Insomma, a E Polis da qualche giorno c’è preoccupazione. Luca Sofri, direttore de Il Post, mi ha chiesto di sintetizzare la situazione per il suo giornale. Ecco qui, dal vostro sindacalista inviato nel magico mondo del telelavoro.
Tag / telelavoro
Per una mappa della crisi del giornalismo e dell’editoria italiana
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«We can work it out»
Beatles, 1965
Bilancino della giornata. Vediamo… Oggi ho prodotto dieci – o dodici – aggiornamenti della Borsa. Altri tre o quattro pastoni. Nessunafirma. Visibilità zero. Nebbia in Valpadana. Vieni all’online, dicevano, qui è il giornale del futuro.
“Perché comprare un giornale che esce una volta al giorno quando lo puoi avere aggiornato ogni ora?” Sì, ogni ora, ogni mezz’ora, ogni minuto no? E perché no? Mortacci vostra… Ma noi siamo la punta di diamante del futuro. “Il futuro è qui”.
Il giornalismo di domani è questo. Giornalismo? Questo non è giornalismo, non per me almeno. Anche oggi non ho chiamato nessuna fonte, non ho sentito nessuno, non ho visto niente.
Non ho messo fuori il piede dalla redazione. Ho passato i soliti 5mila lanci di agenzia quotidiani alla ricerca della NOTIZIA. Ho linkato siti e siti, documenti, file pdf, immagini e suoni. Ho seguito indici, opzioni, future, azioni, obbligazioni. Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti.
Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno.
Domani splenderà il sole e il Giornalismo ti bacerà in fronte.
Buonanotte.
«Io lavoro al desk, di un portale a ore…» – Il Barbiere della Sera, dicembre 2000
.
UNA PREMESSA PERSONALE
Ho iniziato a fare il giornalista nel 1997. Allora, in molte piccole redazioni locali, non era ancora arrivata internet.
Delle prospettive di questo mestiere ne discutevano ai convegni negli hotel e ai festival in ridenti località balneari, docenti universitari e guru americani, sindacalisti e presidenti dell’Ordine professionale, direttori e importanti cronisti.
Oggi, 2010, non esiste una discussione sul giornalismo che prescinda dal confronto via internet.
Sulle regole e su certi meccanismi teorici di questo mestiere ho imparato di più leggendo sul web che preparandomi all’esame d’idoneità professionale.
Ho iniziato disegnando la pagina sul menabò di carta per passarla all’ufficio grafico. Oggi la mia giornata da deskista comincia scegliendo da un book elettronico i master delle pagine. Drag and drop, et voilà: la “cornice” è montata nello spazio che mi è stato assegnato. Quando ho cominciato mi sottolineavano l’importanza (e l’obbligo, se non si era fuori per servizio) di passare in redazione la mattina per leggere i giornali. Stamattina mi sono svegliato e prima d’uscire ho scaricato i quotidiani, letto la rassegna stampa pdf. Mi sono trovato “in redazione” digitando username e password, perché sono in telelavoro.
Oggi la mia redazione è ovunque.
Durante un convegno molto lungo posso sedermi (ecco, magari non proprio davanti al buffet) e iniziare a scrivere il pezzo. O impostare il titolo della pagina. Posso scaricare le fotografie via Usb, farle vedere in redazione, mandare ad un collega di Milano l’mp3 col discorso del suo sindaco in trasferta a Napoli.
Lo posso fare. Anzi l’ho già fatto.
Avevo – ed ho ancora – una rubrica telefonica di carta. Rossa, con la copertina rigida, ci sono un migliaio di numeri. Non la consulto più da anni e non perché la necessità di chiamare qualcuno si sia ridotta (o forse sì?) ma perché non ho più bisogno di annotare numeri con la penna. Che senso ha, non poterli mettere su un file e poi importarli nel Blackberry?
Per me, classe 1977, è cambiato molto meno di quanto è cambiato ad esempio per un collega nato nel 1950. Eppure, mentre per lui la “rivoluzione tecnologica” ha rappresentato sì il rischio di esuberi e prepensionamenti ma a fronte d’una carriera iniziata con tutti i crismi (contratto e solidità previdenziale, possibilità di promozioni), per me è stato l’inizio di una instabilità perpetua. Un pilastro di cemento piazzato tra il sottoscritto e i gradini della scala di mobilità sociale.
UNA MAPPA DELLA CRISI DELL’EDITORIA IN ITALIA
La premessa personale mi era indispensabile per introdurre un lavoro su quest’ultimo anno dell’editoria italiana.
Si tratta nient’altro che della riproposizione grafica, con Google Maps, dell’elenco delle circa 40 vertenze di lavoro portate avanti nel 2009 dalla Federazione Italiana della Stampa. Ristrutturazioni, cassa integrazione, contratti di solidarietà, esuberi, prepensionamenti. Una mappa ovviamente incompleta ma che conto di aggiornare via via, di aprire a collaborazioni.
A che serve riproporre così i dati?
Le vertenze editoriali dell’anno appena trascorso, sono tantissime per un piccolo Paese come il nostro: la riproposizione mash-up consente di rendere più evidente la gravità di tale situazione. Mi sono ispirato, pur non disponendo della complessa rete di “rumors” aziendali che ne costituisce l’autentica ricchezza, a Paper Cuts il sito americano che analizza giorno per giorno la crisi editoriale americana.
Ma cosa c’entrano l’esperienza in premessa e la crisi dell’editoria col futuro del giornalismo? Spesso di quest’ultimo si parla prescindendo dalla crisi. Del resto la Rete va avanti, i social media ribaltano e controribaltano vecchie gerarchie. Sempre più di frequente, forse a ragion veduta, si identificano la crisi del giornalismo con quella dell’editoria, entrambe contrapposte alla continua, positiva, evoluzione della Rete. Un assunto che ho sentito ripetere spesso in questo periodo è: la crisi è un’opportunità. Brutalmente: perché dovremmo preoccuparci del vecchio, se ci salverà il nuovo che avanza?
GLI EFFETTI DI QUESTA SITUAZIONE USURANTE
La scure sui posti di lavoro nel settore, nel biennio 09/10 (esuberi stimati dalla Fnsi: circa 700); la costante tensione tra le parti (editore vs. giornalista), i continui piani di riassetto e le diatribe sindacali si traducono nient’altro che in cure dimagranti repentine, dannose come solo le diete drastiche sanno essere.
La crisi si è palesata come una violenta spallata contro un giornalista già barcollante. Altro che schiena dritta! Il progressivo depauperamento delle redazioni e l’inasprimento dei rapporti aziendali non giova alla quiete e alla serenità che questo mestiere richiede.
A dispetto della mitologia cinematografica che restituisce l’immagine di cronisti travagliati e bohèmienne, la discesa “sul campo”, la cura delle fonti e la verifica delle informazioni sono possibili solo in un contesto di relativa tranquillità. Quindi senza gli affanni della produzione in tempi compressi, i carichi improbi di lavoro, la multipla fatica del cronista-deskista (articoli, più titoli, più impaginazione). In caso contrario è facile sbagliare e cadere per esempio in errore. Errore che per il giornalista sempre più spesso si tramuta nella temuta, e dispendiosa querela per diffamazione (o causa civile per risarcimento danni).
I detrattori dell’attuale modo di fare giornalismo conoscono bene certi vizi di questo mestiere: la riproposizione eterna di clichè, la poca voglia di scavare, rischiare, di cercare le “storie”. L’accontentarsi del “cotto e mangiato” che arriva dalle agenzie di stampa, il limitarsi al copia-incolla dai comunicati stampa. Sono solo alcuni degli effetti primari del sistema deprimente che abbiamo intorno.
Molti scordano che il giornalista è prima di tutto un lavoratore.
Guardando la mappa delle vertenze curate dal sindacato, si evince come la mannaia si sia abbattuta con forza sulle redazioni regionali. Parliamo di giornali piccoli e medi, all’interno dei quali ad ogni accenno di crisi le tensioni tra gli stessi dipendenti raggiungono livelli altissimi e si riverberano sull’intera catena di comando, dal caporedattore al redattore, dall’«abusivo di redazione» al collaboratore esterno senza contratto. Per quanti di loro, i nervi non avranno retto? E parliamo delle situazioni conosciute agli organismi sindacali e previdenziali. Ci sono tantissimi casi “invisibili”, conosciuti solo dai diretti protagonisti. Sarebbe interessante capire qual è stata, nel 2009, l’incidenza della spesa Casagit per psicoterapia, nonchè quantificare con le Assostampa locali le cause di mobbing. Potremmo trovarci davanti a due indicatori importanti degli effetti della crisi.
MA PARLAVAMO DI GIORNALISMO
Se se ne esce, saranno i dati della fine dell’anno a suggerircelo. Le previsioni sono discordanti, tuttavia una cosa la si può affermare con relativa certezza: l’editoria degli “anni zero” ci sta portando su strade nuove. Nuove nelle forme, nei contenuti, nei modelli di gestione e diffusione. E il giornalismo?
«Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti. Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno».
Così scriveva l’ironico narratore del Barbiere della Sera 10 anni fa. Nel corso di questo periodo si sarà probabilmente reso conto che non sono più le informazioni ad essere “riversate negli schermi” bensì sono gli utenti, i lettori, ad aggrapparsi ogni giorno a varie maniglie del sistema: una volta è il sito del quotidiano, un’altra volta è il social-media, l’altra ancora è il blog e chissà quante altre maniglie ancora.
Cosa farà ora, a dieci anni di distanza, quel «giornalista del portale ad ore?». Spero per lui che sia stato assunto. E che il suo portale sia sfuggito alla selezione darwiniana. Me lo immagino con un contratto al minimo tabellare, pochi incentivi alla formazione professionale, nessun integrativo in busta paga. E accanito lettore delle discussioni sul giornalismo che corrono in Rete.
Del resto, a dispetto della crisi, non ha mai perso la voglia di fare questo mestiere per davvero. Un giorno.
«We can work it out»
Beatles, 1965Bilancino della giornata. Vediamo… Oggi ho prodotto dieci – o dodici – aggiornamenti della Borsa. Altri tre o quattro
pastoni. Nessunafirma. Visibilità zero. Nebbia in Valpadana. Vieni all’online, dicevano, qui è il giornale del futuro.
“Perché comprare un giornale che esce una volta al giorno quando lo puoi avere aggiornato ogni ora?” Sì, ogni ora, ognimezz’ora, ogni minuto no? E perché no? Mortacci vostra… Ma noi siamo la punta di diamante del futuro. “Il futuro è qui”.
Il giornalismo di domani è questo. Giornalismo? Questo non è giornalismo, non per me almeno. Anche oggi non ho chiamato
nessuna fonte, non ho sentito nessuno, non ho visto niente.
Non ho messo fuori il piede dalla redazione. Ho passato i soliti 5mila lanci di agenzia quotidiani alla ricerca dellaNOTIZIA. Ho linkato siti e siti, documenti, file pdf, immagini e suoni. Ho seguito indici, opzioni, future, azioni,
obbligazioni. Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri
internauti.
Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno.Domani splenderà il sole e il Giornalismo ti bacerà in fronte.
Buonanotte.«Io lavoro al desk, di un portale a ore…» – Il Barbiere della Sera, dicembre 2000
UNA PREMESSA PERSONALE
Ho iniziato a fare il giornalista nel 1997. Allora, nelle piccole redazioni locali, non era ancora arrivata internet.
Delle prospettive di questo mestiere ne discutevano ai convegni negli hotel e ai festival in ridenti località balnearidocenti universitari e guru americani, sindacalisti e presidenti dell’Ordine professionale, direttori e importanti cronisti.
Nel 2010 non esiste una discussione sul giornalismo che prescinda dal confronto via internet.
Sulle regole e su certi meccanismi teorici di questo mestiere ho imparato di più leggendo sul web che preparandomi all’esamed’idoneità professionale.
Ho iniziato disegnando la pagina sul menabò di carta per passarla all’ufficio grafico. Oggi la mia giornata da deskistacomincia scegliendo da un book elettronico i master delle pagine. Drag & drop, et voilà: la “cornice” è montata nello spazio
che mi è stato assegnato. Quando ho cominciato mi sottolineavano l’importanza (e l’obbligo, se non si era fuori per servizio)
di andare in redazione la mattina alle 10.30 per leggere i giornali. Stamattina mi sono svegliato prima d’uscire, ho
scaricato i quotidiani e letto la rassegna stampa pdf. Mi sono trovato “in redazione” digitando username e password, perché
sono in telelavoro.
Oggi, la mia redazione è ovunque.
Durante un convegno molto lungo posso sedermi (ecco, magari non proprio davanti al buffet) e inizare a scrivere il pezzo. O
impostare il titolo della pagina. Posso scaricare le fotografie via Usb, farle vedere in redazione, mandare ad un collega di
Milano l’mp3 col discorso del suo sindaco in trasferta a Napoli.
Lo posso fare anzi, l’ho già fatto.
Avevo – ed ho ancora – una rubrica telefonica di carta. Rossa, con la copertina rigida, ci sono un migliaio di numeri. Non laconsulto più da anni e non perché la necessità di chiamare qualcuno si sia ridotta (o forse sì?) ma perché non ho più bisogno
di annotare numeri con la penna. Che senso ha, non poterli mettere su un file e poi importarli nel BlackBerry?
Per me, classe 1977, è cambiato molto meno di quanto è cambiato ad esempio per un collega nato nel 1950. Eppure, mentre per
lui la “rivoluzione tecnologica” ha rappresentato sì il rischio di esuberi e prepensionamenti ma a fronte d’una carriera
iniziata con tutti i crismi (contratto e solidità previdenziale, possibilità di promozioni), per me è stato l’inizio di una
instabilità perpetua. Un pilastro di cemento piazzato tra me e i gradini della scala di mobilità sociale.
UNA MAPPA DELLA CRISI DELL’EDITORIA IN ITALIA
La premessa personale mi era indispensabile per introdurre un lavoro su quest’ultimo anno dell’editoria italiana.
Si tratta nient’altro che della riproposizione grafica, con Google Maps, dell’elenco delle circa 40 vertenze di lavoroportate avanti nel 2009 dalla Federazione Italiana della Stampa. Ristrutturazioni, Cassa integrazione, contratti di
solidarietà, esuberi, prepensionamenti. Una mappa ovviamente incompleta ma che conto di aprire a collaborazioni. Magari di
affidare alla stessa Fnsi.
A che serve, riproporre così i dati?
Le vertenze editoriali dell’anno appena trascorso, sono tantissime per un piccolo Paese come il nostro: la riproposizionemash-up consente di rendere più evidente la gravità di tale situazione. Mi sono ispirato, pur non disponendo della complessa
rete di “rumors” aziendali che ne costituisce l’autentica ricchezza, a “Paper Cuts”, il sito americano che analizza giorno
per giorno la crisi editoriale americana.
Ma cosa c’entrano l’esperienza personale in premessa e la crisi dell’editoria col futuro del giornalismo? Spesso di
quest’ultimo si parla prescindendo dalla crisi. Del resto la Rete va avanti, i social network ribaltano e controribaltano
vecchie gerarchie. Sempre più spesso, forse a ragion veduta, si identificano la crisi del giornalismo con quella
dell’editoria, entrambe contrapposte alla continua, positiva, evoluzione della Rete. Un assunto che ho sentito ripetere
spesso in questo periodo: la crisi è una opportunità. Brutalmente: perché dovremmo preoccuparci del vecchio, se l’innovazione
arriva a passo di giava?
GLI EFFETTI DI QUESTA SITUAZIONE USURANTE
La scure sui posti di lavoro nel settore, nel biennio 09/10 (stimati dalla Fnsi in circa 700); la costante tensione tra le
parti (editore vs. giornalista), i continui piani di riassetto e le diatribe sindacali si traducono nient’altro che in cure
dimagranti repentine, dannose come solo le diete drastiche sanno essere.
La crisi si è palesata come una violenta spallata contro un giornalista già barcollante. Altro che schiena dritta! Il
progressivo depauperamento delle redazioni e l’inasprimento dei rapporti aziendali non giova alla quiete e alla serenità che
questo mestiere richiede. A dispetto della mitologia cinematografica che restituisce l’immagine di cronisti travagliati e
bohèmienne, la discesa “sul campo”, la cura delle fonti e la verifica delle informazioni sono possibili solo in un contesto
di relativa tranquillità. Senza gli affanni della produzione in tempi compressi, i carichi improbi di lavoro, la multipla
fatica del cronista-deskista (quindi articoli più titoli e impaginazione). In caso contrario è facile sbagliare e cadere per
esempio nella “buca” che per il giornalista spesso è la dispendiosa, pericolosa, querela per diffamazione (o causa civile
per risarcimento danni). Non solo quello: la riproposizione di clichè, la poca voglia di innovare di cercare le “storie”.
Accontentarsi del cotto e mangiato che arriva dalle agenzie e del copia-incolla dai comunicati stampa è uno degli effetti
primari del sistema deprimente che abbiamo intorno.
Un giornalista è prima di tutto un lavoratore.
Guardando la mappa delle vertenze curate dal sindacato, si evince come la mannaia si sia abbattuta con forza sulle redazioni
regionali. Parliamo di giornali piccoli e medi, all’interno dei quali ad ogni accenno di crisi le tensioni raggiungono
livelli altissimi e si riverberano sull’intera catena di comando, dal caporedattore al redattore, dall’«abusivo di redazione»
al collaboratore esterno senza contratto. Per quanti di loro, i nervi non avranno retto? E parliamo delle situazioni
conosciute agli organismi sindacali e previdenziali: ci sono tantissimi casi “invisibili”, conosciuti solo dai diretti
protagonisti. Sarebbe interessante capire qual è stata nel 2009 l’incidenza della spesa Casagit per psicologi e quantificare
con le Assostampa locali le cause di mobbing. Potremmo trovarci davanti a due indicatori importanti degli effetti della
crisi.
MA PARLAVAMO DI GIORNALISMO
Se se ne esce, saranno i dati della fine dell’anno a dirlo con certezza. Le previsioni sono discordanti, tuttavia una cosa la
si può affermare con relativa certezza: l’editoria degli “anni zero” ha cambiato strada. Nelle forme, nei contenuti, nei
modelli di gestione e diffusione. E il giornalismo?
«Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti.
Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno».
Così scriveva l’ironico narratore del Barbiere della Sera dieci anni fa. Nel corso d’un decennio si sarà probabilmente reso
conto che non sono più le informazioni ad essere “riversate negli schermi” bensì sono gli utenti, i lettori, ad aggrapparsi
ogni giorno a varie maniglie del sistema: una volta è il sito del quotidiano, un’altra volta è il social-media, l’altra
ancora è il blog e chissà quante altre maniglie ancora.
Cosa farà ora, a dieci anni di distanza, quel «giornalista del portale ad ore?». Spero per lui che sia stato assunto. E che
il suo portale sia sfuggito alla selezione darwiniana. Me lo immagino con un contratto al minimo tabellare, pochi incentivi
alla formazione professionale, nessun integrativo in busta paga. E accanito lettore delle discussioni sul giornalismo che
corrono in Rete. Del resto, a dispetto della crisi, non ha mai perso la voglia di fare questo mestiere per davvero. Un
giorno.
Il nono degli Eretici digitali
Non posso non pensare al mio telelavoro giornalistico quando leggo fra le tesi del manifesto degli Eretici digitali questa qui:
IX. Il reboot del giornalismo
Il giornalismo, sia quello dei grandi media sia quello praticato dal basso, deve rigenerarsi. Nelle pratiche, negli strumenti, nei modelli economici. Deve affrancarsi dai vizi della corporazione, trovare il coraggio di rimettersi in gioco, innervare le nuove modalità di raccolta, racconto e distribuzione di informazione con i principi base del mestiere.
Telelavoro for dummies
Bignami di storia del telelavoro su Current.tv. Carino anche se secondo me è troppo orientato sul telelavoro come possibilità solo femminile.
Reputazione aziendale. Del «ma che cavolo hai scritto!»
Chiunque lavori per una azienda – di qualsiasi tipo – e abbia un blog, sa benissimo cosa significa avere il coraggio di scriver male della sua ditta. Significa soprattutto ricevere entro i successivi venti minuti, una telefonata del tipo «ma cosa cazzo hai scritto!». Di solito chi chiama per dirtelo, anzi per “avvisarti”, è quello che t’ha cantato con tutta la scala gerarchica aziendale.
Peggio poi quando hai un ruolo, da quello manageriale a quello sindacale: le tue parole hanno già un peso specifico enorme, sul web diventano micidiali. E se poi, come succede a me, il 70% dei tuoi colleghi è in telelavoro e dunque ha la Rete come ossigeno, cosa accade? Ve lo dico io: è un delirio. Di voci, proteste, lamentele, sospetti, ipotesi e via discorrendo. Non è sempre male, però qualche volta mi sono stupito anch’io della facilità “di sentenza” che hanno molti colleghi (anche alcuni miei colleghi). A volte sembra un cannone in mano ad un bambino. Vabbè, tutto questo per introdurre l’indagine “Risky Business: Reputations Online” di Weber Shandwick. L’agenzia ha predisposto anche un vademecum di 15 consigli per evitare di trovarsi nella drammatica situazione del «…ma come ti è venuto in mente di scriverlo!».
Particolarmente condivisibile il punto numero 6 dello studio: «Traditional media outranks new media as reputation referee».