Collegare Caos calmo alla munnezza di Napoli era quasi un’impresa impossibile. Ci è riuscito Newsweek con un bel zuppone sull’emergenza partenopea, condito dai soliti luoghi comuni, tuttavia confermati da una drammatica realtà. E vabbè. Noi poveri cronisti della provincia del cassonetto continuiamo a zappare.
Oggi, sei anni fa, moriva Federico Del Prete. A E Polis abbiamo scelto di ricordarlo. E di sottolineare il fatto che Napoli ha completamente dimenticato il sindacalista dei venditori ambulanti ucciso dalla camorra, al pari di un Peppino Impastato o di un Placido Rizzotto. Eppure da Napoli, grazie a Federico Del Prete partì la protesta nel mercatino del Bronx di Taverna del Ferro contro la camorra che voleva denaro dai bancarellai abusivi. Del Prete trovò la morte tra Mondragone e Casal di Principe ma la sua storia anticamorra iniziò a Napoli. Che, ovviamente, dimentica.
Così come ha dimenticato Fabio Maniscalco, di cui ho già parlato qualche giorno fa. La scorsa settimana in Consiglio comunale nemmeno una commemorazione per un uomo eccezionale. Dov’è l’estasi di Napoli di cui parla Newsweek non lo so davvero. So pero’ qual è l’agonia.
Yes, we can. No, non l’ha detto Mastella al telefono, parlando col suocero delle nomine alle Asl.
Aria strana, per dirla con Pino Daniele. Che poi pure lui…ha detto che gli piace Bobo Craxi, che ora è socialista. A certa gente bisognerebbe impedirgli di parlare tanto, di fare danni, di distruggere quell’immagine di mito creata nel corso del tempo. C’era una bella pièce teatrale di Peppe Lanzetta su com’è cambiato Pino Daniele. Che poi, pure Peppe Lanzetta: l’ho visto davanti alla Feltrinelli qualche giorno fa, con un cappotto e un’aria che sembrava un cùmenda brianzolo. Ho avuto vergogna di non riconoscerlo per gli occhi smarriti, la rabbia in corpo e la faccia distrutta alla Belushi. Magari diventeremo tutti così. E forse conviene: scoperto a mie spese che la gente è capace di voltarti le spalle se non hai le physique du rôle.
Yes, we can. Sì, se puede e mi viene in mente “I care” di don Lorenzo Milani che tenevo sul quaderno delle scuole superiori e la prof che diceva: decidete voi quello che volete diventare nella vostra vita. Lei l’ha deciso: s’è presa la pensione di questo maledettissimo paese ed è andata in Madagascar. Ora è una delle persone più importanti da quelle parti, ha creato 185 scuole, oltre 200 posti di lavoro. Lei puo’ dirlo, yes we can. Ah, per inciso: quando si candidò nel 1993 con Bassolino sindaco a Napoli, i pidiessini la fecero fuori. Hanno fatto benissimo. Yes we can e come sospettavo Fabio Maniscalco non l’ha ricordato nessuno.
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Sto scrivendo tanto, di emergenza rifiuti e senza poter fare il fine narratore. In questo periodo cerco di andarci giù pesante nei pezzi, giusto per capire se c’è un antidoto a quest’intorpidimento collettivo. Beati coloro che hanno un giorno nella vita in cui decidono di vomitare tutto e su tutto. E lo fanno. Yes we can e stamattina me la sono presa con un lettore: tira una brutta aria e specie se non hai il volto scavato, una sigaretta, un filo di barba, se non infesti ogni pezzo con citazioni dai racconti della Kolyma o non vesti quel cesso di costosissimi capi intenzionalmente casual e indossi gli anelli in similargento cromato, secondo certa gente non sei nemmeno capace di raccontare, ascoltare ma soprattutto andare al di là dell’ascolto e del racconto e trovare notizie, cose, informare. We want change, ma fin quando sarà tutto un trucco per sollecitare il mercato, un viral marketing per solleticare più i portafogli che le coscienze, continuerò a cercare in ogni mattina un buon giorno per poter vomitare veramente tutto su una qualsiasi tastiera qwerty.
La pace non è solo qualcosa da costruire, ma conservare qualcosa che qualcuno ha costruito, magari mille anni prima. Di questo si occupava Fabio Maniscalco e probabilmente il novantanove per cento di questa città di merda nemmeno lo sa che ha avuto un archeologo di 43 anni candidato al premio Nobel per la pace, un giovane che si è occupato fino all’ultimo della protezione dei beni archeologici nei paesi di guerra, ucciso da una passione: ma lui che pure era persona istruita, non poteva saperlo che in Bosnia esportavamo democrazia e proiettili all’uranio impoverito.
Ho conosciuto Fabio Maniscalco a Ramallah, qualche anno fa. Quando il torpedone si è “allugato” verso Betlemme siamo andati a piazzare con una delegazione una croce blu di carta su un mosaico di chissà quanti secoli, tra macerie e dei bambini che, ignari, giocavano con una vecchia palla di cuoio. L’ultimo contatto è stato giusto un anno fa: presentava uno dei suoi lavori sui tesori dell’arte a rischio in paesi dilaniati dai conflitti. Una battaglia perdente e per questo bellissima, avvincente, degna d’appoggio e considerazione. Mi scrisse grazie per un pezzo sul giornale, era malato già, l’avrei rivisto solo in un servizio televisivo. Sarebbe bello poter utilizzare il passaparola per i suoi libri, rilanciare in ogni modo quel che faceva, in tutt’Italia. Ma questa è la città dove si scordano Eduardo e Benedetto Croce, non mi faccio illusioni.