Buon compleanno, Coordinamento

(non era mai accaduto: stare così tanto tempo senza scrivere qui. Ma scrivere qui non è come farlo su Twitter, su Facebook.  Da qui è iniziato tutto).

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Buon anno nuovo.

Che ci siano i Maya o sia un bisesto funesto non ci preoccupa più di tanto. Dovrebbe andar peggio? Dirlo è un vantaggio per chi vuole che non accada nulla. Già, perché ci solleva dall'idea che occorra energia – tanta – per poter cambiare qualcosa. Aspettando il versamento della sesta coppa e l'Armageddon qualcosa dobbiamo pur fare.

È stato un anno strano, il 2011 (e quando mai). I miei primi 365 giorni da ultratrentenne precario, ma di questo ne scrivo poi meglio. Ho girato, ascoltato molto. Impari ad ascoltare con l'età.

L'urlo strozzato in gola di chi vorrebbe e ne ha possibilità, ma non può. Non ce la fa. Tutti inchiodati qui come laboriosi criceti. Dice Raffaella: «Ammetteremo di essere messi male solo quando ci toglieranno la connessione adsl e non potremo più lamentarci via Facebook?».

«Nulla è sicuro, ma scrivi». diceva Fortini. Scrivere è fatica sempre meno considerata, sempre più malpagata. Molti giornalisti dicono una cosa che condivido: ormai a portare notizie si diventa quasi fastidiosi.

Meglio i giornali, tv, radio e web piene di nulla.  Del resto: media tranquilli, popoli muti.

Per raccontare i giorni nostri, quel nostro tempo che è adesso, dobbiamo riappropriarci anche dello spazio fisico. Quando avevo 16 anni erano i centri sociali, c'era "fame" di luoghi. Ora il luogo è Rete. Però ogni tanto quella rete va stesa, per capirne la lunghezza, capire dove si dirige e quant'è grande.

Noi, due anni fa, fondavamo il Coordinamento dei Giornalisti precari della Campania. Non esisteva nulla del genere. Abbiamo fatto tanta strada. Long and winding road. Vite, stili e idee diverse a sintetizzare un unico obiettivo: accendere riflettori su questo mestiere. Ci siamo riusciti, in parte. La Carta di Firenze, il bene confiscato alla camorra.
Ma tanto c'è da fare, ancora.

Buon compleanno, Coordinamento.

 

 



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Napoli, il centrosinistra e il gioco dei quattro Cantone

Esattamente un mese fa si votava  per le primarie del centrosinistra sindaco di Napoli, un mese dopo quelle votazioni drammatiche si sono trasformate in una farsa, nemmeno di buon livello. Nessuno sa, un mese  dopo, chi ha vinto: fu congelato tutto per sospetti brogli. Ma nessuno sa, un mese dopo, se qualcuno ha davvero imbrogliato. Il rischio è che se c'è un lestofante sia ancora tra quei 44mila e passa che hanno votato il possibile candidato a sindaco del centrosinistra. Insomma, è stato come giocare al tressette a perdere e la posta in palio era la città di Napoli. Siamo a marzo, il 15 maggio ci sono le elezioni e non c'è una faccia, una squadra, un programma. Ah, non c'è nemmeno la dignità: l'eventuale candidato sarà figlio di questo pasticcio delle primarie e con quale faccia si prensenterà in giro?

Tra i candidati del gioco "lose-lose" e cioè Nicola Oddati, Andrea Cozzolino, Umberto Ranieri e Libero Mancuso c'è sempre Raffaele Cantone anche se il giudice sta dicendo ogni giorno a tutto il mondo che non vuole, che non è cosa, che non si candiderà. Cambierà idea? A questo punto meglio un candidato perdente che uno con possibilità ma pregato fino allo stremo. Il crazy horse napoli ha davvero bisogno di qualcuno che abbia paura di salirci in sella?

 

Update: il buon Cantone proprio oggi pomeriggio ha spento ogni possibilità. «Sto bene dove sto» ha detto. Dunque il Pd deve raccogliere le ceneri del disastro  primarie e rimettersi alla ricerca disperata di un nuovo candidato. Con quali possibilità, non si sa.

Familismo e pregiudizio. Napoli, il Pd e gli uffici stampa

In such condition, there is no place for industry; because the fruit thereof is uncertain: and consequently no culture of the earth; no navigation, nor use of the commodities that may be imported by sea; no commodious building; no instruments of moving, and removing, such things as require much force; no knowledge of the face of the earth; no account of time; no arts; no letters; no society; and which is worst of all, continual fear, and danger of violent death; and the life of man, solitary poor, nasty, brutish, and short.
Thomas Hobbes

Parto da questa illuminazione del filosofo britannico Hobbes, che introduce “Moral Basis of a Backward Society” ,  ovvero “Le basi morali di una società arretrata”, di Edward C. Banfield. Una bella considerazione, un pretesto (ma si badi, non un MacGuffin di hictcockiana memoria) che arriva ad una conclusione generale ma non spiega la storia. Quindi dietrofront e spieghiamo dall’inzio.

Succede che un’assessore comunale del Partito Democratico a Napoli,  Graziella Pagano, sulla sua pagina di Facebook scrive che il figlio, giovanissimo collega napoletano, ha ottenuto il posto di capo ufficio stampa del Pd al Consiglio regionale della Campania. Apriti cielo: fioccano commenti, c’è un articolo sul sito de Il Fatto quotidiano che penso sia sta uno dei più commentati in assoluto;  ce n’è uno su Il Giornale molto duro; si scatena una guerra sui social network.

Anzitutto, una considerazione iniziale: c’è una  sottovalutazione di Facebook come strumento di comunicazione o viceversa è la scelta di una platea così variegata per anticipare polemiche che sicuramente sarebbero nate? Secondo me “buona la prima”: l’assessore non poteva immaginare che attraverso condivisioni “like” e commenti la notizia sarebbe esplosa sui giornali. Al Comune di Napoli gli assessori su Facebook  sono 6 (almeno così mi pare), la metà di questi sono sicuramente politicamente attivi anche sul social network, forse non tutti hanno ben presente la portata del mezzo.

Insomma; l’accusa dei commentatori web è  di aver favorito il ragazzo nell’ottenere l’ufficio stampa regionale istituzionale del partito. Una sorta di  “parentopoli”? Vediamo cosa diceva il compianto filosofo torinese Norberto Bobbio rispetto a questo termine così abusato dai giornali:

Anteporre l’interesse individuale all’interesse collettivo è una delle considerazioni alla base de “Le basi morali di una società arretrata”. Dice sostanzialmente Banfield che in Italia regna il familismo amorale. Pensiamo – soprattutto nel Sud – al bene della famiglia nucleare e non alla collettività, da questo derivano i nostri guai sociali.

Però l’assessore in questione si difende: essendo uno dei pochi  assessori “politici” e non tecnici del Comune, si difende anche con forza. Dice che il figlio è bravo e lavorava già bene con uno dei consiglieri regionali di punta del Pd come ufficio stampa; che lei, la madre, non ha spinto per la nomina e soprattutto che l’ha scelto il Pd non certo un singolo.

Sulla bravura non discuto, non ne ho le competenze.  Penso che non sarà facile portare avanti la comunicazione regionale di un partito campano lacerato e in emorragia di voti. Poi lo so per esperienza, l’ufficio stampa è come l’allenatore: è il primo a pagare se la squadra perde. Il fatto che Lorenzo – questo il suo nome del collega – sia giovanissimo, francamente non è una diminutio. Semmai dobbiamo chiederci come mai ci sono ancora degli ottuagenari e pensionati d’oro che fanno i giornalisti, togliendo posto ai giovani, in Campania. Su questo il mio sindacato, quello dei giornalisti, non dice nulla.

Le questione etica? Banfield traendo le conclusioni del suo lavoro  sosteneva che in una società di familisti amorali (diamo per assunto che la nostra lo è) «non ci sarà alcun collegamento tra i principi astratti, politici o ideologici, ed il concreto comportamento quotidiano». Molti hanno considerato l’urlo di gioia dell’assessore-mamma su Facebook una plateale dimostrazione del fatto che i “figli di” vanno avanti e gli altri restano dietro. Dunque un comportamento che contrasterebbe con un Pd che proprio in questi giorni di elezioni primarie per il sindaco di Napoli è tutto un fiorire di “etica” ;  “attenzione ai giovani”, “nuove opportunità”.

Dovendo esprimere una opinione sull’argomento, mi sono arrabbiato anche io. Non per il posto di lavoro al figlio dell’assessore, ma per la poca cura con il quale è stato comunicato. Singolare che un politico di lungo corso abbia scelto di dare una notizia con quella che equivale ad una raffica di mitra  sul muro telematico con migliaia di contatti, in una città come Napoli, dove l’iniquità è la legge e dove si sospetta di tutto  e del contrario di tutto, anche di quel poco che c’è di buono.  Dunque si è mischiata la rabbia con la frustrazione ed è stato tirato in ballo tutto e il contrario di tutto.

Però voglio dirlo: bene hanno fatto mamma e figlio ad incassare senza minacciare aggressioni legali che avrebbero ancor più stravolto la vicenda. Non è da tutti: conosco per esperienza personale politici del centrosinistra che aggrediscono i giornalisti per intimidirli.

Tornando alla vicenda: mi viene da pensare che stavolta “la famiglia amorale” non è quella nucleare, quella tradizionale, come dice Banfield. È invece quella del partito che a mio modo di vedere, dalle sue ramificazioni nazionali fino a quelle locali, dovrebbe cambiare. Dovrebbe affidarsi ad un modello assolutamente diverso per la scelta dei soggetti della comunicazione .

Dovrebbe aprirsi agli stage,  alle idee (no, non è veltronismo!) ai giovani sconosciutissimi. Agli stranieri  perché no: ce lo vedi un ragazzo tedesco che conosce l’italiano (magari un Erasmus) a fare una esperienza nello staff della comunicazione politica in Campania?
Ecco, il grande errore è stato semmai considerare l’attuale Partito Democratico “diverso” da qualsiasi azienda. Non lo è! Dunque se ne traggano le conseguenze e lo si lasci libero di scegliere nomi e cognomi.
Per dirla alla Eduardo De Filippo del “Natale in casa Cupiello”: «Ve la piangete voi e le vostre anime dannate»; le indignazioni e i petti battuti in quest’Italia, incapace di quello che i tedeschi chiamano  fremdschämen è francamente fuori luogo.


Limoni geneticamente modificati (e notizie) che non lo erano

Qualche giorno fa, l’allarme: a Terzigno, lì dove c’è una battaglia tra popolazione locale e Stato per la discarica nel parco del Vesuvio, nascono limoni così:

Dopo qualche giorno, arriva la risposta, pressoché ignorata dagli stessi che avevano denunciato mutazioni genetiche tipo il pesce a tre occhi dei Simpson: non è colpa dei rifiuti, ma di un acaro, chiamato Eriophyes sheldoni. Bastava “googlarlo”.