Napoli triste, solitaria y final

Pioveva e doveva perché è sempre stato così; pioveva e il cancello è rimasto chiuso. Perché è sempre stato così, al Comune di Napoli. Arrestavano gli assessori e pioveva tra i cancelli chiusi ai giornalisti, moriva suicida uno di loro, Giorgio Nugnes, i cancelli di nuovo si chiudevano e dio la mandava giù come non mai, da piazza Municipio a Pianura.
Per rispettare il cliché dei cronisti affannati ci siamo presentati sotto al Palazzo di corsa, dopo una giornata plumbea, strana. L'affannarsi consapevole da ultimi giorni di Pompei e le salette troppo strette del Consiglio affollate da politici di secondo e terzo taglio. È sempre stato così, ma quando le porticine di plastica della palazzina consiliare troppo stretta pure per contenere il nulla della politica napoletana, si sono chiuse, allora si è sentito l'odore di promesse trapelare. Le firme sono arrivate in fretta: alcune convinte e legittime, altre contorte e strane. Ma è la politica italiana: ci hai mai visto coerenza?

La saggezza della folla teorizzata da Surowiecki dovrebbe essere estesa alle telecamere e ai microfoni. Sono saggi: se si accalcano vuol dire che c'è notizia e se non c'è, ci sarà. La troveranno loro nelle frasi tese, nei passi veloci verso il cancello che si apre, sì, ma solo per fare entrare vigili, galoppini, consiglieri e assessori. Arriva il manager della società partecipata con l'Audi e ti convinci che è assolutamente giusto finirla qui, che Rosa Russo Iervolino mandata a casa è l'inizio del cambiamento dal punto più basso. Il portone è alto, tenuto bene. C'è pure una di quelle vecchie chiavi d'epoca, perfettamente funzionante. Quella è la chiave di Napoli. Nel taccuino annoto i passi che ci vogliono per uscire dal portone interno a Palazzo San Giacomo  e varcare la soglia. Sono una ventina. Rosetta non li percorrerà a piedi, l'auto blindata varca il portone, lei saluta e va via. Ci inventiamo coi vigili urbani che non ha salutato e rifiutato le interviste, ma ha anzi detto «salite sopra». Prima di aprire verificano e ovviamente, va male. Ma valeva la pena provarci: una volta sono entrato quando non potevo portando una busta della spesa, scambiato (e non ci vuol molto) per il ragazzo della salumeria. Oggi è più difficile: dopo dieci anni di frequentazione ti conoscono pure le pietre a Palazzo San Giacomo.

In questi anni le tecniche per «l'aggancio e la battuta» sono state molte. Dentro al corridoio del secondo piano (tanto pure deve uscire, alle due del pomeriggio); all'ascensore (quale dei tre? Se conosci il Palazzo lo sai); nell'androne (tanto pure deve entrare in macchina); dall'altro lato (l'accesso secondario del Palazzo che lei raramente usava; lo preferiva invece Bassolino, per evitare i cronisti).
Ci sarà tempo per le analisi ad ampio spettro, per il racconto politico spicciolo. La cronachetta degli eventi? Dovevano sfiduciarla, non ci sono riusciti, ma sono riusciti a dimettersi in 31, tanti per far sciogliere il Consiglio comunale. Nei trentuno c'è un ex assessore della prima giunta Iervolino e 4-5 Fregoli della casacca di partito. La fantastica regola del «morto il re, viva il re» a Napoli funziona alla perfezione: in queste ore già si cerca di capire come riposizionarsi sul dopo. Prevedo suicidi di massa tipo lemming e cambiamenti di rotta al pari degli stormi di rondini.

Dunque finisce così, l'ingloriosa stagione del post-rinascimento, la disillusione ha fatto il giro in tondo e s'è trovata davanti la stessa città, trasformandosi in disperazione e poi in noiosa attesa. Cupio dissolvi
E fuori pioveva: al capezzale del centrosinistra napoletano qualche puttana della politica ballava il suo sabba con una bisaccia piena di promesse. Un poco di rabbia ti sale. Ma quando erano loro in sella hanno fatto lo stesso, mi dico. E senza ombrello abbraccio l'R4.

Da consumare entro. Un’analisi del voto napoletano

comuneconscadenza

Le elezioni 2009 a Napoli dicono alcune cose importanti sul futuro della politica campana. E se come penso, questa città si è sempre dimostrata laboratorio per il resto del Paese (dal laboratorio può uscire anche Frankestein) alcune lezioni valgono per tutti. Vediamo un poco di sintetizzarle.

1. Napoli, Campania, Bassolino. Il governatore ha fatto scacco matto in tre mosse. Ha spedito il suo delfino, Andrea Cozzolino, in Europa; ha schiaffeggiato da una parte “Sua Sanità” Angelo Montemarano, dall’altra ha mandato con le pive nel sacco Luigi Nicolais, unico candidato agli enti locali (Provincia) non indicato da Bassolino in 15 anni, unico candidato agli enti locali campani che ha perso. E di molto, complice anche la sua spocchia.

2. Verdi, Comunisti, Rifondazione eccetera. Qui sono spariti. Puf, manco il mago Merlino. Dominavano, a Napoli, avevano (hanno) assessorati di gestione. E ora niente, il nulla. Molti passeranno nel Pd, altri faranno la spola fra i vari cespugli da zero-virgola-qualcosa.  Da queste parti è già iniziata la litania del “laboratorio rosso”, ipotesi messa in campo dai trombati (come dire: «Abbiam perso ma ora ne facciamo uno meglio». Meglio? Di cosa? Boh). A che serve, il laboratorio? A sperimentare alchimie con vecchie pozioni, mutazioni genetiche mostruose, oppure semplicemente  a perder tempo litigando per chi parla prima al microfono, in attesa della prossima mazzata?

3. Il PdL. Quando vince negli Enti locali in Campania è roba da stadio: ola, caroselli e bandiere. Si ma poi devi governare.  Per ora, alla Provincia di Napoli, fanno fatica pure a trovare assessori tecnici. Uno di loro me l’ha confessato candidamente: «Dove li trovi, i tecnici che in 15 anni non siano stati con Bassolino?». E pure han ragione, però la gente si aspetta una gestione diversa altrimenti son dolori.
E in fondo, Bassolino forse anche a questo, ha pensato, aspettando le Regionali 2010 che tracceranno il suo futuro (lui non può, ma riuscirà a piazzare un fedelissimo?) :  un anno di PdL alla Provincia, stretto fra due fuochi , Comune e Regione,  di centrosinistra, in un Ente tradizionalmente grigio e di poca visibilità, a cosa porterà? Di solito le “rivoluzioni” iniziano con cambiamenti tangibili (Bassolino dopo Tangentopoli nel 1993 si prese il Comune di Napoli) e la Provincia partenopea per compiti e competenze non li consente. Staremo a vedere.

Carte e cartuscelle

Questa bellissima rivista si pregia di raccogliere e render note le cartuscelle buttate chissadove da chissachi. Un poco alla Amélie (sì, con Nino Quincampoix  che c’ha la fissa delle fototessere). Una volta al giornale ci provammo, tipo una decina d’anni fa, sgraffignando gli appunti che Antonio Bassolino aveva lasciato sul tavolo della Sala Giunta. Roba innocente, eh, per lo più scarabocchi. Ora invece ‘sti pizzini  pur di non lasciarli se li mangerebbero.  (via F. Sibani)

Jesce sole. In difesa di Roberto De Simone

«Jesce sole
nun te fa cchiù suspira’
»

Qualche tempo fa, sul blog di Antonio Bassolino (quello pagato dalla Regione Campania) il governatore accennava a Jesce sole, che è una delle canzoni dell’opera teatrale “La Gatta cenerentola“. Perché è meglio ricordarlo? Perché proprio dalla Regione Campania, in queste ore, arriva una spallata senza precedenti a Roberto De Simone, che fu sì autore della celebre opera ma che è stato ed è  ancora un punto di riferimento musicale della città, nonché direttore del conservatorio di San Pietro a Maiella.
Accade che Claudio Velardi, eminenza grigia dell’ultimo Bassolino, star dei mass media, ex editore del Riformista e della liquidata Sherpa tv, gran cerimoniere del viraggio di don Antonio verso i lidi dalemiani scriva una lettera a De Simone, piuttosto risentito del fatto che il musicista abbia mandato a vattelapesca una non meglio precisata “mostra” nel conservatorio.

Afferma Velardi che Roberto De Simone «aderisce perfettamente a tutti i vizi di una città che sta morendo» con le sue «piccole rivendicazioni e i rancori quotidiani» ed incarna «il più assoluto immobilismo».
Fermiamoci qui. Ma questo De Simone è davvero così? E’ davvero lui quell’intellettuale altero e presuntuosetto così descritto? Esattamente un anno fa, pubblicavo qui un  post sul Forum delle Culture 2013, pregando Iddio che non venisse assegnato a Napoli. Ebbene, in uno degli incontri propedeutici alla candidatura partenopea, partecipò anche Roberto De Simone. Io c’ero, non era la prima volta che ci parlavo, ma mi colpiì profondamente. Un uomo coltissimo, uno studioso umile, una persona che non sfoggia nulla se non la sua straordinaria passione che trasuda in ogni parola.

Roberto De Simone è l’uomo che nel corso della sua vita ha raccolto libri, partiture, oggetti relativi alla storia della musica napoletana, un patrimonio d’un milione d’euro e più, re-ga-lan-do-lo all’amato conservatorio.

Dico io, perché a Napoli deve vincere sempre il più forte, il più tracotante? Perché chi utilizza meglio i media deve sopraffare gli altri? Perché un Velardi ora a milano deve far uscire uno sproloquio in ansa mentre De Simone a stento riesce a difendersi grazie allo spazio concesso dal Mattino? Dice Velardi in agenzia: «Questo episodio  è figlio di un rapporto potere-cultura sbagliato, di cui Bassolino e De Simone sono  responsabili allo stesso modo. Capisco De Simone quando si  lamenta per essere stato emarginato ma se dice ‘O lo faccio o  non se ne fa niente’ finisce per essere anche lui dentro questa  logica».

A parte che Velardi, evidentemente in crisi da orientamento (pensa di essere assessore al Turismo nel Canton Ticino e non nella Regione Campania comandata da Antonio Bassolino) attacca il suo presidente senza sentirsi in dovere di far fagotto (si chiama coerenza, rara come il tartufo d’Alba)  poi offende una persona insinuando un gioco di invidie e rancori.
Ma quando mai Velardi s’è occupato del conservatorio di Napoli, sconosciuto ai più e invece apprezzato nel mondo soltanto grazie all’impegno di chi vi lavora? Dio solo lo sa quale sia l’imperscrutabile disegno che fortunatamente ha evitato alle cavallette di partito di assediare il tempio della musica insegnata.
Insomma, assessore, stia zitto. Ci lasci ascoltare in silenzio quei grappoli di note che si sentono passando di mattina presto lungo le stradine del centro, magari sbirciando la vetrina di Colonnese.
E non cerchi di infangare quest’omino con mezzo dente in bocca, una passione smodata per la musica, una persona che tutta Napoli dovrebbe conoscere e ringraziare, ogni giorno.

Update: ieri Il Mattino di Napoli sulla vicenda ha sentito il parere di Riccardo Muti e oggi le dichiarazioni del maestro sono in pagina. Che dice Muti? Ovviamente l’unica cosa che bisognerebbe dire, ovvero che Roberto De Simone è già stato preso troppo a calci dalle istituzioni di questa città che dovrebbe invece osannarlo. E che gli attacchi sono «disgustosi».

Ma Bassolino quando metterà le museruole ai suoi?