Feltri, il giornalismo e la noia di scrivere e leggere di mafie

Oggi Vittorio Feltri in un fondo sul Giornale dice di essersi annoiato a leggere di mafia. Anzi di mafie. Sostanzialmente afferma: questo è un fenomeno proprio di una certa zona geografica, se la spicciassero da soli, perché dovremmo parlarne?

Feltri confessa: «L’ultima volta che ho letto un articolo sulla mafia credo risalga a trent’anni orsono. L’argomento non mi interessa, a meno che non sia trattato da Leonardo Sciascia». E poi dice che non ha mai visto “La Piovra” e si è annoiato con la saga de “Il Padrino”.

Buon per lui: per quanto la saga di Placido-commissario Cattani e quella della famiglia Corleone siano state un successo planetario non è da lì che deve partire un giornalista per comprendere il fenomeno  mafioso. Dovrei esprimere il mio stupore dinanzi ad un giornalista italiano convinto che i fenomeni di macro-criminalità restino al loro posto. È assolutamente dimostrabile, infatti, che la criminalità imprenditoriale come quella di mafia, camorra, ‘ndrangheta, sacra corona unita, non resta buona e tranquilla a casa sua. Anzi.
Come fa a non saperlo?

Feltri va oltre. Ben oltre ogni immaginazione:

L’aspirazione della maggioranza degli italiani è di non essere confusa con la minoranza di siculi e calabresi e campani che delinquono su «scala industriale». Insistere nel mettere a fuoco una questione marginale, per quanto grave, quale la mafia, contribuisce allo sputtanamento del Paese, dipinto all’estero come un nido immenso di vipere dove trovare un onesto è impresa sovrumana.È vero. Al Centro e al Nord dello stivale la filiera mafiosa ha affondato qualche radice: ovvio, il denaro sporco si aggrega a quello pulito. Ma diciamolo chiaramente: il vivaio della piovra è in acque meridionali ed è lì che bisogna agire per eliminarlo. Ancora più crudelmente: se questo è un affare siciliano, se lo grattino i siciliani. Ma grattino forte.

Che bel lavoro da guastatore. Egli confonde il lavoro giornalistico sulle mafie con una certa narrazione che gli risulta indigesta (quella di Roberto Saviano, tanto per chiarirci).
E poi, come un ottuso conservatore della ricca provincia chiude la porta in faccia al paziente lavoro di documentazione e indagine portato avanti da decine di suoi colleghi. Spesso in condizioni ambientali difficili per non dire pericolose (caro Feltri secondo te Giancarlo Siani era un noioso cronista di roba che avrebbe fatto meglio a farsi i cazzi suoi?). Vittorio Feltri fa finta che non esista il livello di collegamento tra mafie e colletti bianchi, la politica: loro sono i cattivi beceri poi c’è l’Italia normale. Bianchi e neri. Magari fosse così. E invece l’Italia del malaffare è grigia e si nutre di insospettabili. L’editorialista del Giornale definisce Brusca un ‘panzone’, Provenzano un analfabeta. Ma dimentica che proprio in questi giorni si discute del fatto che qualcuno, definitosi Stato, s’è forse seduto proprio con personaggi di questa risma per trattare le condizioni d’una indecorosa resa.

Troppo facile così, troppo facile dire «Non ci possiamo fare niente. Libera nos a malo». Magari. E invece il prodotto di ciò che tu chiami “cosa loro” caro Feltri te lo trovi nelle università milanesi, sotto forma di terza generazione di mafiosi-camorristi-ndranghetisti aspiranti manager. Te lo trovi nelle tue candide banche che lavano, lavano milioni e milioni. Te lo trovi negli stakeholder d’un interesse che ha milioni da ripulire e investire in fretta ovunque nel mondo. Nei generi alimentari avvelenati, falsificati, sofisticati, nelle case del Nord costruite con cemento casalese, nei bar e nei night che parlano calabrese, nellamappata‘ d’assegni riconducibili all’ex primo ministro d’Italia e capo della più potente industria privata televisiva e ad un senatore della Repubblica gravato da sospetti grossi come macigni.

Evidentemente è politicamente comodo cavarsela con un “guardiamo avanti” . C’è una Italia che avanti non può guardare senza aver capito cosa gli sta succedendo. Feltri la  vede quest’Italia? Che brutto dev’essere per un cronista aver ristretto la propria visuale al cortile di casa.

Fortunatamente non siamo tutti così.


Annoiano, fanno ridere

i padri quando raccontano la loro guerra.
ma milioni milioni di persone non sanno ancora
mentre i fascismi rigerminano

Questo scriveva Danilo Dolci molti anni fa. C’è ancora un germe da eliminare, in Italia. E i pilateschi comportamenti alla Vittorio Feltri non aiutano nessuno.

 

Sequestro e risarcimento: cosa ha deciso il giudice per Il Casalese oggi

Attendevamo con ansia un verdetto, ci è arrivato un qualcosa che non è un verdetto ma non è nemmeno una condanna. Insomma, il giudice che aveva in mano il destino de Il Casalese e doveva stabilire se accettare o no (con il criterio dell’urgenza ex articolo 700) il sequestro e la distruzione del libro-inchiesta di 9 giornalisti su Nicola Cosentino, richiesta avanzata dal fratello del parlamentare Pdl, Giovanni, ha scelto di non decidere.

Per cui il giudizio, sarà ripreso da una Sezione ordinaria del Tribunale di Napoli in quanto il giudice Anna Giorgia Carbone, accogliendo la prima delle contestazioni mosse dalla difesa della casa editrice, si è dichiarata incompetente. Era accaduto, infatti, che i legali dell’industriale Giovanni Cosentino si fossero rivolti impropriamente alla Sezione Specializzata in materia di proprietà industriale ed intellettuale. Sarà, dunque, una Sezione ordinaria a dover esaminare il secondo motivo della opposizione dell’editore alla procedura di urgenza.

Significa tre cose:
la prima è che oggi – fortunatamente – non sarà nè sequestrato nè distrutto il libro;
la seconda è che non è assolutamente scartata questa ipotesi: dovrà deciderlo un altro giudice;
la terza è che resta la richiesta di risarcimento da 1,2 milioni di euro.

Il Casalese e il contagocce. Verso l’udienza sul sequestro

Domani, martedì 24, saremo di nuovo al Tribunale di Napoli per sapere cosa ne sarà de Il Casalese. Su questo libro pende una richiesta di sequestro e distruzione delle copie sul mercato più una richiesta di risarcimento danni, intentata da Giovanni Cosentino, fratello del più noto Nicola, pari a 1,2 milioni di euro.

Il giudice è chiamato a valutare solo la richiesta di sequestro e distruzione e spero lo faccia, spero non vi siano ulteriori rinvii: si tratta di una procedura d’urgenza – voluta dai Cosentino – e stavolta speriamo di avere una sentenza. Andare in giro a raccontare del libro sta diventando una esperienza strana: sembra di avere  il contagocce in mano e dover prosciugare un oceano. Ad ogni incontro, presentazione, dibattito, si arriva ad un punto in cui qualcuno dice “quindi questa potrebbe essere l’ultima volta che lo presentate, vero?”. Sì, sembra assurdo ma potrebbe essere l’ultima volta. E lo dico oggi, nella giornata mondiale del libro.

Primarie, della dismissione del Pd napoletano, della negazione del voto

Facciamo ordine.
Primarie per il sindaco di Napoli: candidati del Partito Democratico Andrea Cozzolino (bassoliniano, europarlamentare); Nicola Oddati (bassoliniano ma meno, assessore comunale); Umberto Ranieri (sostenuto dal partito nazionale). Il favorito è Ranieri ma vince Cozzolino: accuse di brogli, si parla di settori del centrodestra che avrebbero aiutato e sostenuto Cozzolino. C’è un video in cui si vedono frotte di inconsapevoli cinesi al voto per indicare il sindaco di Napoli, ci sarebbero delle foto che documenterebbero certi sporchi giochi,  foto che il segretario napoletano Pd, Nicola Tremante spedisce a Bersani & co. Bersani che fa? Blocca l’assemblea nazionale del Partito Democratico che doveva tenersi guarda caso proprio a Napoli. Interviene Roberto Saviano che dice: no, rifate tutto. E dato che ci siete candidate il giudice anticamorra Raffaele Cantone. Cantone dice “no grazie”, c’è Antonio Di Pietro che butta davanti il fratello-coltello di Idv, Luigi De Magistris. E spunta anche il nome del procuratore Paolo Mancuso. Domani Cozzolino ha radunato i suoi  al Palapartenope di Napoli: si faranno sentire.

Questo è il bignami della crisi. Cosa se ne deduce?

1. Cos’è accaduto?. I brogli, se ci sono stati, vanno comunicati con dovizia di particolari a tutti. Eh no, non è che fai una accusa, la butti lì e poi lasci a due video e due foto la decisione. Hanno votato non solo iscritti al Pd, ma anche cittadini non legati al partito. Vogliamo dire che tutti sono complici di eventuali brogli?

2. Saviano. Ora, è noto che non mi sta simpatico, ma ha espresso legittimamente una opinione. Il punto è: quest’opinione diventa la linea del partito? Bersani è così debole e timoroso, il principale partito dell’opposizione è così inguaiato da piegarsi ad ogni “buh”? Decidere di smantellare tutto solo per non uscire male sui giornali significa sostanzialmente far passare un messaggio berlusconiano: chi più bastona, la vince. Non può e non dev’essere così.

3. Il candidato a sindaco. Napoli è una città particolare. Velenosa, piena di invisibili insidie che per un amministratore sono la cosa peggiore. Non serve solo un nome, serve una squadra decisa, compatta e forte. Altrimenti, ammesso che si riesca a vincere, si è ostaggio di tutti i partiti. Fra poco esploderà la febbre delle elezioni: già vedo frotte di candidati a sindaco, una fiumana di gentucola alle 10 Municipalità, accordi, sottoaccordi e triangoli per aggiudicarsi il voto in un vicolo, in un parco residenziale, fra le bancarelle del falso, tra i parcheggiatori abusivi.
Far arrivare un’anatra zoppa a Palazzo San Giacomo significa consegnare le chiavi di Napoli all’illegalità diffusa e ai poteri che mettono mano dove devono mettere. Le mani sulla città, avete presente? Il Pd si sta prendendo questa responsabilità, oggi.

4. La camorra. La camorra si posiziona non rispetto ad un ragionamento mafioso di “entrare a Palazzo”, bensì rispetto alle minime convenienze. Trattandosi di gruppi divisi e in guerra, non ci sarà una “camorra” che sostiene in blocco uno o l’altro candidato. Ma gruppi criminali che decidono di capire cos’è più conveniente qui e subito. E agiscono di conseguenza. Non è bianco contro nero, buoni contro cattivi. E’ tutto grigio alle elezioni a Napoli. Nel grigio bisogna stare attenti alle sfumature. Per questo un uomo solo al comando non basta. Serve  una squadra, un partito e soprattutto la convinzione di poter andare avanti a dispetto dei tanti venti contrari.

Il Partito Democratico per Napoli invece ha progetti diversi: l’importante è la discontinuità coi nomi del passato e la lontananza con l’ombra di Antonio Bassolino che inevitabilmente aleggia su ogni vicenda. Ma questo ha un prezzo enorme, ovvero la distruzione del consenso: coi brogli, con i veleni e le schifezze non basta un articolo di uno scrittore  e due video per sputare in faccia ad una consultazione popolare.