Mani (e bavagli) sulla città

Questo è l’epilogo di “Mani sulla città“, capolavoro di Francesco Rosi da sempre evocatissimo a Napoli.

Già: ogni volta che si allude a Piano regolatore, speculazioni edilizie e/o economiche, a Napoli si dice o  si scrive  “le mani sulla città”. Anche il sindaco Rosa Russo Iervolino lo dice spesso, riferendosi a quei poteri forti che avrebbero interesse a papparsi la città. Il problema è che quando qualcuno che sta nella stanza dei bottoni inizia ad evocare la “Grande speculazione”, sento puzza di fregatura.
Possibile che un amministratore non abbia forza e possibilità per evitare le “mani sulla città”?
Io penso che – a dispetto dei tantissimi che lo citano – pochi abbiano davvero visto il film di Rosi. Nell’ultima scena il consigliere De Vita, interpretato poi da un politico comunista vero, Carlo  Fermariello, dice più o meno che sempre, quando si è alla fine di un impero politico, chi lo regge arraffa quel che può a dispetto del poco tempo che ha a disposizione, delle leggi e dell’etica.
Ecco, se io fossi il sindaco di Napoli eviterei, in questo periodo, di alluccare alle mani sulla città.

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Bisognerebbe tuffarsi nell’atmosfera di Palazzo, in queste ore, senza preoccuparsi d’altro. E invece… Per questo mi fa rabbia ancor di più vedere che nonostante comunicati, solidarietà e proteste, Palazzo San Giacomo resta chiuso ai giornalisti. O meglio: si entra solo con un apposito pass e per esplicito ordine dell’Amministrazione, i cronisti non possono camminare liberamente nel palazzo; al massimo possono alloggiare in una saletta, al riparo da tutto, anche dalle notizie. Articolo 21 fa una disamina delle varie questioni che riguardano l’Amministrazione comunale e il suo rapporto coi cronisti: sconcertante.

L’ultimo battibecco è di sabato: dopo interminabili polemiche viene distrutto il nastrino contenente la registrazione del colloquio tra Iervolino e Luigi Nicolas. Il Comune decide di distruggerlo pubblicamente. O quasi: invita a Palazzo 2-3 agenzie di stampa e qualche fotografo. E il resto della stampa? Non deve sapere, se non a fatto avvenuto. Chissà perché: avevano forse paura che avremmo ascoltato il nastro? Se fosse così, avrebbero visto giusto, io personalmente mi sarei inventato ogni cosa pur di ascoltare quell’audio. Dunque, dopo un duro comunicato dell’Ordine dei Giornalisti della Campania, il Comune con una Ansa sostiene che la scelta «si è limitata esclusivamente ai reporter delle agenzie giornalistiche a garanzia della più completa, imparziale e tempestiva diffusione della notizia». Perché solo i reporter delle agenzie garantiscono imparzialità? Una gaffe nella gaffe, usando un eufemismo.
Nonostante ciò, le notizie le troveremo ancora, stiano certi al Comune. Anzi: così è più divertente.

Giornalisti alt, farsi riconoscere

Partiamo dalla fine.
In foto c’è un pass, gentile dotazione fornita al sottoscritto, attuale cronista politico di E Polis nonché assiduo frequentatore del Comune di Napoli da un paio di lustri. Se non ho questo strano tesserino  da oggi, non posso accedere al Palazzo San Giacomo, sede dell’Amministrazione comunale di Napoli. Sì, proprio quella degli assessori arrestati e morti suicida, quella del “sistema Romeo” e dello scontro tra Rosa Russo Iervolino e Gino Nicolais. Come ho già avuto modo di dire qualche tempo fa, quando ci sono guai in vista, il palazzo di città viene dichiarato off-limits ai cronisti. Stavolta han fatto di peggio: hanno deciso una volta e per sempre di chiuderci le porte. Dunque, a Napoli, il giornalista non potrà accedere al Comune senza accredito – ovvero senza essere preventivamente schedato, non basterà più l’esibizione del tesserino professionale -.
Per farla breve: ieri è sceso il capo ufficio stampa del Comune e a noi cronisti assiepati da ore nell’androne del Municipio (a 10 gradi  e con un vento di tramontana da gelare le ossa) ha detto che non potevamo entrare. Dunque, per beccare Rosetta bisogna affidarsi alla fortuna, presidiare i quattro lati del palazzone e sperare che qualcuno riesca a pizzicarla. Tipo gatto e topo.

Si ride per non piangere, eh. In realtà l’operazione «via i giornalisti» era iniziata nel giugno 2008. Riporto alcuni stralci di documentazioni pubbliche che ho copiato a mano dagli uffici.

« A seguito della deliberazione della Giunta Comunale n° 4201 del 5 ottobre 2006 che ha disposto le nuove regole per l’accesso a Palazzo San Giacomo dei dipendenti e degli ospiti, alla luce della soluzione di alcune problematiche organizzative che hanno costretto a differire i tempi di entrata in funzione della decisione, è ora possibile darne pienamente corso. Il contenuto della presente disposizione è stato visto e condiviso dal Sig. Vicesindaco ed è stato illustrato nel corso del Comitato di Direzione del 21 maggio 2008. […] I giornalisti ufficialmente accreditati presso il Dipartimento comunicazione istituzionale possono accedere liberamente da via Imbriani mostrando l’apposito tesserino rilasciato dal capo del Dipartimento. Gli altri giornalisti non accreditati debbono richiedere l’invito al Dipartimento Comunicazione istituzionale e registrarsi all’ufficio passI».

Ad aggravare la situazione c’è un altro documento ufficiale dell’Ente, a firma del capo Comunicazione Istituzionale, piazzato in bella vista all’ufficio Pass del Comune di Napoli, indirizzato agli uffici preposti e agli vigili urbani di piantone  La foto non è venuta granché,  riporto qui le parti salienti:

«segnalo che vi è stato nei giorni un accesso disordinato di giornalisti all’ìinterno della sede comunale… […] queste disposizioni prevedono che i giornalisti preannuncino il loro arrivo a San Giacomo dandone comunicazione all’Ufficio stampa e che quest’ultimo possa procedere all’accreditamento […] al fine che si eviti, per il futuro, lo spettacolo di gruppi di giornalisti non accreditati che si aggirano per la sede comunale…».

Dunque per il futuro ci aspettano scene del genere: «Pronto? Sono il giornalista tal dei tali. Sentite mi hanno appena rivelato che ci sono gli agenti dell’Antimafia al Comune e stanno sequestrando degli atti. Che mi fate aprire il palazzo per cortesia?». Ve lo immaginate? E ancora: vi immaginate cosa significa il monitoraggio degli accessi dei giornalisti?  Il cronista del quotidiano X è entrato alle ore x ed uscito alle ore y. Cosa ha fatto? Dove è andato? E tra l’altro la cosa peggiore è che ci hanno chiaramente detto che anche se muniti di pass, i cronisti non potranno muoversi dalla saletta stampa del Comune! Tanto vale star giù al Palazzo e pararsi davanti all’auto blindata del sindaco, come fanno i disoccupati organizzati.
L’unica fortuna di ieri è stata quella di avere un presidente dell’Ordine dei Giornalisti che ha cominciato a protestare ingaggiando una battaglia con certi ottusi burocrati. Non va meglio alla Regione Campania dove l’accesso agli assessorati è monitorato da anni: lì non ci sono i pass, i controlli li fanno in altro modo. I risultati in termini di trasparenza si vedono. Eccome: nessuno ad esempio “sapeva” nulla dell’emergenza rifiuti finquando non è diventata evidente.  Dunque, si badi bene, questa non è affatto una protesta “di casta”: impedire ai giornalisti di vedere, chiedere, di essere testimoni delle attività di palazzo, significa in sostanza, occupare militarmente la casa dei cittadini. È un abuso.
Su un muro di Torre del Greco c’era una scritta che mi sembra alquanto adatta all’occasione: Mala tempora currunt : guagliù aparatev ‘a palla.

Il regalo di Giancarlo

Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985
«Della mia generazione ho potuto conoscere migliaia di persone perché per un bel po’ di anni quella gioventù, è uscita di casa e ha occupato vita e strada di questo Paese. Ha perlustrato in lungo e in largo la società che aveva intorno e ha potuto conoscere la società che lei stessa già costruiva. Se non ho amici tra i compagni di scuola, ne ho avuti in cambio migliaia dopo. Quindi non è per combinazione che ho conosciuto Giancarlo Siani, ma per l’immediata spinta a riconoscervi che avevano quelli che sono stati giovani negli anni ’70».
Erri De Luca, “Il cronista scalzo” 1996

L’anno scorso, per chiudere un cerchio che mi aveva portato da un nuovo lavoro alla cassa integrazione, mi fermai mezz’ora così, in piazza Leonardo al Vomero, dove uccisero Giancarlo Siani. Senza velleità d’alcun tipo. Solo per fissare bene nella memoria una piazza che fino ad allora avevo sempre percorso di sfuggita.
Nacque lì l’epilogo  di un libretto  sul giornalismo ai tempi del telelavoro che immeritatamente vinse proprio il “premio Siani” e che stranamente in dodici mesi non ho avuto il tempo  di  far pubblicare, pur nonostante qualche lusinghiero – e ancora stavolta immeritato – interessamento.  Con quello che è successo nei mesi a venire penso che ora potrei aggiungere un capitolo. O addirittura riscriverlo del tutto.
Eppure, anche quest’anno, in un mese abbastanza complesso, l’unica bella notizia è arrivata proprio quel 23 settembre, quella data così cupa, il giorno che ammazzarono Giancarlo.
Poi giorni passati immerso in un acquario e ieri, come spesso accade nella vita, è stata una cosa piccola piccola a ridestarmi da questa specie di trance.
In redazione (quella centrale a Cagliari) è arrivato un fax: è  di una ragazza napoletana di 18 anni i cui genitori lavorano entrambi in Alitalia. Lei ha pensato che era giusto prendere carta e penna e sintetizzare quello che papà e mamma forse dicono arrabbiati davanti ad una televisione, mentre guardano i loro colleghi in piazza o i soliti programmi di approfondimento sul caso.
Nel fax c’è scritto: «tra l’altro sono un’aspirante giornalista e ho sentito il bisogno di scrivere la mia». Il titolo dell’articolo è “Il futuro dei giovani nelle mani dei lavoratori Alitalia”.

E ho pensato che nient’altro è il senso di questo mestiere. È la 18enne liceale, arrabbiata, che dice di aver sentito “il bisogno” di scrivere. È Raffaella –  notoriamente timidissima – che prendendo la menzione assegnata quest’anno a “Santa Precaria” ha detto al direttore del “Mattino” Mario Orfeo, in una sala strapiena: bello qui in redazione, oh quasi quasi ci resto, perché non mi assumete? È la cocciutaggine di Arnaldo Capezzuto che si prende sputi, minacce e schiaffoni da quegli imbecilli razzisti che a Pianura vogliono cacciar via da un palazzo un gruppo di immigrati (mentre io al telefono cerco disperatamente come sempre di scongiurare la sua morte…); è Peppe Porzio che  dimostra cosa signfica rimettersi in gioco da professionista  vero e riparte dai vicoli del rione Sanità .
È la limpidezza di Ottavio Lucarelli, il nostro presidente dell’Ordine dei giornalisti che in tivvù ha abbattuto un allucinante tabù (o forse eccessivo pudore?) appartenuto a dire il vero più ai giornalisti della vecchia generazione: non ammettere chiaramente che Giancarlo Siani, il giornalista modello, il talentuoso cronista, il simbolo anticamorra, quella sera di settembre, quand’è stato ammazzato al Vomero su quella strana  macchina, poco dopo aver compiuto ventisei anni, era un collega precario.

Lucarelli’s party

Non si diventa presidente dell’Ordine dei Giornalisti della Campania per caso, io penso. E in quanto a conoscenza della categoria, Ottavio Lucarelli ha capito tutto. Al suo party di compleanno per scongiurare il solito, drammatico, bivacco di cronisti stanchi e loquaci solo su temi lavorativi, ha fatto in modo che tutti si potessero ubriacare, per poi ballare. Così la festa è stata un clamoroso successo.

Update: il grande Giancarlo Borriello ha inserito sul sito di Julie News un  bel servizio sulla festa.

Ordine dei Giornalisti, sito web off limits

Da giovedì scorso il sito internet dell’Ordine dei Giornalisti nazionale è fuori uso, a causa di un attacco informatico con annesso defacciamento, come documentato da quest’articolo di downloadblog.
Mi chiedo come sia possibile che un Ordine nazionale faccia passare così tanto tempo prima di rimettere in sesto il suo sito web. Non bastava un backup?

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A Napoli si respira, invece, aria di nuovo: Ottavio Lucarelli eletto presidente (dopo 19 anni di monarchia).