Ecco la bozza di riforma dell’Ordine dei Giornalisti. Pubblicisti alla svolta, professionisti a rischio saturazione

In calce pubblico la bozza di riforma dell’Ordine dei giornalisti. O meglio, il cosiddetto “progetto di ricongiungimento”. Dalla bozza che l’OdG ha approvato ieri e che sarà presentata al ministro della Giustizia Severino, emergono dati importanti che è bene sottolineare in maniera schematica per renderli più chiari.

1. I pubblicisti continueranno a lavorare; l’obbligo di esame di Stato è solo per loro;
2.  Sull’assicurazione obbligatoria OdG ha chiesto al ministero una deroga per i giornalisti. Mi sembra una cosa importante: far gravare su cronisti precari che arrivano  a prendere la bellezza di 3,4 euro a pezzo, una assicurazione obbligatoria è assurdo. A me pare un regalo alla lobby delle compagnie;
3. Il progetto di “ricongiungimento” se venisse così accettato dovrebbe entrare in vigore a fine anno. Dunque a fine 2012 gli attuali giornalisti pubblicisti dovrebbero andare al loro ordine regionale a chiedere il riconoscimento del praticantato in questo nuovo modo.

Le mie considerazioni personali sono che per i giornalisti pubblicisti è indubbiamente una svolta: è un albo che si era svuotato di significato e di utilità. Sui  professionisti occorrerà decidere paletti rigidi. O si rischia una fiumana di professionisti, un tesserificio degli inutili, un ingrossamento delle  fila  del giornalismo professionale con improbabili personaggi.
A dirla tutta, io mi aspetterei anche un irrigidimento dell’elenco pubblicisti con un maggior controllo sulle scuole di giornalismo e sulla qualità degli insegamenti che  in molti casi non mi sembrano particolarmente all’altezza. Staremo  a vedere

I criteri del passaggio pubblicisti-professionisti sono nel documento in calce.
LINEE GUIDA DI RIFORMA DELL’ORDINAMENTO GIORNALISTICO

Il Consiglio nazionale dell’Ordine dei giornalisti evidenzia la peculiarità del ruolo del giornalista da intendersi come strumento di democrazia fondato sull’art. 21 della Costituzione e finalizzato a garantire il diritto all’informazione dei cittadini, indispensabile per compiere scelte libere e consapevoli.

Accesso alla professione e tirocinio

Accesso alla professione giornalistica è libero. Ferme restando l’unicità dell’Albo la permanenza dei due Elenchi e i diritti acquisiti dagli iscritti all’entrata in vigore riforma, l’accesso alla professione di giornalista dovrà avvenire attraverso l’esame di Stato. Per sostenere l’esame di Stato gli aspiranti giornalisti dovranno possedere una laurea ed aver svolto un tirocinio di 18 mesi. Le forme di tirocinio saranno individuate in un regolamento e potranno essere:

– praticantato aziendale
– frequenza master dell’Ordine
– frequenza di corsi universitari post laurea in giornalismo
– sistematica collaborazione equamente retribuita in testate giornalistiche

A far data dall’entrata in vigore della riforma, chi avrà superato l’esame, sceglierà se iscriversi nell’Elenco professionisti o in quello di Pubblicisti, non possedendo il requisito di esclusività professionale. Chi ha già superato l’esame di Stato per l’iscrizione a un diverso Albo professionale e ha svolto tirocinio giornalistico, può accedere direttamente all’Elenco pubblicisti.

Formazione permanente
La formazione permanente è compito essenziale dell’Ordine. Il principio, da introdursi nella regolamentazione riformatrice, persegue l’obiettivo di stabilire un obbligo di aggiornamento, contravvenendo il quale si determina un illecito disciplinare. La formazione permanente dovrà essere coordinata dal Consiglio nazionale mediante appositi regolamenti, sarà obbligatoria- stante l’unicità dell’Albo – per tutti gli iscritti, e avverrà tramite l’attribuzione di crediti.

Assicurazione
L’assicurazione obbligatoria per i rischi derivanti dall’esercizio dell’attività professionale non è conforme alla specificità della professione giornalistica.

Consiglio disciplinare
L’attività disciplinare, essenziale per il rispetto della deontologia e il diritto dei cittadini ad una informazione corretta e completa, garantisce la terzietà attraverso la separazione dei consigli dell’Ordine dei consigli disciplinari ed  svolta come segue:

a) Il consiglio disciplinare regionale è composto da otto membri. Viene eletto dai Consigli regionali tra gli iscritti all’Albo con almeno 15 anni di iscrizione che non abbiano subito sanzioni disciplinari definitive. I membri non sono eleggibili per più di due mandati consecutivi e sono incompatibili con ogni altra carica negli organismi di categoria, pubblici e privati. Il consigliere istruttore del procedimento non partecipa al voto.

b) Il consiglio disciplinare nazionale, che svolge funzioni di seconda istanza è composto da quattordici membri effettivi eletti dal Consiglio nazionale dell’Ordine tra gli iscritti all’albo, con almeno 15 anni di iscrizione e che abbiano ricoperto la carica di consigliere regionale o di consigliere nazionale dell’Odg ovvero di componente di consiglio di disciplina Il consigliere istruttore del procedimento non partecipa al voto. I membri non sono eleggibili per più di due mandati consecutivi e sono incompatibili con ogni altra carica negli organismi di categoria, pubblici e privati. La durata del mandato è pari a quattro anni, salvo il primo che avrà durata biennale.

La distinzione tra funzioni di amministrazione e di disciplina esige una congrua riduzione del numero dei componenti del Consiglio nazionale.

Norme transitorie per l’accesso all’esame di Stato
L’iter transitorio di accesso all’esame di Stato dovrà esaurirsi nell’arco massimo di un quadriennio e sarà regolato da precise norme, fermo restando che i pubblicisti, non intenzionati ad avvalersi di tale normativa, restano iscritti all’elenco di appartenenza. La norma è tesa a garantire i diritti acquisiti. Non interferisce con i canali di accesso tradizionali: praticantato aziendale, riconoscimento d’ufficio, scuole di giornalismo, tutoraggio per i free-lance

Requisiti
-Iscrizione all’elenco Pubblicisti
-Esercizio esclusivo dell’attività giornalistica in forma di sistematica collaborazione retribuita per almeno 36 mesi nell’ultimo quinquennio
-Certificazione del rapporto contrattuale e comunque continuativo nel periodo equivalente, compresa la documentazione fiscale (Cud o dichiarazione dei redditi)
– Attestazione della regolarità contributiva previdenziale per i compensi percepiti per il periodo equivalente.
Presentazione di almeno 150 articoli firmati o siglati per anno, relativi all’ultimo triennio. Egualmente va definito nel dettaglio la presentazione del proprio materiale nelle testate radiotelevisioni (congruo numero di Dvd con il timbro del direttore responsabile, l’indicazione del canale e dell’orario). Per chi fa lavoro di desk testimonianza del caposervizio o di due redattori art. 1. Per chi lavora negli uffici stampa attestazione della responsabilità diretta di un congruo numero di comunicati stampa e cartelle stampa, articoli in house-organ e pubblicazioni attinenti, e della responsabilità organizzativa di conferenze stampa da parte del giornalista responsabile.

Accesso all’esame di Stato
La verifica dei requisiti, effettuata dagli Ordini regionali secondo le linee guida approvata dal Cnog, consente l’iscrizione ai corsi di formazione.
Il tirocinio pratico previsto dalle norme sul praticantato viene considerato assorbito dallo svolgimento dell’attività giornalistica secondo quanto indicato dal titolo “requisiti”.
Il tirocinio teorico, finalizzato all’acquisizione dei fondamenti culturali, giuridici e deontologici della professione giornalistica, si realizza in un corso di formazione  impartite – a cura e sotto il controllo del Cnog in strutture riconosciute – anche per via telematica.
Il superamento della prova finale del corso di formazione costituisce titolo, con decorrenza retroattiva di 18 mesi, all’iscrizione al Registro dei Praticanti e consente l’accesso all’esame di Stato.

 

Non è poi così lontana Samarcanda

 

Ricordi messi in fila: il mio quaderno delle scuole superiori, annotare le notizie del tg (in pratica giocavo a fare il giornalista e nemmeno lo sapevo). Diciannove anni fa  ed ero un quindicenne che ascoltava. La città oggi stretta e impossibile all'epoca mi sembrava enorme, tutta da scoprire, da leggere e interpretare. La vecchia tv quella sera trasmetteva un telefono che squillava, una redazione schierata e sullo sfondo il cadavere di Salvo Lima: era il periodo delle stragi siciliane e non vollero far andare in onda la trasmissione. Il direttore generale della Rai era Gianni Pasquarelli. È cambiato qualcosa? Dico, è cambiato qualcosa? Io ho i capelli bianchi e faccio il giornalista: a quei tempi guardavo la piazza e il tizio col microfono in mano. Riuscirò a fare le domande come lui? Riuscirò a capire cosa chiedere alla gente? È cambiato qualcosa?

A quella trasmissione ne seguirono delle altre: "Il rosso e il nero", "Tempo reale", "Sciuscià", "Il raggio verde". Cause in tribunale, autorithy, editti bulgari. C'è stata una scuola di cronisti che pur non facendo parte di quei lavori si è formata intorno a quel modo di fare la cronaca e non solo quella televisiva. Coi limiti del populismo e della faziosità ma al tempo stesso il profondo coraggio. Mostrarono ch'era giusto bussare ai citofoni e perseguitare, sì, perseguitare, la gente evasiva, elusiva, i potenti senza risposte alle domande giuste.

Per questo motivo, con tutti i limiti che ti appaiono chiari con l'età e – purtroppo o per fortuna – ti distruggono i miti, ogni volta non posso far a meno di pensare a Libero Grassi seduto sulla poltroncina, a Giovanni Falcone, al cadavere di Salvo Lima e il telefono che squillava provocatoriamente.

A quei tempi molti di noi impararono il giusto dell'indignazione collettiva, anni luce prima di internet, facebook e delle campagne di libertà un tanto al chilo. Imparammo l'opposizione che non si mostrava a casa, a scuola, tra le pagine del giornale della sera. Insomma, ad essere cittadini e uomini mediamente coraggiosi. Poi se qualcuno di noi ha scelto di fare per mestiere quello che racconta le cose, dovrebbe essere ancor più grato. Io sono uno di quelli.

 

Todo sobre mi candidato, ovvero il tatuaggio su Napoli. La storia scritta dai perdenti

Tatuarsi la pelle non significa scriverci sopra e via. È piuttosto scegliere il punto giusto tra la profondità della carne e l'epidermide. Così da incastrare l'inchiostro in un posto visibile all'esterno ma al tempo stesso protetto. Non è tutto immediato: serve il tempo giusto per applicare il pigmento; occorre calma. E precisione. Potrebbe uscire un poco di sangue: non bisogna spaventarsi. Alla fine è come una lucida ferita, protetta con la scivolosa paraffina per qualche giorno. La pelle si risana e farà il suo corso.

Ecco: un sindaco è sostanzialmente un tatuaggio sulla città.

Dovranno passare altri giorni prima che io riesca a descrivere con sufficiente lucidità cos'è successo da quando ho iniziato questa campagna elettorale fino ad oggi che ne realizzo la conclusione. Ora sono a casa: il telefono squilla ma non furiosamente. E ho dormito più di sette ore: non mi capitava da mesi.

Non esordirò dicendo di aver trovato e di aver lavorato (non da solo, ma poi ne parlo) per un risultato difficile e di aver fatto il massimo: sapevamo che i candidati a sindaco di Napoli (tutti) non sono Barack Obama, JFK o Gorbaciov. Voglio definire numericamente questo ragionamento. Alcuni sondaggi li trovate poi su internet. Altri no, sono stati commissionati in maniera privata e non ritengo di doverli divulgare visto che non li ho pagati io.

Insomma: alla fine di marzo Swg dichiarava Mario Morcone conosciuto dal 31-32 per cento circa dei napoletani interpellati. Venti giorni dopo quella percentuale era aumentata al 46-47 per cento e successivamente ha tallonato i livelli (comunque meno del 70 per cento) di Gianni Lettieri. Con una differenza: mentre Lettieri ha avuto una bassa percentuale di fiducia rispetto alla notorietà ("ti conosco ma non mi fido") con Morcone i due aspetti sono andati sempre parallelamente. De Magistris, invece, è conosciuto (come Mastella) dall'80 per cento della popolazione con una fiducia più bassa di una quindicina di punti (significa che lo conoscono anche nel centrodestra). Ci sono state le disastrose primarie Dem: con Mario Morcone la prima, frenetica, fase della candidatura, quella del "posizionamento" si è consumata sollecitando la gente del Partito democratico dove il candidato non era conosciuto.

Dunque molto del pochissimo e prezioso tempo a disposizione è stato speso appresso alla gente che in una elezione comunale avrebbe già dovuto conoscere vita morte e miracoli del suo candidato.  Occorreva rassicurare un elettorato arrabbiato per le primarie e per l'amministrazione uscente e poi propagare il messaggio. Già: l'amministrazione Iervolino. Giudicata negativamente da quasi il 90 per cento dei napoletani nelle rilevazioni di aprile. Una enormità politica, un iceberg al cui confronto le primarie erano uno scherzo. Un cataclisma con il quale ci siamo scontrati ogni giorno, fino all'ultimo.  Perché se le primarie sono state sostanzialmente una figuraccia irrisolta, la malagestione del Comune di Napoli è stato un pugnale conficcato  nella schiena del candidato dal primo all'ultimo giorno.

Defendit numerus: De Magistris ha iniziato prima ma è stato bravo a rimettere in moto intorno a lui pezzi di città atrofizzati. Altri pezzi che prudentemente (sì, è un eufemismo per definire i furbi) sono stati alla finestra ad attendere si sono messi in moto mezzo minuto dopo il primo turno. Ma questa è la politica.

Tornando alla comunicazione: particolarmente contento del fatto che nelle rilevazioni su Facebook la pagina di Morcone era seconda solo a quella dell'europarlamentare Idv che era ed è una potenza sui social network. E noi avevamo iniziato a fine marzo. Nessun segreto particolare: solo il racconto quotidiano delle attività (alla fine eravamo arrivati ad un post ogni 40-60 minuti) e una conversazione continua via social, via mail, con chi scriveva.

Il tatuaggio è venuto male e l'abbiamo visto, chiaramente. Scrivo questo post prima di conoscere il risultato del ballottaggio, ma non mi faccio troppe illusioni sul dopo: seguo da cronista le attività del Comune di Napoli da abbastanza per non riuscire più ad esaltarmi. Ci sono tante cose che ho imparato, in questi mesi: magari le racconto con calma.

Però una cosa ci tengo a dirla: un grazie grande grande a coloro i quali hanno preso parte a questa frenatica e affannosa corsa. Tantissima bella gente ed è stato il regalo più grande di quest'esperienza. Pur scrivendo da perdenti non siamo sicuramente noi gli sconfitti di questa campagna.

 


 

Informazione come l’acqua

Di una manifestazione un cronista annota anzitutto tre cose: dov'è iniziata, dove si è conclusa e quanta gente vi ha preso parte. Ieri alla manifestazione contro il precariato a Napoli non c'era tanta gente. Almeno non in proporzione al problema per il quale si manifestava. Per le donne ad esempio c'era molta più gente. Perché?

Mi viene in mente che un anno e mezzo fa, quando nasceva incassando ironiche battute e ilari sgomitate dei colleghi, il Coordinamento giornalisti precari della Campania, ebbe analogo problema. La relativa partecipazione fisica a fronte di una intensa partecipazione sui canali sociali web. C'è una diffidenza di base, mutuando un celebre sketch di Totò la chiamo "diffidenza Pasquale" ("Vediamo questo stupido dove vuole arrivare"): la gente, in una città così teatrale, dove scendere in corteo è come andare su un palcoscenico, crede poco nella spontaneità di certe reazioni al sistema. E poi: negli ultimi anni hanno reso la piazza un continuo test, in cui se non raggiungi X presenze la tua voce non è valida (anche ieri l'hanno fatto, il ministro Sacconi ha detto che si trattava di pochi ragazzi pilotati eccetera). Non sembra, ma è un modo per intimidire le persone: attento che fai flop, questo è il messaggio. La gente, assuefatta alle tivvù, addormentata dal "tanto non cambia un cazzo", non rischia anche di partecipare alla minoranza. Una perfetta spirale del silenzio.

Nonostante tutto, però, noi ieri eravamo in piazza. Per la prima volta da quando faccio questo mestiere ho visto i giornalisti in corteo per una rivendicazione salariale non legata al rinnovo del contratto. Insomma, per la prima volta Napoli gridava una cosa semplice: l'informazione è un bene comune, come l'acqua. E tutti ne devono fruire dell'acqua e delle notizie: pulite, libere. Lo scandalo è che siamo finiti ad urlare in piazza anche questo.