Lettera sull’amore ai tempi di B.

Dice dimettiti. Dice che sei vecchio. Dice il ruolo delle donne, le nostre sorelle, mamme, eccetera eccetera. Che ne hai approfittato, che hai un ruolo e non lo rispetti, usi i soldi come il peggiore di quelli che le scelgono in strada.
E invece a me fa soprattutto arrabbiare che non ami. Guardo i tuoi omologhi nel resto d’Europa o in America: avranno pure la commara o la stagista, ma sono uomini tra gli uomini, amano, soffrono. Alcuni sono fedeli, che credi? Guardano la loro donna come forse avrai fatto anche tu  decenni fa, da giovanissimo, prima che milanodicemento, televendite e popolidellelibertà prendessero il sopravvento.
A me rompe proprio il cazzo che tu ignori quel sentimento. Non hai  mai avuto quell’aria tormentata che anche gli uomini insoddisfatti della tua età hanno, se non trovano quel che cercano nella donna con la quale per anni hanno condiviso tutto. Vuoi fare la rockstar ma pure i rocchettari scrivono una ballad ogni tanto, pure loro se ne escono con una lullaby per quella che fa battere il cuore. E tu? Bandana e cantante napoletano?

Vorrei vederti con una.  Anche giovane (pure se lo sai, vero, tu a cosa servi per le giovani.  Sei uomo di mondo ricordi che altri prima di te l’han fatto). Però, dico, vederti e sapere che vivi per qualcosa che va al di là di un festino selvaggio con tuoi coetanei arrapati e qualcuno che cerca di entrare nelle tue grazie. Vederti ogni tanto sospirare, ogni tanto sorridere beato pensando a lei, chiunque essa sia: l’amore senile è dolce e giustamente pretende rispetto.
E invece no: Obama abbraccia Michelle, tra Nicolas e Carlà scintille; Tony  e Cherie pure facevano i romantici a Downing Street. Tu sei lì,  vecchio, ad arroccarti. Non si sa per che cosa. Pretendi amore dal  tuo Paese e non capisci. Non capisci che siamo di passaggio e verremo ricordati  con affetto per due cose: quelle buone che facemmo e per l’amore che vi mettemmo.

Anti-sushi a prescindere

Apprendere dell’esistenza di un vero e proprio gruppo anti-sushi sulle belle pagine Food&Wine de l’Espresso, con tanto di manifesto “w il pesce cotto” di quel grande che è Gianni  Mura è un conto; leggerlo dopo una cena a base di sushi e Chirashi-zushi non ha prezzo, per dirla col noto slogan pubblicitario.

Non sono un esperto, al massimo potrei definirmi un  mangione di sushi. L’Espresso food&wine mette avanti il pericolo di questo parassita micidiale, l’anisakis. Vederlo fa schifo, pensare solamente che possa finire in corpo uccide ogni slancio gastronomico. Troppo semplicistico, però.
Mura, non è vero che «in Italia i fiori del mare si sono mangiati da sempre cotti, o almeno marinati»: a Napoli negli anni ne ho vista di gente che mangiava pesce crudo (che non preferisco, sia chiaro) molto tempo prima che moda del sushi dilagasse. Altra cosa importante: questo temibile parassita – come in un altro pezzo è correttamente scritto – crepa anche tenendo i tranci di pesce  per un giorno a -20 gradi centigradi (o per un quarto d’ora a -60° C) grazie ad un abbattitore, macchinetta del freddo d’obbligo in ogni sushi bar  o ristorante giapponese il cui proprietario voglia restare aperto per più di due giorni. E poi, diciamocela tutta, la schifezza la mangi molto spesso anche ben cotta e pagandola a peso d’oro: pensiamo a tutta quella carne tenuta male, ai formaggi marciti e serviti, ai prodotti abilmente falsificati. Perché dimostrare paura solo verso il sushi, apprezzato in tutto il mondo?

Dunque, caro, grande, Mura, non si tratta nè di resistere a mode nipponiche nè tanto meno dei vantaggi di mangiare “all’italiana”: chi ti serve il pesce col vermicello parassita (così’ come la bistecca avariata o il formaggio ammuffito o il vino al metanolo) è un delinquente. E basta.