C’è Posta per te si ricorda che l’Italia è povera e le banche non danno mutui. Campagna elettorale?

Il povero siciliano che raccoglie lumache per venderle e sfamare la famiglia, “assistito” da Gerry Scotti che fa il suo sproloquio sui politici che rubano. La coppietta di Taranto che vuole sposarsi ma non riesce ad accendere il mutuo e Maria De Filippi se ne esce con l’Ilva e le banche che non danno fiducia se non a chi i soldi già ce li ha.

Insomma: “C’è posta per te”, Canale 5, prima serata del sabato, pubblico di anziani e di coppie di lungo periodo (magari proprio quelle che risparmiano per sposarsi) scopre oggi che ci sono i poveri in Italia. Che sta succedendo? Non potendo spostare i voti si sta trasmettendo il messaggio che “è tutto uno schifo” e che il voto non conta un cavolo? Sfiducia al cambiamento alle urne, sottomessaggio “disertare” ? A chi giovi, eventualmente, tutto ciò, una idea ce la siamo fatta: a quelli che sanno di perdere. E che non potendo appunto vincere, cercano almeno di scavare e togliere terreno.

Non è poi così lontana Samarcanda

 

Ricordi messi in fila: il mio quaderno delle scuole superiori, annotare le notizie del tg (in pratica giocavo a fare il giornalista e nemmeno lo sapevo). Diciannove anni fa  ed ero un quindicenne che ascoltava. La città oggi stretta e impossibile all'epoca mi sembrava enorme, tutta da scoprire, da leggere e interpretare. La vecchia tv quella sera trasmetteva un telefono che squillava, una redazione schierata e sullo sfondo il cadavere di Salvo Lima: era il periodo delle stragi siciliane e non vollero far andare in onda la trasmissione. Il direttore generale della Rai era Gianni Pasquarelli. È cambiato qualcosa? Dico, è cambiato qualcosa? Io ho i capelli bianchi e faccio il giornalista: a quei tempi guardavo la piazza e il tizio col microfono in mano. Riuscirò a fare le domande come lui? Riuscirò a capire cosa chiedere alla gente? È cambiato qualcosa?

A quella trasmissione ne seguirono delle altre: "Il rosso e il nero", "Tempo reale", "Sciuscià", "Il raggio verde". Cause in tribunale, autorithy, editti bulgari. C'è stata una scuola di cronisti che pur non facendo parte di quei lavori si è formata intorno a quel modo di fare la cronaca e non solo quella televisiva. Coi limiti del populismo e della faziosità ma al tempo stesso il profondo coraggio. Mostrarono ch'era giusto bussare ai citofoni e perseguitare, sì, perseguitare, la gente evasiva, elusiva, i potenti senza risposte alle domande giuste.

Per questo motivo, con tutti i limiti che ti appaiono chiari con l'età e – purtroppo o per fortuna – ti distruggono i miti, ogni volta non posso far a meno di pensare a Libero Grassi seduto sulla poltroncina, a Giovanni Falcone, al cadavere di Salvo Lima e il telefono che squillava provocatoriamente.

A quei tempi molti di noi impararono il giusto dell'indignazione collettiva, anni luce prima di internet, facebook e delle campagne di libertà un tanto al chilo. Imparammo l'opposizione che non si mostrava a casa, a scuola, tra le pagine del giornale della sera. Insomma, ad essere cittadini e uomini mediamente coraggiosi. Poi se qualcuno di noi ha scelto di fare per mestiere quello che racconta le cose, dovrebbe essere ancor più grato. Io sono uno di quelli.

 

Che ti fici, Rete 4, per meritare questa mancanza di rispetto?

Sto riguarando, nonostante il cofanetto dvd, Il Padrino I su Rete 4 e scopro con raccapriccio che il doppiatore di Al Pacino è stato cambiato! Non più Ferruccio Amendola ma un’altra voce, non si sa di chi, un vero strazio. Sono cambiati tutti i doppiatori, Marlon Brando ora sembra una caricatura.

Che strazio, ma chi cazzo l’ha deciso?

Stampa gratuita, ma l’informazione ha sempre un costo e un valore

Nel treno per pendolari, su cui salgo la mattina per recarmi al lavoro, l’unico, o quasi, a leggere un giornale comprato all’edicola sono io.

Così inizia un interessante articolo dello scrittore e saggista Marco Belpoliti su La Stampa incentrato sui quotidiani free press in Italia. Al di là di una realtà («la free press è in crisi») e di un bel passaggio su EPolis, il giornale cui sono ovviamente legato («EPolis, che probabilmente è stato il più innovativo nella scrittura giornalistica..) Belpoliti sostiene una tesi in parte vera, circa la  particolare tipologia di diffusione dei giornali gratuiti e certi loro inconsapevoli  “meriti” :

La free press è un fenomeno che occupa le prime ore del mattino. Nei luoghi più frequentati della città un folto numero di extracomunitari distribuisce i giornali davanti alle stazioni dei treni e del metrò, nei piazzali dei pullman e nelle strade più frequentate. I lettori sono quasi tutti pendolari, per la maggior parte immigrati. Si tratta di fogli ricchi di pubblicità: piccola pubblicità locale che non entra nei giornali maggiori o nelle riviste, perché troppo costosi. Sono letti da un pubblico poco acculturato, con consumi orientati verso i gadget e gli oggetti di largo consumo. Tuttavia un merito la free press l’ha, e davvero grande: ha insegnato l’italiano agli immigrati. Nel corso dell’ultimo decennio i principali lettori sono stati peruviani, ecuadoriani, colombiani, romeni, albanesi, polacchi, ovvero molte delle nazionalità arrivate in Italia. Forse bisognerebbe pensare di dare un premio speciale alla free press: sono stati il maestro Manzi della nuova alfabetizzazione all’italiano. Non è mai troppo tardi, come si chiamava la trasmissione televisiva di Manzi. Anche con la free press.

Il riferimento al celebre “maestro della tivvù” che attraverso il mezzo televisivo contribuì non poco ad unificare il linguaggio dell’Italia dei cento dialetti è sicuramente bello. E parte da un dato vero, cioè quello della stampa gratuita sempre più vicina ai gusti degli immigrati: se n’è accorta già da tempo la pubblicità, tant’è  che spesso i quotidiani gratuiti ospitano ad esempio inserzioni di operatori di telefonia mobile italiani, ma scritti in lingua straniera e con offerte per contattare ad esempio il Nordafrica o l’India o l’Est Europa.
Ma questo basta a far considerare i giornali gratuiti un fenomeno legato solo agli immigrati: li leggono loro, giusto perchè sono gratuiti? Secondo me no ed è l’errore commesso da Belpoliti: non aver colto in pieno ciò che è accaduto in questi anni, in particolare con l’avvento di una certa free press di qualità, non certo «fogli ricchi di pubblicità» (magari fosse stato così…). Secondo me nel suo treno, Belpoliti avrebbe dovuto chiedere ai compagni di viaggio la nazionalità. Avrebbe appreso che sono per lo più italiani: il mercato degli immigrati è sì in aumento ma non certo predominante.

Altra questione. La stampa gratuita, mi riferisco soprattutto a quello che per 4 anni è stato EPolis, ha preso il posto di molti giornali di cronaca locale, ha ricostruito un legame tra il lettore e il “suo giornale”, distrutto negli anni dalla corsa ai contenuti nazionali, al web più 2.0, alle sinergie fra testate dello stesso gruppo allo scopo di contrarre i costi il più possibile.
Come? Con un impianto grafico agile, con pezzi non superiori alle 45 righe, fotografie usate non come riempitivo ma come elemento della notizia, titoli a due righe con occhiello e un sommarietto, dunque capaci di spiegare bene una notizia, senza ridurla a stupidi calembour.

Avendo lavorato per un decennio in piccoli giornali definiti con epiteti tipo «giornalaccio»; «giornaletto»; «giornale scandalistico» eccetera, non sopporto poi quando si definisce un giornale «minore». È ovvio che se definisci – l’articolo di Belpoliti lo fa  un giornale «maggiore» è perché pensi ve ne sia un altro di segno opposto. Non è solo orgoglio, ma l’idea insopportabile che noi del «giornaletto minore» magari non ci prendiamo le responsabilità come «quelli grandi».
Eh no. Se il maestro Manzi aveva la bacchetta e la lavagna ma per finta, per ricreare un ambiente scolastico negli studi televisivi, chi ha scritto su un giornale quotidiano sa bene che le necessità, i rischi, le possibilità di trovare notizie buone. E soprattutto sa bene che si può fare informazione.  Informazione di servizio? Sì, ma è affatto una funzione secondaria rispetto a quella delle testate principali, zeppe di editorialisti e di lenzuolate sulla politica  nostrana, ormai illegibili.