra cosa signfica rimettersi in gioco da professionista  vero e riparte dai vicoli del rione Sanità .
È la limpidezza di Ottavio Lucarelli, il nostro presidente dell’Ordine dei giornalisti che in tivvù ha abbattuto un allucinante tabù (o forse eccessivo pudore?) appartenuto a dire il vero più ai giornalisti della vecchia generazione: non ammettere chiaramente che Giancarlo Siani, il giornalista modello, il talentuoso cronista, il simbolo anticamorra, quella sera di settembre, quand’è stato ammazzato al Vomero su quella strana  macchina, poco dopo aver compiuto ventisei anni, era un collega precario.