Gomorra la serie, Il Camorrista e Napoli

Gomorra, Il Camorrista e Napoli

«Is this the real life?
Is this just fantasy

La terza stagione della serie tv Gomorra è finita, a Napoli non si parla d’altro. Non è la prima volta che uno sceneggiato televisivo fa breccia nei partenopei: nel corso degli anni è accaduto molte volte e non è stato nemmeno necessario che il prodotto parlasse di Napoli. Ricordo i tempi delle soap opera venezuelane, c’era “Anche i ricchi piangono”, con Veronica Castro e nel mercato di via Vergini alla Sanità vendevano ‘e mutande tale e quali a quelle ‘e Luis Antonio’ che era il suo virile fidanzato sudamericano.

Qui però parliamo di camorra e di Napoli. Ma facciamo un passo indietro. Negli anni Ottanta fra un poliziottesco e un Mammasantissima di Mario Merola fu girato il film “Il Camorrista”, regia di Giuseppe Tornatore con Ben Gazzara, musiche di Nicola Piovani. Due futuri premi Oscar e un ottimo attore italoamericano. Con Tornatore e Piovani ne ho parlato di persona in interviste che non ritrovo. Ne parlai anche con Nicola Di Pinto, bravissimo, che interpretava Alfredo Canale, il luogotenente del professore di Vesuviano, ovvero il Raffaele Cutolo così come raccontato dal bel libro di Joe Marrazzo.
Il Camorrista. Libro e pellicola avversate dallo stesso Cutolo; il lungometraggio ebbe successo solo anni dopo, grazie all’incessante tam-tam delle tv private napoletane che lo trasmettevano in continuazione.
Per anni le battute del film imparate a memoria dai ragazzini – me compreso – furono quelle del camorrista Alfredo che venne ucciso dal suo stesso boss. Nel 2005, quando Saviano e Gomorra non esistevano, ci feci una pagina di giornale che custodisco ancora. La versione digitale è qui per leggere ciò che segue dovete dagli una occhiata.

Soffermatevi sull’intervista all’attore Di Pinto. Ne pubblico uno stralcio.

«E quindi, al di là del film cult, la cosa brutta è che è diventato film “di emulazione”».
Si spieghi.
«Vede, le persone a Napoli dopo tanti anni mi fermano ancora perché miriconoscono come il personaggio che ho interpretato nel film, (Alfredo Canale braccio destro del professore di Vesuviana ndr.) Ricordano a memoria battute che io altrimenti avrei dimenticato da anni».
Qualche aneddoto particolare?
«Si, ne ricordo uno: passeggiavo per Napoli e, passando vicino ad una chiesa chiusa, i ragazzini seduti sulla scalinata mi hanno riconosciuto e hanno iniziato a cantare il motivetto della colonna sonora (scritta dal premio Oscar Nicola Piovani ndr.). E ancora:a Scampìa ad esempio mi consideranouna vera star. La gente ricorda a memoria le parole che pronuncia il mio personaggio quando lo ammazzano nelle docce del carcere di Poggioreale. La cosa che stupisce è che le battute sono recitate da ragazzini di 7-8 anni».

Questo è quanto mi veniva detto 12, quasi 13 anni fa.
Vi ricorda qualcosa dell’attuale polemica sulla serie tv di Sky?

La verità, secondo me, è che vivendo di social network viviamo soprattutto di tendenze. Viviamo di qui e ora filtrato da un algoritmo. Quando però ci sforziamo di inscrivere gli avvenimenti in un contesto sociale e storico ecco che abbiamo molte risposte che non troveremmo nelle letture superficiali degli avvenimenti o nelle frenetiche ricerche su Wikipedia. Del rischio di emulazione si parlava trent’anni fa, se ne parla ancora. Dunque siamo frutto di trent’anni di emulazione di film e serie televisive?  O semplicemente è un rischio sovrastimato ma che ben si presta alla polemica giornalistica e politica?

Uno dei più bravi cronisti di giudiziaria a Napoli, il giornalista dell’Ansa Enzo La Penna ha scritto, ironico, su Facebook: «La violenza non è colpa di Gomorra. Quando al cinema vidi Il conte Dracula, con Christopher Lee, non mi saltò in mente di addentare al collo l’uomo dei gelati o la cassiera».

Ultima cosa: preferisco I Soprano. Una serie tv meravigliosa. Mentre di bei film sulla mafia italoamericana ce ne sono molti (dalla trilogia del Padrino a Quei bravi ragazzi) le sei stagioni dei Soprano dal 199 ad oggi non hanno ancora degni concorrenti.

Che c’è di falso nella serie tv Gomorra

In tutte le puntate della terza stagione della serie tv Gomorra non c’è concreta traccia (tranne un accenno, nella vicenda di Scianél) di magistratura e forze dell’ordine. Questa cosa non è piaciuta a molti. È un racconto nero, senza speranza, l’unica redenzione – che tale ovviamente non è – è la morte. La tv dev’essere educativa? Karl Popper e John Condry avevano le idee abbastanza chiaresull’argomento.  Bisogna distinguere la cronaca dalla fiction, il fatto dalla sceneggiatura. La carne viva dalla recitazione.

Gomorra non è camorra. Quello che vedete in Gomorra non è reale. Sono descritti avvenimenti che potrebbero riferirsi a fatti realmente avvenuti ma i comportamenti e gli esiti, ovvero le reazioni degli uomini e delle donne ne sono estranei. Ogni prodotto di finzione si regge sul carattere semiotico della sospensione dell’incredulità. Gomorra ti vuol convincere che non esiste altro che se stessa.
Beh, sappiate che non è così.

Volete che vi spieghi due, due soltanto delle tantissime cose che una serie tv non racconta e che smontano i miti dei camorristi, altro che Stregone, Scianél, Sangue blu e Immortale?
Ne ho parlato qualche giorno fa con un investigatore napoletano che vive al Nord; concordavamo su molti fatti.

L’OCCC. Ordinanza di custodia cautelare in carcere. Si tratta di un arresto mentre già sei in galera. Significa che probabilmente hanno scoperto qualche altra cosa su di te, che la tua posizione si aggrava, che avrai altre indagini, forse un altro processo, un trasferimento di carcere. Insomma è un altro muro davanti al muro della cella. Spesso per i boss, per gli affiliati, per i killer è una mazzata micidiale:  altro iter giudiziario, altri soldi per gli avvocati e la sensazione di dover finire i propri giorni in cella, magari passare al carcere duro.

L’agente polizia giudiziaria che va a consegnare l’Occ guarda il carcerato e dice: «Lo sai perché sto qui? Ah non lo sai, eh? Non sai niente, eh? Tu stavolta stai inguaiato…».

La famosa ormai ‘paranza dei bambini’ questi ‘ferocissimi baby killer’? Molti sono cocainomani persi, se stanno 4-5 giorni senza assumere stupefacenti accusano ovviamente l’astinenza. E ognuno ha ovviamente reazioni diverse. Certi sperando di poter finire in cura o alleggerire la propria posizione raccontano pure quando rubavano le caramelle alla Prima Comunione. Peggio ancora quando sono ancora latitanti. Pensate davvero che se ne stiano buoni e silenziosi parlando di ‘fratellanza’? Stanati come ratti, molti cedono dopo pochi giorni di fuga.
Certo, ci sono i figli del boss di Secondigliano Paolo Di Lauro ancora latitanti, è vero. Ma arriverà pure il loro momento.

È giusto dirle, queste cose. Affinché circolino argomenti validi per parlare a chi discetta dell’aderenza del prodotto alla realtà di Napoli e del rischio di emulazione che nasce con Gomorra. È tutto molto diverso, è tutto molto più complicato.
La fiction televisiva poi fa il suo corso. La assorbiremo, metabolizzeremo i linguaggi che non sono nient’altro che parole già esistenti nei rioni, portate alla ribalta dalla tv e diventate di uso comune, un vocabolario del ghetto che diventa all’improvviso un bestseller. Contestualizzeremo delle realtà.
Ma nessuno si è inventato nulla. C’è solo un megafono più forte e ammaliante. Le ‘stese’ , quelle scorribande criminali da far west con proiettili che piovono su muri e serrande, esistono fin dagli anni Ottanta. Non è stata una serie tv ad inventarle né a determinarle.
Al tempo stesso la fiction che si ‘scorda’ il ruolo di polizia, carabinieri, finanza, magistratura, manca di elementi fondamentali, diventa una specie di Un posto al sole dark.

Altre cose sparse.
Mai sentito in Gomorra il rapporto tra clan e tifoserie calcistiche. Rapporti consolidati e verificati storicamente. Perché? Per non creare imbarazzo ad un mondo – reale – che muove un sacco di quattrini? Per non infastidire i tifosi abbonati alle pay-tv (complotto mode on)?  C’è poco anche dei livelli di contiguità coi partiti politici (pure verificati, in Campania). Paura, eh?

Certo: una fiction non ha il dovere di raccontare tutto. Chi la scrive ha però il dovere di non sovrapporre reale e invenzione dichiarando la seconda figlia della prima per poi separare i livelli quando conviene.

E infine al tempo stesso chi pone un prodotto televisivo tra i mali della città non fa altro che usare una patetica scusa quale paravento delle sue mancanze. Magari perché è un pessimo sindaco. No?

«La natura per imitare le battaglie è troppo debole.
La poesia non muta nulla.
Nulla è sicuro, ma scrivi».
Franco Fortini – Traducendo Brecht

 

 

È stato accoltellato un ragazzo

Via Foria, angolo via Cesare Rosaroll. Napoli centro. È successo ‘o guaio.
Quando succede il guaio non è mai da un momento all’altro. I mesi antecedenti la morte tragica di Annalisa Durante a Forcella il rione era già in guerra. Ciò che accadde, la morte innocente e il dolore che ne seguì fu la pentola esplosa. Ma la fiamma era accesa già da tempo. E il calderone già era infuocato. Così pure in questa zona.
Io la conosco bene, ci vivo.
Ho scritto non dell’accoltellamento del povero Arturo né della manifestazione successiva, ma di quello che vedo lì tutti i giorni. Preferisco parlare del poco che so, piuttosto che costruire castelli di retorica.

Alla manifestazione non ci sono andato. Non ero obbligato da cronista, non volevo andarci da cittadino. Rispetto molto chi sfila in corteo, non rispetto chi si mette in testa ai cortei e ha invece un incarico politico ovvero dovrebbe garantire la legalità o tentare di farlo. Circola unafotografia del sindaco di Napoli in ospedale con il ragazzo ferito da venti coltellate, pubblicata da almeno due dei principali giornali napoletani. Mi pare sia il simbolo eccellente della polemica tra media televisivi, narrazione della città, cronaca e stereotipo.

La camorra tra cronaca e immaginari new mediali

Mentre la camorra televisiva  riscuote successo, quella filtrata dagli occhi degli storici del fenomeno non gode della stessa fortuna. Il bel lavoro dello storico Marcello Ravvedutoper la Fondazione Polis su camorra e rappresentazione del fenomeno camorristico ha bisogno di maggior diffusione e attenzione. Devo dire che le slide illustrate durante la presentazione dello studio avrebbero aiutato, ma non sono disponibili online,  vi dovete accontentare della sintesi.

Ecco cosa succede a Napoli dopo un omicidio di camorra

Ho pensato fosse utile spiegare cosa succede a Napoli dopo un omicidio di camorra. Ovviamente di cose ne accadono tante, ma ci sono fasi che potrei definire ‘standard’ nell’opinione pubblica, soprattutto in quella che utilizza i social network anche per esprimere opinioni sulla propria città. Io non sono immune da questo quadro che ho racchiuso in una comoda infografica. Buona lettura.

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Commercianti e merce contraffatta: legalità ma senza parlare di camorra

Vabbè questa prima immagine non dice molto, se non per il marchiano errore ortografico nello slogan. L’ho trovata su Facebook, incautamente postata da qualcuno e ne ho biecamente approfittato per riportarla qui. Poi l’errore l’han no corretto. E arriviamo all’immagine che segue:

I commercianti napoletani aderenti a Confcommercio sono arrabbiati perché ci sono tante bancarelle del falso. Hanno ragione, via Toledo è diventata una cosa allucinante, ci metti meno a trovare un Gucci, D&G  o un Prada pezzotto che uno originale. Sicuramente quello finto costa meno ed è imitato bene (poi si sfascia dopo due giorni, ma è un altro discorso). Della campagna di Confcommercio contesto due cose. La prima, è questo improponibile terzo monte vicino al Vesuvio (tipo un terzo capezzolo) che addirittura erutta. Ecco, chi ha ideato questa campagna non sa quanto possa mettere di cattivo umore vedere qualcuno che ipotizza il Vesuvio eruttante. I napoletani che non hanno mai visto il vulcano all’opera ne hanno sentito parlare solo allo stadio (Vesuvio erutta per noi / erutta per noooiii). Quindi no, decisamente non è stata una mossa azzeccata.

Vogliamo parlare dello slogan?  “Abusivi e merce contraffatta veri nemici della legalità”. Perché esistono anche i “falsi” nemici? E soprattutto: se vuoi parlare di nemici veri, dici parole vere. L’unico vero nemico della legalità, in questo campo, è la camorra. Ca-mor-ra. Così si chiama. Ci sono dei clan del centro storico specializzati nel fornire pellame, tessuti, accessori, macchinari, alle botteghe disseminate nei vasci, nei sottoscala, nei giardini di tutta Napoli. Il giro d’affari è fiorente, non lo dico io, lo dicono gli specialisti.

Chiamarlo “sistema criminale” non è una mossa astuta in termini di chiarezza; non si può più usare la scusa che il termine camorra non è conosciuto ad esempio dai turisti stranieri. Approposito: ma com’è possibile tradurre in quattro diverse lingue (inglese, spagnolo, francesce, tedesco) l’avviso di sanzione pecuniaria in caso d’acquisto di prodotti contraffatti e non tradurre lo slogan della campagna? Insomma, si è persa una buona occasione e soprattutto si è dimostrata una cosa ahimè triste: la parola “camorra” fa ancora paura.

Titoli di libri da offrire per pubblicazione a nota casa editrice milanese

  • Napoli e la camorra: un binomio possibile?
  • I Casalesi e il loro contributo all’edilizia campana
  • Camorra e politica: una bella storia di fantascienza
  • Il 41 bis (libro con comodi inserti da staccare, compilare e restituire ai parenti durante i colloqui del venerdì)
  • L’emergenza rifiuti, la gabbianella e il gatto che le insegnò a magnare nei sacchetti. Favola
  • Intercettare è un po’ come morire – horror
  • L’Amore vince sempre sull’Invidia e sull’Odio – bestseller.