Capisci che qualcosa è cambiato quando il Sole 24 ore, il giornale delle banche e degli industriali, allega al quotidiano il film “Wall Street” e spiega perché Gordon Gekko era un pezzo di merda e nel giro di vent’anni i Gekko reali hanno affamato il Globo.
Capisci che qualcosa è cambiato quando vai ad Acerra – il mio treno passava di lì – e ti accorgi che i cerrani guardano l’inceneritore con orgoglio. In una terra ammorbata, il cui frutto è malato se non morto, lo sbuffetto bianco dell’inceneritore è l’unica cosa viva. Una volta era l’odore acre della Montefibre, il grasso e l’olio sulle tute della vicina Alfa di Pomigliano, il luppolo della Birra Peroni di Miano o la colata all’Italsider. Quelle ciminiere erano religione: campanili e minareti urbani.
Nel treno diceva il fratello al fratello, seduti davanti a me: «Lo vedi? Il fumo va direttamente ‘ncielo. Nun fa male». E in cielo andava pure la mia preghiera, qualche decina d’anni fa, quando, studente superiore di Chimica industriale, l’unica visita guidata che feci, fu quella della fabbrica di polimeri: ci mandarono in gita in mezzo agli operai che bestemmiavano, mangiammo in mensa il primo scotto, i grissini e le pere molli. Una specie di battesimo infernale.
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La storia di chi ha la mia età non l’ha scritta nessuno. Qualche giorno fa ho visto un libro, “Generation X“, che parlava di trentenni. Volevo comprarlo, l’ho aperto e ho trovato tutta roba americana, lontana anni-luce dalla mia realtà. L’ho lasciato lì. L’unico che mi ha dato un poco di soddisfazione di recente è “Napoli dei molti tradimenti” di Adolfo Scotto di Luzio, ma lui è del 1967, ha dieci anni esatti più di me e per quanto mi possa piacere – ha abitato dove abito io, ha vissuto musica, “costumi” e speranze degli Ottanta – no, decisamente non è più un trentenne.
Qualche tempo fa il Corriere del Mezzogiorno si inventò a Napoli una specie di club dei trentenni pronti a cambiare il mondo. Io non penso che quell’idea sia durata più del normale ciclo d’utilizzo della carta di un quotidiano (stampa, lettura, cestino o incartapesce). Mi guardo intorno e vedo il deserto: lavoro con persone più grandi o molto più piccole. Politicamente, socialmente e culturalmente la classe ’75-’79 fa veramente schifo, almeno a Napoli.
Siamo arrivati nel posto sbagliato al momento sbagliato, avevano inventato già tutto e il contrario di tutto. Una volta Paolo Rossi in un monologo di quel meraviglioso programma che era “Su la testa”, diceva: «Ci avete rubato le speranze dei nostri padri, per questo non vi perdonerò mai».
Ora dovrei trovare la formula per chiudere il pezzo, ma davanti questo scenario di confusione, manco un dipinto di Turner, ci sta meglio questa qui.