Un podcast sul giornalismo italiano

Ho partecipato, qualche tempo fa, ad un interessante podcast sul giornalismo tenuto da Francesco Guidotti che si chiama “Giornalisti al microfono“. Se vi va l’ascolto, ho embeddato il canale oppure ovemai non funzionasse è qui.

Fatemi sapere che ne pensate. Quella sera ero un poco poco pessimista sul mestiere che faccio, ho parlato del lavoro in Fanpage.it ma anche di come secondo me chi vuole iniziare questo mestiere deve approcciare con un mondo, quello del giornalismo, ancora troppo chiuso e autoreferenziale. Francesco è molto bravo e se vi piacciono i podcast vi consiglio di seguire il suo che è una bellissima esperienza attraverso le parole di tanti bravi colleghi e amici (ho trovato Francesco Costa, Arianna Ciccone, Pablo Trincia solo per citarne alcuni). Buon ascolto (mi ha fatto venire la voglia di realizzare un podcast!)

Ascolta “Una continua evoluzione – con Ciro Pellegrino #8” su Spreaker.

I giornalisti precari e Matteo Renzi nel favoloso mondo di Checco Zalone

renzi-giornalisti Qualche giorno fa, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto che no, non esiste sfruttamento né barbarie, né schiavitù, per i giornalisti italiani. Ha detto – motivazione ripresa a pappardella dalla Fnsi – che sono parole pesanti e che le parole vanno ponderate.
Beh, allora ci dica lui quali possiamo usare.
Tra i sinonimi di schiavitù c’è asservimento. Penso vada bene.
Fra i sinonimi di barbarie c’è inciviltà. Calzante.
Tra i sinonimi di sfruttamento c’è esaurimento.
Asservimento: perché un giornalista sfruttato è reso servo (girate al largo con la stronzata del ‘se non mi conviene io non lo faccio’: ditelo a un ragazzo che ha appena fatto spendere ai suoi genitori 10mila e passa euro di scuola di giornalismo ed è desideroso di mettersi alla prova con la fantomatica ‘gavetta’ che poi dura mezza vita).
Inciviltà: perché non è da Paese civile non garantire forme di tutela legislativa agli operatori della comunicazione in Italia. La legge sull’equo compenso, distrutta dagli editori (ma è il loro lavoro, li capisco) e dal sindacato Fnsi (ecco, qui capisco di meno, ma se consideriamo che l’ex segretario Fnsi oggi siede in Confindustria è tutto più chiaro).
Esaurimento perché oltre a quello classico, nervoso, di una partita iva che dev’essere giornalista-contabile-esattore-economo per tentare di far quadrare i miseri conti (sistematicamente in rosso) a fine mese c’è l’esaurimento dell’entusiasmo, della voglia di fare questo mestiere e di farlo bene.

La risposta di Matteo Renzi è stata: voglio abolire l’Ordine dei Giornalisti. Motivata probabilmente dall’astio verso l’attuale presidente Enzo Iacopino che nel suo duro discorso introduttivo gli ha spiegato qual è la situazione dell’Italia reale, rovinandogli lo storytelling (leggasi: la storiella) di fine anno col Paese che riparte, la locomotiva Italia che corre e il Jobs Act che regala posti di lavoro.

Abolisci quel che vuoi, Renzi. Ma la verità non puoi abolirla. Puoi solo occultarla, puoi far sì che i media compiacenti ‘coprano’ e cantino la canzone che ti piace. Quando si tratta di giornalisti del resto non è così difficile: sono gli stessi editori che non hanno nessuna voglia  di mettersi da soli sulla graticola.

Al massimo il PresDelCons può crogiolarsi credendo di essere nel favoloso mondo di Checco Zalone.

Perché voi la conoscete, vero, la trama del film che ha guadagnato di più in assoluto nella storia del cinema italiano? Checco Zalone interpreta un cazzone 40enne assunto in un carrozzone di stato a tempo indeterminato che a un certo punto viene riformato, sciolto con le Province e determina il cambiamento (facciamo #cambiamento, con l’hashtag renziano che fa più figo) del bamboccione stesso, costretto a fare i conti con la #vitavera.

Farebbe comodo, vero, una realtà così? Dove i giovani giornalisti (che poi, a 40 anni giovani…) sono in realtà dei perdigiorno mediocri che non vogliono muoversi da casa e convinti di essere Indro Montanelli o Oriana Fallaci, pronti a bestemmiare per ogni cambiamento della loro esistenza. Lo schema è tutto racchiuso in questa visione volutamente distorta dell’Italia, di chi la vive, di chi ci studia e di chi la racconta.

E invece  non è così. Quella una commedia, fa ridere. Quel che succede usciti dal cinema fa ridere un po’ meno. Ma giusto perché siamo inguaribili ottimisti, altrimenti dovremmo stare col fazzoletto in mano.

 

 

 

Clark Kent e i giornalisti vigliacchi

Clark-Kent-giornalista«L’elemento fondamentale della filosofia dei supereroi è che abbiamo un supereroe e il suo alter-ego: Batman è di fatto Bruce Wayne, l’Uomo Ragno è di fatto Peter Parker. Quando quel personaggio si sveglia al mattino è Peter Parker, deve mettersi un costume per diventare l’Uomo Ragno. Ed è questa caratteristica che fa di Superman l’unico nel suo genere: Superman non diventa Superman, Superman è nato Superman; quando Superman si sveglia al mattino è Superman, il suo alter-ego è Clark Kent. Quella tuta con la grande “S” rossa è la coperta che lo avvolgeva da bambino quando i Kent lo trovarono, sono quelli i suoi vestiti; quello che indossa come Kent, gli occhiali, l’abito da lavoro, quello è il suo costume, è il costume che Superman indossa per mimetizzarsi tra noi. Clark Kent è il modo in cui Superman ci vede. E quali sono le caratteristiche di Clark Kent? È debole, non crede in se stesso ed è un vigliacco. Clark Kent rappresenta la critica di Superman alla razza umana».
Kill Bill volume II

Non ti tramuta in giornalista una tessera o un corso di laurea e fin qui ci siamo.

Certi giorni mi viene da pensare che Clark Kent il vigliacco, cioè – secondo la filosofia di Bill Gunn – il modo in cui Superman ci vede, non poteva che fare il giornalista. Cioè l’unico mestiere in cui la vigliaccheria può essere un tratto distintivo della carriera, dello stile, dell’approccio alla notizia.

Ho scritto fare il giornalista parlando di vigliaccheria. Di solito quando parlo del mio lavoro dico essere giornalista. E la codardia non è contemperata.

 

Riprendersi il sindacato dei giornalisti della Campania: è il momento

Il sindacato dei giornalisti della Campania è morto. Fra qualche giorno non esisterà più, dopo circa un secolo di storia (era nato nel 1912 come “Unione dei giornalisti napoletani” e nel 1954 divenuto “Associazione napoletana della stampa”). L’ho appreso lo scorso 13 dicembre, quando sono stato convocato – bontà loro, pure se so che qualcuno non mi avrebbe voluto – poiché tra i 66 giornalisti con una carica ordinistica/sindacale in Campania, agli “Stati Generali dell’informazione in Campania”. Iniziamo proprio da questo. Che sono gli Stati generali? (Troppo comodo rispondere: quelli del 1789) Quando sono andato lì ho pensato che si sarebbe parlato dei guai della professione. Ho scoperto invece che gli “stati generali” è quando si convocano tutti i capoccia (pure io sono un capoccia, quindi!) di Ordine e sindacato. Fin qui è ok. Ma se aggiungi “dell’informazione in Campania” è perché dovresti discutere di questo vasto mondo e dei suoi problemi, no? Dai precari ai sottopagati ai disoccupati fino ai contrattualizzati e ai pensionati. Nulla di tutto questo: si è discusso del sindacato e del perché deve morire.
Anche questa, comunque, è una questione molto importante. Non come discutere dell’equo compenso ai giornalisti precari, certo, ma è una cosa importante.

Allora: dei 66 convocati ce c’erano una ventina (forse siamo arrivati a trenta ma non ci giurerei). Volendo sintetizzare 4 ore di discussione c’è da dire questo: l’Assostampa chiude per sottrarsi al debito di oltre tre milioni di euro per il “ritardato rilascio” dell’ex Circolo della Stampa in Villa comunale (la “Casina del boschetto”) di proprietà del Comune di Napoli, dal momento della scadenza del contratto, nel 1985 fino allo sfratto, nel 1999, più 20mila euro di spese legali. A parte questo bubbone – poi ci torno – la stessa Assostampa dove pure 75mila euro all’Ordine dei Giornalisti della Campania. Ho appreso che il sindacato regionale ha meno di mille iscritti su circa undicimila giornalisti.

Durante la riunione ho chiesto una cosa molto semplice: fare chiarezza sull’accaduto prima di aprire una nuova fase. I giudici si sono pronunciati, per ora ci sono soltanto responsabilità di tipo “contabile”? Va bene e – ho detto – noi giornalisti abbiamo il dovere di dirlo. Che nessuno mai, un domani, possa additare il nuovo sindacato come struttura nata dalle ceneri di un “imbroglio”. Ho provocatoriamente citato il Pertini del «Chi ha rubato i soldi del Belice?». Si sono scatenati quasi tutti contro di me. E vabbè, bisognava pure agitare un poco le acque. Ritengo profondamente ingiusto che qualcuno tenti di tenere “tra di noi” una vicenda così scabrosa. I panni sporchi lavati in famiglia puzzano ancora di più, a mio modo di vedere. Ma poi, cui prodest? A chi gioverebbe? Se nessuno ha responsabilità, se nessuno ha timori, perché l’Assostampa morente non convoca una conferenza stampa o produce un documento che sintetizza l’intera storia della Casina del Boschetto e successivo sfratto e diatribe legali?

Nascerà, dunque, un nuovo sindacato dei giornalisti in Campania. L’iter pare già tutto scritto: qualcuno farà da traghettatore, qualcuno scriverà il nuovo statuto, qualcuno si occuperà di associare questo sindacato alla Federazione Nazionale della Stampa (Fnsi). Et voilà, eccoti il nuovo sindacato bello e pronto, senza debiti, fresco fresco. Mentre quattro sedie e un paio di tavoli della vecchia Assostampa finiscono all’asta fallimentare.
Dico: ma si può ? È possibile che i giudici non individuino in tutto ciò una “continuità” tale da far sembrare il nuovo una effettiva continuazione del vecchio, indebitato sindacato, con tutti i rischi che ciò comporta? Secondo me è un aspetto affrontato con leggerezza.

Se nuovo dev’essere, il sindacato dei giornalisti della Campania dev’esserlo a partire da coloro che lo fonderanno. Bisogna coinvolgere tutti, non solo i soliti noti. Bisogna coinvolgere i giornalisti precari della Campania. Bisogna inserire nel nuovo statuto quote differenziate di iscrizione: chi ha un contratto a tempo indeterminato non può pagare come chi ha una collaborazione a 500 euro al mese e vuole iscriversi al sindacato.

Ci è stato detto di aspettare. Ci è stato detto che «sarà studiata la situazione». Sono attese che conosciamo sono le stesse di sempre. Quelle che non risolvono ma che procastinano sine die ogni iniziativa.

Ora c’è bisogno, invece, di mettere le mani, in questo guazzabuglio. E tirare fuori qualcosa di buono per noi tutti.
Per metterci le mani occorre entrarci, per entrarci occorre iscriversi. Chi ci sta?

Selezione interna giornalisti Rai, la graduatoria finale

Dopo innumerevoli polemiche, il concorso interno per giornalisti Rai è arrivato alla graduatoria finale.
Ecco il documento con i classificati nelle prime 40 posizioni previste dall’avviso di selezione interna, i candidati che hanno superato la soglia minima di 60/100 e i candidati che al concorso giornalisti Rai non hanno superato la soglia minima di 60/100.