C’è Posta per te si ricorda che l’Italia è povera e le banche non danno mutui. Campagna elettorale?

Il povero siciliano che raccoglie lumache per venderle e sfamare la famiglia, “assistito” da Gerry Scotti che fa il suo sproloquio sui politici che rubano. La coppietta di Taranto che vuole sposarsi ma non riesce ad accendere il mutuo e Maria De Filippi se ne esce con l’Ilva e le banche che non danno fiducia se non a chi i soldi già ce li ha.

Insomma: “C’è posta per te”, Canale 5, prima serata del sabato, pubblico di anziani e di coppie di lungo periodo (magari proprio quelle che risparmiano per sposarsi) scopre oggi che ci sono i poveri in Italia. Che sta succedendo? Non potendo spostare i voti si sta trasmettendo il messaggio che “è tutto uno schifo” e che il voto non conta un cavolo? Sfiducia al cambiamento alle urne, sottomessaggio “disertare” ? A chi giovi, eventualmente, tutto ciò, una idea ce la siamo fatta: a quelli che sanno di perdere. E che non potendo appunto vincere, cercano almeno di scavare e togliere terreno.

Pd la risposta è dentro di te. Solo che è sbagliata

 

Questo è il manifesto Pd che sta scatenando l'ira delle donne del centrosinistra.
Chi vuole negare che sembra la locandina del film "The Woman in red"?

 

 

Il problema è sempre lo stesso: quando si ha poco da comunicare, si ricorre all'artificio verbale. Questo ultimo manifesto è abbastanza datato. Ma secondo me mille volte più bello. La battaglia per la legge 194 evidentemente era "qualcosa" da comunicare. Dunque: non sparate sullo spot, il problema è che non c'era proprio niente da dire.

Todo sobre mi candidato, ovvero il tatuaggio su Napoli. La storia scritta dai perdenti

Tatuarsi la pelle non significa scriverci sopra e via. È piuttosto scegliere il punto giusto tra la profondità della carne e l'epidermide. Così da incastrare l'inchiostro in un posto visibile all'esterno ma al tempo stesso protetto. Non è tutto immediato: serve il tempo giusto per applicare il pigmento; occorre calma. E precisione. Potrebbe uscire un poco di sangue: non bisogna spaventarsi. Alla fine è come una lucida ferita, protetta con la scivolosa paraffina per qualche giorno. La pelle si risana e farà il suo corso.

Ecco: un sindaco è sostanzialmente un tatuaggio sulla città.

Dovranno passare altri giorni prima che io riesca a descrivere con sufficiente lucidità cos'è successo da quando ho iniziato questa campagna elettorale fino ad oggi che ne realizzo la conclusione. Ora sono a casa: il telefono squilla ma non furiosamente. E ho dormito più di sette ore: non mi capitava da mesi.

Non esordirò dicendo di aver trovato e di aver lavorato (non da solo, ma poi ne parlo) per un risultato difficile e di aver fatto il massimo: sapevamo che i candidati a sindaco di Napoli (tutti) non sono Barack Obama, JFK o Gorbaciov. Voglio definire numericamente questo ragionamento. Alcuni sondaggi li trovate poi su internet. Altri no, sono stati commissionati in maniera privata e non ritengo di doverli divulgare visto che non li ho pagati io.

Insomma: alla fine di marzo Swg dichiarava Mario Morcone conosciuto dal 31-32 per cento circa dei napoletani interpellati. Venti giorni dopo quella percentuale era aumentata al 46-47 per cento e successivamente ha tallonato i livelli (comunque meno del 70 per cento) di Gianni Lettieri. Con una differenza: mentre Lettieri ha avuto una bassa percentuale di fiducia rispetto alla notorietà ("ti conosco ma non mi fido") con Morcone i due aspetti sono andati sempre parallelamente. De Magistris, invece, è conosciuto (come Mastella) dall'80 per cento della popolazione con una fiducia più bassa di una quindicina di punti (significa che lo conoscono anche nel centrodestra). Ci sono state le disastrose primarie Dem: con Mario Morcone la prima, frenetica, fase della candidatura, quella del "posizionamento" si è consumata sollecitando la gente del Partito democratico dove il candidato non era conosciuto.

Dunque molto del pochissimo e prezioso tempo a disposizione è stato speso appresso alla gente che in una elezione comunale avrebbe già dovuto conoscere vita morte e miracoli del suo candidato.  Occorreva rassicurare un elettorato arrabbiato per le primarie e per l'amministrazione uscente e poi propagare il messaggio. Già: l'amministrazione Iervolino. Giudicata negativamente da quasi il 90 per cento dei napoletani nelle rilevazioni di aprile. Una enormità politica, un iceberg al cui confronto le primarie erano uno scherzo. Un cataclisma con il quale ci siamo scontrati ogni giorno, fino all'ultimo.  Perché se le primarie sono state sostanzialmente una figuraccia irrisolta, la malagestione del Comune di Napoli è stato un pugnale conficcato  nella schiena del candidato dal primo all'ultimo giorno.

Defendit numerus: De Magistris ha iniziato prima ma è stato bravo a rimettere in moto intorno a lui pezzi di città atrofizzati. Altri pezzi che prudentemente (sì, è un eufemismo per definire i furbi) sono stati alla finestra ad attendere si sono messi in moto mezzo minuto dopo il primo turno. Ma questa è la politica.

Tornando alla comunicazione: particolarmente contento del fatto che nelle rilevazioni su Facebook la pagina di Morcone era seconda solo a quella dell'europarlamentare Idv che era ed è una potenza sui social network. E noi avevamo iniziato a fine marzo. Nessun segreto particolare: solo il racconto quotidiano delle attività (alla fine eravamo arrivati ad un post ogni 40-60 minuti) e una conversazione continua via social, via mail, con chi scriveva.

Il tatuaggio è venuto male e l'abbiamo visto, chiaramente. Scrivo questo post prima di conoscere il risultato del ballottaggio, ma non mi faccio troppe illusioni sul dopo: seguo da cronista le attività del Comune di Napoli da abbastanza per non riuscire più ad esaltarmi. Ci sono tante cose che ho imparato, in questi mesi: magari le racconto con calma.

Però una cosa ci tengo a dirla: un grazie grande grande a coloro i quali hanno preso parte a questa frenatica e affannosa corsa. Tantissima bella gente ed è stato il regalo più grande di quest'esperienza. Pur scrivendo da perdenti non siamo sicuramente noi gli sconfitti di questa campagna.

 


 

Informazione come l’acqua

Di una manifestazione un cronista annota anzitutto tre cose: dov'è iniziata, dove si è conclusa e quanta gente vi ha preso parte. Ieri alla manifestazione contro il precariato a Napoli non c'era tanta gente. Almeno non in proporzione al problema per il quale si manifestava. Per le donne ad esempio c'era molta più gente. Perché?

Mi viene in mente che un anno e mezzo fa, quando nasceva incassando ironiche battute e ilari sgomitate dei colleghi, il Coordinamento giornalisti precari della Campania, ebbe analogo problema. La relativa partecipazione fisica a fronte di una intensa partecipazione sui canali sociali web. C'è una diffidenza di base, mutuando un celebre sketch di Totò la chiamo "diffidenza Pasquale" ("Vediamo questo stupido dove vuole arrivare"): la gente, in una città così teatrale, dove scendere in corteo è come andare su un palcoscenico, crede poco nella spontaneità di certe reazioni al sistema. E poi: negli ultimi anni hanno reso la piazza un continuo test, in cui se non raggiungi X presenze la tua voce non è valida (anche ieri l'hanno fatto, il ministro Sacconi ha detto che si trattava di pochi ragazzi pilotati eccetera). Non sembra, ma è un modo per intimidire le persone: attento che fai flop, questo è il messaggio. La gente, assuefatta alle tivvù, addormentata dal "tanto non cambia un cazzo", non rischia anche di partecipare alla minoranza. Una perfetta spirale del silenzio.

Nonostante tutto, però, noi ieri eravamo in piazza. Per la prima volta da quando faccio questo mestiere ho visto i giornalisti in corteo per una rivendicazione salariale non legata al rinnovo del contratto. Insomma, per la prima volta Napoli gridava una cosa semplice: l'informazione è un bene comune, come l'acqua. E tutti ne devono fruire dell'acqua e delle notizie: pulite, libere. Lo scandalo è che siamo finiti ad urlare in piazza anche questo.