Un canale Telegram di notizie su Napoli

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Un canale Telegram di notizie su Napoli

Telegram è un servizio di messaggistica istantanea che secondo me (e non solo secondo me) ha moltissime possibilità in più rispetto a Whatsapp. Nel 2016, molti timidamente, ho aperto su Telegram un canale di notizie su Napoli : l’idea era quella di pubblicare con cadenza non obbligatoria flash, ma anche documenti, screenshot, link. Tutto quello che per un motivo o per un altro i giornali e i giornalisti trascurano (anche se ormai non si trascura più nulla: tutto è utilizzato per fare polemica, per approfondire la ricerca, per fare engagement). Con me in questa modesta avventura senza scopo di lucro c’è Giancarlo Palombi che è uno dei più bravi neristi di Napoli (il nerista è il giornalista che si occupa di cronaca nera. A Napoli significa di camorra ma non solo).

Potete trovare dunque il canale su Telegram (se mi tenete in rubrica cercate Ciro Pellegrino e me lo chiedete). Altrimenti cliccate e aggiungetelo. La maggior parte delle notifiche è silenziosa, quindi non disturba.

Un podcast sul giornalismo italiano

Ho partecipato, qualche tempo fa, ad un interessante podcast sul giornalismo tenuto da Francesco Guidotti che si chiama “Giornalisti al microfono“. Se vi va l’ascolto, ho embeddato il canale oppure ovemai non funzionasse è qui.

Fatemi sapere che ne pensate. Quella sera ero un poco poco pessimista sul mestiere che faccio, ho parlato del lavoro in Fanpage.it ma anche di come secondo me chi vuole iniziare questo mestiere deve approcciare con un mondo, quello del giornalismo, ancora troppo chiuso e autoreferenziale. Francesco è molto bravo e se vi piacciono i podcast vi consiglio di seguire il suo che è una bellissima esperienza attraverso le parole di tanti bravi colleghi e amici (ho trovato Francesco Costa, Arianna Ciccone, Pablo Trincia solo per citarne alcuni). Buon ascolto (mi ha fatto venire la voglia di realizzare un podcast!)

Ascolta “Una continua evoluzione – con Ciro Pellegrino #8” su Spreaker.

CHE PIZZA! 🍕

2016-2017. Un anno di newsletter

Questa newsletter ha compiuto un anno. La prima  mail è stata inviata a 600 persone il 27 novembre 2016. Questa di oggi raggiungerà più del doppio dei destinatari (sempre che la mamma di Gmail non ve la infili in spam). Ne ho spedite 22, più o meno sono riuscito a garantirla ogni 2-3 settimane e ne sono felice. Mi sono arrivate circa 150 mail in risposta, non ho scritto a tutti (scusate) ma ho letto tutto. Ho fatto vedere le cifre della newsletter a chi ne spedisce per mestiere, dice che «sono stato molto bravo».Ma resto umile.
Come ho spiegato qui tutto è iniziato perché non sopportavo più (e nemmeno ora lo sopporto) un certo modo di raccontare la città. E perché volevo parlare a chi da qui se n’è andato, il titolo è infatti “Saluti da Napoli”.
Sono riuscito a far vedere le cose in maniera diversa?
E chi ‘o ssape. Però grazie, è stato ed è un privilegio dire certe cose qui, solo per voi.
Scriviamoci un po‘, magari qualcuno di voi mi spiega se dovrei cambiare argomenti o aggiungerne altri.

Eppure so’ cuntento. O ssaje m’hanno futtuto ‘e viaggi l’autostrada, tutto chello che aggio passato

Cosa succede ogni volta che esce la classifica sulla vivibilità delle città

Qui la versione immagine.

1. Se è una giornata di sole pubblichiamo su Facebook la foto del sole dicendo: fanculo, abbiamo il sole. Se piove pubblichiamo la tazzina di caffè fatto bene.
2. Citazione di Erri de Luca su come considera valore la parmigiana che lui mangia quando viene qui a presentare un libro.
3. Elenco di opere realizzate dai Borbone: il bidè.
4. Bestemmie contro: Emanuele Filiberto Savoia, Camillo Benso conte di Càvour (si, così), Gonzalo Higuain e il fratello.
5. Incremento di visite alla pagina “Le frasi più belle di Alessandro Siani”.

Posso giurarvi che dopo anni e anni è una grande rottura di scatole per me avere a che fare con le classifiche e le discussioni che ne derivano. Sempre le stesse. Sembra quel film in cui uno si sveglia e vive sempre lo stesso giorno. Dovremmo ignorarle? Non lo decido io e siccome se ne parla tocca lavorarci dando un senso a questi elenchi di città.

Luciano De Crescenzo fu ironico:
«Ho letto in una classifica sulla qualità della vita che in Italia Sondrio figura al primo posto e che Napoli si trova al penultimo. Qualcuno però, adesso non ricordo chi, mi ha detto che Sondrio è grande il doppio del cimitero di Napoli ma che ci si diverte solo la metà».

Erri De Luca scrisse qualche anno fa un pensiero che all’epoca mi pareva bello. Ma è stato talmente usato a sproposito che ora lo sopporto a malapena.

La verità è che ci sono tante percezioni. Del turista mordi e fuggi; dello studente spagnolo in Erasmus; del disoccupato disperato di Ponticelli; del giornalista che o vede tutto bello o tutto marcio; dello scrittore che vive parlando di Napoli; del cittadino che se ne fotte di tutto e vuole solo evitare il traffico di via Marina e festeggiare lo scudetto; del camorrista cui interessa solo che non loincoccino ‘e gguardie.

Ma la stessa cosa è pure per Torino, per Milano, per Genova.
Solo che a Napoli abbiamo un problema con chi solleva i problemi. Il “male di Napoli” una volta raccontato, può diventare un guaio serio per chi ne ha scritto (ehm ne so qualcosa).
Ieri mattina lo storico Paolo Macry ha parlato proprio di questo ad una platea di oltre 200 persone (paganti). Ha riempito il Teatro Bellini con una lezione di storia (bellissima!) sul romanzo di Napoli da Matilde Serao a Gomorra (il libro). C’è voglia di capire, di andare oltre. Peccato che questa voglia non ce l’abbiano tutti.

E ‘a sape tutto o munno. Ma nun sanno ‘a verità. (quando l’ha scritta Pino Daniele aveva solo 18 anni. C’è gente che in una  vita intera non riesce a dire la metà).


Pizza, pizza!

L’arte dei pizzaiuoli è diventata patrimonio Unesco.
Ho scritto un sacco di cose entusiaste su Facebook pure io, manco fossi un neoborbone col bidet in braccio. Vergogna. Va fatta chiarezza.

Schematicamente:

1. Non è la pizza, è l’arte dei pizzaiuoli il patrimonio immateriale. Non  l’alimento ma il rituale di chi lo prepara. A leggere la motivazione ufficiale Unesco facciamo pure un poco la figura dei pezzenti pizza-pizza marescia’.

Eccola qui:
“Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità”.

2. Propongo nella prossima puntata di Gomorral’introduzione di Pasqualino ‘o pizzaiuolo il killer che uccideva con pizze indigeribili. In effetti la pizza che gonfia uccide.

3. Dietro la storia dell’Unesco c’è un personaggio della politica che forse conoscerete: Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi, ex ministro con Giuliano Amato prima e con Romano Prodi poi, andato in disgrazia quando è esploso il bubbone dell’emergenza rifiuti in Campania (in quel momento era lui il ministro dell’Ambiente).

In sintesi: non ce n’era assai bisogno dello scudetto Unesco. La pizza è nota e perfino il tentativo di standardizzarla con un disciplinare Stg si è rivelato è complicatissimo.  Però se tutta quest’ammuina aiuta la baracca va bene così.

Ci sarebbe semmai bisogno di indagare e bene su tutta la filiera, dai pomodori ai latticini, dalle farine al legno usato per la cottura.
Report tre anni  fa ci ha provato devo dire la verità con argomenti piuttosto deboli. Occorrerebbe un annetto di lavoro serio.

INFINE.

1. Sorbillo (Io sono fan di Gino)
2. La figlia del Presidente (la adoro)
3. Di Matteo (la frittatina è na  bomba)
4. Vesi (quella davanti al Policlinico Vecchio)
5. Da Michele (no ma solo due tipi di pizza però non va bene)
6. Gorizia (al Vomero)

Se avete da dire qualcosa sulla mia mini-classifica beh, fatelo.

Ah no, dimenticavo: la foto.
È Massimo Troisi in ‘No grazie il caffè mi rende nervoso’.
Aveva capito tutto. Come al solito.

Pratica guida per scrivere un dialogo di Gomorra la serie

(Vi piace la terza stagione? La guardate? Mi sta un po’ annoiando ma pare stia avendo un successone. Conosco la trama di tutta la terza serie ma non ve la spoilero, giuro).

Avete mai parlato con uno sceneggiatore, di quelli che devono scrivere i dialoghi di una serie tv o di un film molto caratterizzato? Sono dei predatori. Qualsiasi  cosa tu dica sono pronti ad arraffarla e schiaffarla nel loro lavoro.
Immaginate uno sceneggiatore di Gomorra.  Ormai la serie tv, giunta alla sua terza stagione, ha affrontato ogni argomento.
Mancano solo il racket delle creme emorroidali, il traffico di bustine di Aulin dalla Polonia e la temibile paranza dei giocatori di scopone scientifico sotto alla fontana delle paparelle di piazza Cavour.
Insomma, sono disperati, aiutiamoli.

Per scrivere Gomorra servono:
1. Situazione di contrasto tra due persone con conseguente velata o esplicita minaccia
2. Chiarimento  e/o riferimento a terzo personaggio.

Le battute sono secche, epigrafiche.
Gomorra è tutto frase-punto-stacco di telecamera-frase e/o pistola.

Pensatelo nella quotidianità. Potete applicare Gomorra a qualsiasi aspetto della vostra vita.

Esempio 1. Dal macellaio si pone la scelta tra le salsicce paesane o una bella bistecca.
Lo so, è una scelta difficile.  Ma voi ve ne uscite come un don Pietro Savastano e dite al macellaio:
«Guagliò ‘e piezze ‘e carne so tutte uguale:  vanno pruvate ngoppa ‘o ffuoco. E solo quanno vire ‘o sanghe capisci».
(traduzione: ragazzo, i pezzi di carne sono tutti uguali, vanno saggiati sul fuoco. E solo quando vedi uscire il sangue ne comprendi la validità).

Esempio 2.  State andando a comprare una camicia. Ma ce ne sono varie, di varia foggia e misura. Dovete decidere: slim fit o regular?
Immaginate Genny Savastano che lo dice:
«‘A cammisa è comm a nu cumpagno, sì a vuo’ stretta l’ja sape’ purtà. Altrimenti t’astregne nganno!».
(traduzione: una camicia aderente è come un compagno, [inteso come affiliato], se la vuoi così devi avere il fisico per indossarla. Altrimenti ti ‘affoga’).

Vabbé, ne avrò fatti trecento di questi esempi a casa, li ho anche registrati).

Ma un mash-up Gomorra-Un posto al sole?
TITOLO: “Un posto a Gomorra”

PERSONAGGI
– Raffaele il portiere ha un giro di prostitute a Palazzo Palladini;
– Roberto Ferri è affiliato ai Casalesi;
– Ornella è un medico che fa le certificazioni false ai boss per fargli prendere gli arresti domiciliari;
– Renato Poggi è un commercialista prestanome di un clan che gestisce locali e localini della Napoli Bene;
– Nel bar di Silvia si vendono anfetamine e cocaina e sta pieno di macchinette per il gioco d’azzardo;
– Michele Saviani è un giornalista senza contratto al soldo dei clan col compito di passare informazioni riservate sulle indagini in corso.
– Guido il vigile urbano gestisce un gruppo di parcheggiatori abusivi fuori all’ospedale Loreto Mare.

Ciao Memole. E chiamalo!

L’uscita della stazione della metro Municipio in mezzo alla piazza omonima è tra le cose che più rappresentano Napoli qui e ora. È una fermata temporanea, in attesa di quelle belle disegnate da Alvaro Siza che coniugheranno archeologia, modernità e spazio (spero di arrivare a vederla). Per entrare o uscire bisogna usare le scalette in ferro che ti calano letteralmente nel cantiere. I turisti ne vanno matti. E pure i pensionati: restano lì per ore a guardare come lentamente si muove il gigantesco meccanismo scavato nel cuore di Napoli che arriva fino alle viscere del Maschio Angioino, lì dove un tempo c’era il mare.  Ho un sacco di foto degli umarellpartenopei.

Una volta i giornali (non tutti) scrissero che proprio lì sotto durante gli scavi tra le altre cose erano affiorati i resti delcoccodrillo che vagava centinaia d’anni fa nel fossato del castello Angioino. Ovviamente il ritrovamento era una balla. Ma era pure una balla (ops, leggenda) quella del coccodrillo.
A proposito di fake news che non hanno età
(Un giorno vi racconto chi fu tra i pochi protagonisti dell’incidente ferroviario nella stazione non ancora aperta se non ai giornalisti… ).
Vabbè, insomma: qualche giorno fa all’ingresso della stazione è comparsa questa t-shirt con messaggio. Memole (dunque presumo tu sia piuttosto bassina o coi capelli viola), auguri per il compleanno. E chiamalo, jamm un caffé non si nega a nessuno (scegli un buon bar, però).

Core ‘ngrato

Chi mi conosce sa la mia passione per la serie tv I Soprano, la più bella di sempre (dai, davvero parli di Netflix dalla mattina alla sera e non l’hai mai vista?).
Nei Soprano tra i personaggi più importanti c’è Junior,  lo zio del boss Tony. Lo interpreta Dominic Chianese, ovviamente italoamericano. Ebbene, in una delle puntate canta Core ngrato, meravigliosa canzone scritta e musicata da due emigrati italiani in America. Chianese la canta come lo farebbe un italoamericano, con evidenti errori di pronuncia del dialetto che però arricchiscono la sua interpretazione e la fanno ancora più autentica e commovente.

Il tema è quello tipico della canzone classica: l’amore non corrisposto.  Nella musica partenopea quando l’amore non è corrisposto le donne se la passano male: o sono Malafemmineo ingrate. Scherzi a parte, è davvero una interpretazione dolcissima. E se avete visto quella puntata dei Soprano la apprezzerete ancor di più.

Giallo Napoli (Ma a Trieste il caffè lo sanno fare? ☕)

Giallo Napoli

La canzone su Napoli che amo di più dice: «È mille culure».
Leggendo Cromorama di Riccardo Falcinelli, un libro molto bello e ben realizzato sui colori e su come siano diventati «un filtro con cui pensiamo la realtà» ho iniziato a camminare fra le tinte della città. Sapete, esiste un ‘Giallo Napoli’. È di origine egiziana, è simile al colore del tufo, lo amava Cèzanne, lo usavano Monet e Renoir. C’è pure una variazione sul tema, un rosa quasi rosso.
Il giallo è tanti fatti, in napoleano. È paura, è confidenza coi santi, è insulto. «’E fatto ‘o giallo» ti sei fatto giallo, si dice di chi si è impaurito; oggi nei vicoli si dice «stai chino ‘e giallo», sei pieno di giallo, è il punto di viraggio tra la normalità e il terrore. San Gennaro, il patrono, è Faccia gialla, perché la sua statua lo è. E così a lui si rivolgono le ‘parenti’, le sue fedeli.
«Faccia gialla squaglialo».

È la città dei mille colori ma senza un ‘piano del colore’: Napoli come tutte le città ricche d’architettura e storia dovrebbe avereregole ben precise sul ritinteggio dei palazzi. Decenni di chiacchiericcio, qualche norma buttata qui e lì. Ma sono sicuro che se rifacessero i palazzi di via Foria o di piazza Bellini verde pistacchio o blu di metilene pure glielo lascerebbero fare. Palazzo Reale in piazza Plebiscito e Palazzo Fuga, l’Albergo dei Poveridi piazza Carlo III del resto sono stati ritinteggiati con tinte diverse e cosa è accaduto? Niente.

Scavando in un vocabolario del Settecento ho trovato questa bellissima espressione che non si usa più: Janco nascere. «È espressione Spagnuola, con cui taluno si vanta esser uomo d’onore incapace di sentimenti vili».
“So’ nato janco”, ovvero sono nato bianco, puro.

Che bellu ccafè, sulo a Trieste ‘o sanno fa

Non voglio creare polemica. Ma vi risulta che a Trieste si faccia un grande caffè? No, vero? È la solita chiavica, vero?
Perché ho letto che in Friuli esiste un “Trieste Coffeé festival”. E che festeggiano? Per quanto ne so a Trieste ci sono però i soldi del signor Illy.
E dico io, a Napoli abbiamo di tutto, da Kimbo-Kosè aPassalacqua, da Moreno a Kenon e nessuna, dico nessuna di queste aziende è stata capace di spendere due euro per unFestival della tazzulella? Ma si può essere meno lungimiranti?

Il film dei Jackal, le storie sul lavoro
e Napoli (che non perdona)

La mia collezione di sigari cubani perde un elemento ogni volta che si realizza qualcosa di nuovo a Napoli. Succede quando vedo coloro che niente fanno (e niente faranno mai) scagliarsi con ferocia personale contro una qualsivoglia cosa appena nata (associazione, libro, film, documentario, giornale) per il solo motivo che non l’hanno fatta loro.
È allora che accendo l’amato Cohiba e aspetto.
Aspetto che i feriti, fino a quel momento docili, fiduciosi e speranzosi (di critiche costruttive, di appoggio non condizionato, di oneste prese di posizione da coloro che ritenevano amici) trasfigurino come santa Teresa d’Avila e finalmente  giungano sulla riva degli scettici e dei sarcastici. Io alloggio lì già da un po’.

Sono stato un po’ ermetico? Spiego meglio: semplicemente non ho capito una certa ferocia gratuita tutta di certi ambienti partenopei – non del pubblico – nei confronti di ‘Addio fottuti musi verdi’ opera prima dei The Jackal. Io l’ho visto, come me molte altre persone, mi sono divertito ma evito recensioni perché sono di parte. Tutto qui.

Detto ciò, non posso non notare il tema base della trama. Il lavoro  e l’emigrazione.
Ma quanti film ambientati a Napoli negli ultimi decenni hanno il lavoro come elemento fondante? Nu cuofano!

Nanni Loy ha fondato la quasi totalità dei suoi film su giovani  e meno giovani disoccupati e su coloro che per arrangiarsi finiscono in situazioni pericolose. ‘Mi manda Picone’ ma non solo: ‘Scugnizzi’ e ‘Café Express’ pure parlano di lavoro. E anche ‘Pacco, doppio pacco e contropaccotto’.
Massimo Troisi  ha fatto della non-ricerca di lavoro  del  napoletano in viaggio («Emigrante? Nossignore io a Napoli un lavoro ce l’avevo…»)  un argomento portante di ‘Ricomincio da tre’ e ‘Scusate il ritardo’.

Luciano De Crescenzo (a proposito, il film di Serena Corvaglia e Antonio Napoli sulla sua  vita è molto bello) in Così parlò Bellavista crea il monologo capolavoro, quello di Giorgio. Ve lo ricordate?

«Fino a ieri mi sentivo come un esemplare della specie più povera del mondo: quella del disoccupato laureato meridionale e di buona famiglia.
In altre parole, il titolo di studio mi impedisce di fare il pezzente; per inadeguata preparazione familiare non so fare lo scippatore… e non sono nemmeno capace di vestirmi da cameriere pe m’arrubbà ‘e sorde fore a ‘na trattoria».

Riapre l’archivio Parisio

L’archivio fotografico Parisio-Troncone ha riaperto la sua storica sede espositiva sotto i portici della Chiesa di San Francesco di Paola in piazza Plebiscito. Se vi trovate passateci, ne vale davvero la pena.