Via Ciro Pellegrino a Portici? Ecco a chi è dedicata

ciroviaSono giorni abbastanza stressanti, l’unico autentico momento di sano divertimento me l’hanno regalato i (molti) amici che ho a Portici, ridente e popoloso comune in provincia di Napoli. A Portici l’Amministrazione cittadina ha di recente rinominato alcune strade secondarie. Il disagio connesso a tale pratica lo capisco: bisogna rifare documenti, carte intestate, bigliettini eccetera. E poi ci si affeziona al nome della propria strada. Insomma, fin qui normale amministrazione. Se non fosse che tra le nuove strade c’è anche una “Via Ciro Pellegrino”. Una strada intitolata a qualcuno col mio stesso nome e cognome (Ciro è il Santo Patrono di Portici, il mio nome lì è molto diffuso). Fa sorridere, vero? Sì se non fosse che alcuni porticesi, arrabbiati evidentemente per il cambiamento della toponomastica, hanno cercato su internet e hanno individuato me quale possibile “beneficiario” della strada vesuviana.
strada

Tocca dunque rassicurare gli amici di questo straordinario comune: no, la vostra Amministrazione non ha voluto beneficiarmi di tale riconoscimento. Io dico menomale, visto che le strade si intitolano ai morti. Il Ciro Pellegrino che la commissione toponomastica di Portici ha voluto ricordare non è un mio parente. Basta cercare su Google. Trattasi molto probabilmente di tal Ciro Pellegrino, nato nel 1896 e morto nel 1975, Cavaliere del Lavoro. Si trata di un armatore la cui biografia riferisce quanto segue: «Nel 1924 iniziò a Portici un’attività in proprio, con un modesto cantiere per raddobbi di piccoli natanti in legno. In breve tempo lo ampliò e trasformò nel Cantiere navale Pellegrino, operante a Napoli nel campo delle costruzioni e riparazioni navali in ferro. Al 1932 risale la sua prima nave in acciaio per conto della Shell. Durante la guerra l’arsenale fu impegnato nelle riparazioni di navi della Marina Militare e poi requisito dagli Americani. In quel periodo di grave crisi per il settore navale, si dedicò alla realizzazione di impianti industriali nel campo petrolifero, assicurando così una continuità di lavoro ai suoi dipendenti. Dopo la guerra, la ricostruzione consentì la ripresa dell’attività del cantiere e alcune delle nuove unità costruite in proprio andarono a costituire la nuova ditta Ciro Pellegrino e figlio – Armatori, che suscitò apprezzamento sia in balia che all’estero per l’industria navale meridionale. Fu anche presidente della Suditalia di Napoli, sorta per la valorizzazione del Mezzogiorno».

A voi la valutazione: io ritengo sia meritevole di una strada. Più di un giornalista (in vita).

Odio il Capodanno, di Antonio Gramsci

gramsciOgni mattino, quando mi risveglio ancora sotto la cappa del cielo, sento che per me è capodanno.
Perciò odio questi capodanni a scadenza fissa che fanno della vita e dello spirito umano un’azienda commerciale col suo bravo consuntivo, e il suo bilancio e il preventivo per la nuova gestione. Essi fanno perdere il senso della continuità della vita e dello spirito. Si finisce per credere sul serio che tra anno e anno ci sia una soluzione di continuità e che incominci una novella istoria, e si fanno propositi e ci si pente degli spropositi, ecc. ecc. È un torto in genere delle date.

Dicono che la cronologia è l’ossatura della storia; e si può ammettere. Ma bisogna anche ammettere che ci sono quattro o cinque date fondamentali, che ogni persona per bene conserva conficcate nel cervello, che hanno giocato dei brutti tiri alla storia. Sono anch’essi capodanni. Il capodanno della storia romana, o del Medioevo, o dell’età moderna. E sono diventati così invadenti e così fossilizzanti che ci sorprendiamo noi stessi a pensare talvolta che la vita in Italia sia incominciata nel 752, e che il 1490 0 il 1492 siano come montagne che l’umanità ha valicato di colpo ritrovandosi in un nuovo mondo, entrando in una nuova vita. Così la data diventa un ingombro, un parapetto che impedisce di vedere che la storia continua a svolgersi con la stessa linea fondamentale immutata, senza bruschi arresti, come quando al cinematografo si strappa il film e si ha un intervallo di luce abbarbagliante.

Perciò odio il capodanno. Voglio che ogni mattino sia per me un capodanno. Ogni giorno voglio fare i conti con me stesso, e rinnovarmi ogni giorno. Nessun giorno preventivato per il riposo. Le soste me le scelgo da me, quando mi sento ubriaco di vita intensa e voglio fare un tuffo nell’animalità per ritrarne nuovo vigore. Nessun travettismo spirituale. Ogni ora della mia vita vorrei fosse nuova, pur riallacciandosi a quelle trascorse. Nessun giorno di tripudio a rime obbligate collettive, da spartire con tutti gli estranei che non mi interessano. Perché hanno tripudiato i nonni dei nostri nonni ecc., dovremmo anche noi sentire il bisogno del tripudio. Tutto ciò stomaca.

Aspetto il socialismo anche per questa ragione. Perché scaraventerà nell’immondezzaio tutte queste date che ormai non hanno più nessuna risonanza nel nostro spirito e, se ne creerà delle altre, saranno almeno le nostre, e non quelle che dobbiamo accettare senza beneficio d’inventario dai nostri sciocchissimi antenati.

Antonio Gramsci, 1 gennaio 1916, “Avanti!”

Dell’avere una struttura

Bob Dylan ha 24 anni quando pubblica “Like a Rolling Stone”; Steve Jobs ne ha 30 quando viene sbattuto fuori dalla Apple (quel che succederà poi, è storia). A 17 anni Heywood Allen cambia nome in Woody Allen e inizia la carriera di autore. Il discorso “I have a dream” davanti al Lincoln Memorial di Washington è pronunciato da un Martin Luther King 35enne.
Ha 31 anni quando Ernesto Che Guevara entra a L’Avana per occupare la fortezza militare “La Cabaña”. Bill Hicks a 32 anni scrive e registra “Relentless”, il suo spettacolo più famoso. A 29 anni Stanley Kubrick gira “Orizzonti di Gloria”; Madre Teresa a 19 anni inizia il lavoro d’infermiera a Calcutta. Carl Bernstein ha meno di trent’anni quando insieme a Bob Woodward inizia a scrivere dello Scandalo Watergate sul Washington Post.

Qualcuno potrà dire: sono casi eclatanti. Unicità.
Beh, prova a chiedere ai tuoi genitori o ai tuoi nonni cosa avevano già fatto alla tua età.

Ho la netta impressione che stiamo scrivendo la nostra epoca con una matita anziché inciderla con una punta di diamante. Sempre atomi di Carbonio sono. La differenza è la forza della struttura. Per questo è così importante, avere una struttura.

Notturno napoletano


Corteo di scooter che corre facendo un casino della madonna chissà dove e perché. La cocaina è arrivata: sparano le botte nel vicolo. Qui a fianco un tizio urla al cellulare con la fidanzata, in perfetto italiano la chiama «Grande, immensa cessa». L’odore dei cornetti di notte si insinua fin su al quarto piano. La puttana cinese ha appena ricevuto un cliente. La ragazza al secondo piano è affacciata come me e non prende sonno per via del caldo. Perché fa caldo, però è tutto un brulicare di personaggi. Sono le 23.30 circa e questa parte di città non si ferma, non dorme mai.

Perché dovrei affliggermi ora?

Mi chiamo Ciro Pellegrino, sono un giornalista, sono nato a Napoli il 27 febbraio del 1977 . Oggi, dunque, è il mio compleanno. Compio 36 anni. Due volte 18  ed è quanti in effetti vorrei sentirmene. Qualche giorno fa sono stato con un bravo e intelligente giudice campano, Raffaele Cantone, ad un incontro con i ragazzi di un prestigioso liceo di Napoli, il “Genovesi”. È una delle cose che in assoluto più mi emoziona, parlare ai ragazzi. Sarei rimasto lì per ore. Qualche ora dopo sono andato a votare, qualche ora ancora dopo ho scoperto che il centrodestra di Luigi Cesaro (capolista PdL) e di Nicola Cosentino (non candidato) aveva vinto in Campania per l’ennesima volta. Ho scoperto che il centrosinistra aveva perso e che Beppe Grillo col suo movimento aveva superato ogni aspettativa. E così (più o meno…) in tutt’Italia. Io vivo a Napoli e a Napoli lavoro, faccio il giornalista. Sono precario o meglio lo sono diventato dopo anni di contratto, sono stato cassintegrato e disoccupato. Nel vicolo in cui abito, proprio ora (sono le 23.20 del 26 febbraio ma questo articolo sarà pubblicato a mezzanotte del 27) stanno sparando i fuochi artificiali. Non mi stanno facendo la festa: è arrivata la partita di droga e così si segnala l’avvenuto rifornimento della piazza di spaccio. Insieme a questa succedono tante altre cose nella mia città e nella mia regione. Avrei di che essere arrabbiato.

Perché dovrei affliggermi ora? Uso questa bella frase di Osho (ma non sono un tipo new age) per spiegare il mio sentimento in questo momento: tutto va come non dovrebbe andare. Io sono nato nel 1977, lo ripeto: ho vissuto gli anni Ottanta da piccoletto, gli anni Novanta da adolescente e il nuovo millennio da ventenne. Anni difficili, per non dire di merda. Ho 36 anni da poco e la metà di questi li ho passanti parlando (non sempre) scrivendo (abbastanza) bestemmiando (ecco questo molto di più) discutendo (ahimè) di Silvio Berlusconi. Ancora mi dico e mi ripeto in queste ore: perché dovrei affliggermi ora? Quando sono venuto al mondo il presidente del Consiglio dei ministri era Giulio Andreotti, alla sua terza esperienza da premier con la Democrazia Cristiana. Dopo di lui sarebbero venuti i Fanfani, Spadolini, i Bettino Craxi. Ripeto: perché dovrei affliggermi ora? Ho vissuto la metà della mia vita sperando vi fosse qualcosa di diverso, probabilmente l’errore da giornalista e da cittadino è stato quello di dare poco ascolto alla metà del Paese che la pensava diversamente. E ancora mi ripeto, come un disperato mantra, perché dovrei affliggermi ora, proprio ora? Ci sono tante cose da ascoltare, da vedere e da raccontare e probabilmente c’è da continuare a combattere per una determinata idea di società, di vita, di cultura. Combattere ma al tempo stesso ascoltare. Capire, raccontare. Tutto questo per uno che trova notizie e racconta  storie è una manna dal cielo. Perché dovrei affliggermi ora?

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