Tattica e strategia, di Mario Benedetti

tattica-strategia-poesia Tattica e strategia (Tactica y estrategia) del poeta urugaiano Mario Benedetti, è una delle più belle poesie lette negli ultimi anni. L’ho conosciuta per caso, durante un convegno sulla comunicazione politica. Una brava relatrice la utilizzò per spiegare quale sarebbe dovuto essere il ‘filo’, il legame tra politico e cittadino.

Tattica e strategia – di Mario Benedetti
La mia tattica è guardarti
imparare come sei
volerti come sei

la mia tattica è parlarti
costruire con parole
un ponte indistruttibile

la mia tattica è rimanere nel tuo ricordo
non so come
né so con quale pretesto
ma rimanere in te

la mia tattica è essere franco
e sapere che tu sei franca
e che non ci vendiamo simulacri
affinché tra i due
non ci sia teloni
né abissi

la mia strategia è
invece
molto più semplice
e più elementare

la mia strategia è
che un giorno qualsiasi
non so con che pretesto
finalmente abbia bisogno di me.


Tactica y Estrategia

Mi tactica es mirarte
aprender como sos
quererte como sos
mi tactica es hablarte
construir con palabras
un puente indestructible
mi tactica es quedarme en tu recuerdo
no sé còmo ni sé
con qué pretexto
pero quedarme en vos
mi tactica es ser franco
y saber que vos sos franca
y que no nos vendamos simulacros
para que entre los dos
no hayan telòn
ni abismos
mi estrategia es
en cambio
mucho mas simple
y mas sencilla
mi estrategia es
que un dìa cualquiera
no sé con que pretexto
por fin me necesites.

Dici: per noi va male. Il buio cresce, le forze scemano

hope

La poesia “A chi esita” di Bertolt Brecht è sempre adatta quando ti sembra di non capire il mondo che hai intorno.

Dici:
per noi va male. Il buio
cresce. Le forze scemano.
Dopo che si è lavorato tanti anni
noi siamo ora in una condizione
più difficile di quando
si era appena cominciato.

E il nemico ci sta innanzi
più potente che mai.
Sembra gli siano cresciute le forze. Ha preso
una apparenza invincibile.
E noi abbiamo commesso degli errori,
non si può più mentire.
Siamo sempre di meno. Le nostre
parole d’ordine sono confuse. Una parte
delle nostre parole
le ha travolte il nemico fino a renderle
irriconoscibili.

Che cosa è errato ora, falso, di quel che abbiamo detto?
Qualcosa o tutto? Su chi
contiamo ancora? Siamo dei sopravvissuti, respinti
via dalla corrente? Resteremo indietro, senza
comprendere più nessuno e da nessuno compresi?

O contare sulla buona sorte?

Questo tu chiedi. Non aspettarti
nessuna risposta
oltre la tua.

A chi esita – Berthold Brecht

L’ultima lettera di Franco Fortini

Questa lettera di Franco Fortini la tengo qui, a imperitura memoria di ciò che si dovrebbe essere, dire, pensare. È datata 5 novembre 1994 ed è indirizzata ad alcuni amici: fu inviata al Corriere della Sera da Carla Fracci e Beppe Menegatti dopo la morte del poeta. Non so se effettivamente sia stata proprio l’ultima lettera. Ma per la potenza che l’accompagna la si può definire sicuramente un testamento pubblico, civile, morale, intellettuale.

Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non invisibili agenti e spie; non chiari ma visibili nemici. Sapete chi sono. Non sono mai stato né volteriano né liberista di fresca convinzione. Spero di non dover mai stringere la mano né a Sgarbi né a Ferrara né ai loro equivalenti oggi esistenti anche nelle file dei “progressisti”. Non l’ ho fatto per mezzo secolo. Perché dovrei farlo ora? Nessuna “unità” anni Trenta. Meglio la destra della Pivetti.
Ognuno preghi i propri santi e dibatta con gli altrui. Tommaso d’ Aquino, Marx, Pareto, Weber, Croce e Gramsci mi hanno insegnato che la libertà di espressione del pensiero, sempre politica, è sempre stata all’interno della cultura dominante anche quando la combatteva. Tutt’intorno ai suoi confini, però, c’erano, lungo i secoli, miliardi di analfabeti, inquisizioni mistiche o, a scelta, grassi doberman accademici, reparti speciali di provocatori incaricati di picchiare i tipografi e distruggere i manoscritti.
Ci sono manuali per l’uso della calunnia nel management della comunicazione, lupare bianche, colpi alla nuca; o, nel più soave e incruento dei casi, la damnatio memoriae, il nome omesso o deformato, la associazione indiretta con qualche notorio cialtrone.
Ma ci sono momenti in cui il solo modo serio di dire “noi” è dire “io”. La prima persona, quel qualcosa che viene dopo la firma. Questo è uno di quei momenti.
Bisogna spingere la coscienza agli estremi. Dove, se c’è, c’è ancora per poco. Quando non si spinge la coscienza agli estremi, gli estremismi inutili si mangiano lucidità e coscienza.
Chi finge di non vedere il ben coltivato degrado di qualità informativa, di grammatica e persino di tecnica giornalistica nella stampa e sui video, è complice di quelli che lo sanno, gemono e vi si lasciano dirigere. Come lo fu nel 1922 e nel 1925.
Non fascismo. Ma oscura voglia, e disperata, di dimissione e servitù; che è cosa diversa. Sono vecchio abbastanza per ricordare come tanti padri scendevano a patti, allora, in attesa che fossero tutti i padri a ingannare tutti i figli. Cerchiamo almeno di diminuire la quota degli ingannati. Ripuliamo la sintassi e le meningi. Non scriviamo un articolo al giorno ma impariamo a ripeterci, contro la audience e i contratti pubblicitari. Diamo esempi di “cattiveria” anche a quei lavoratori che dai loro capi vengono illusi di battersi attraverso le strade con antichi striscioni e poi, nel buio della Tv, ridono alle battute dei pagliaccetti di Berlusconi.
Lungo canali di storica vigliaccheria mascherata di bello spirito i colleghi della comunicazione stanno giorno dopo giorno cambiando o lasciando cambiare i connotati dei quotidiani; in attesa che se ne vadano quei pochissimi direttori che non hanno già concordato o “conciliato”.
Quanto a me, solo l’ età mi scampa dal dovermi dimettere. Mai come oggi, credo, il massimo della flessibilità tattica del politico vero dovrebbe andar d’accordo con la rigidità delle scelte di fondo. Un modesto zapping basta a capire che è inutile declamare estremisticamente, come ora sto purtroppo facendo.
Bisogna dire di no; ma c’è qualcosa di più difficile e sto cercando di farlo: dire di sì in modo da non nascondere il “no” di fondo; se si crede di averlo e saperlo.
Pagare di persona, secondo le regole del finto mercato che fingiamo di accettare: ossia dimettersi o costringere altrui alle dimissioni, ritirare o apporre le firme e le qualifiche e il proprio passato, affrontare sulla soglia di casa o di redazione le bastonature fisiche o morali già in scadenza.
Anni fa scrissi, enfaticamente, che il luogo del prossimo scontro sarebbero state le redazioni. Quel momento è venuto, il luogo è questo.
Chi tiene famiglia, esca. Chi ha figli sappia che un giorno essi guarderanno con rispetto o con odio alle sue scelte di oggi.
Scade il primo semestre di chi ha preso il potere, come tanti altri, legalmente, coi voti di un terzo degli elettori, ossia giocando con la manovra della informazione e la debilità culturale ed economica di tanti nostri connazionali e, perché no, con la nostra medesima.
Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non sempre invisibili agenti e spie; non chiari ma visibilissimi nemici, vi saluta un intellettuale, un letterato, dunque un niente. Dimenticatelo se potete.

Franco Fortini
Milano, 5 novembre 1994

Eduardo De Filippo e Pier Paolo Pasolini


Mi manca, mi manca non aver conosciuto di persona Eduardo De Filippo e Pier Paolo Pasolini.

Non avrei chiesto, avrei ascoltato, non avrei tentato di farmi fare una foto, un autografo, avrei guardato il libro o il  giornale che tenevano in mano. O come impugnavano la penna – perché avrebbero di sicuro scritto qualcosa in quel momento – o come si sarebbero rivolti agli amici lì, in quel momento, con un filo di voce, guardandosi intorno.

… Perché io so distinguere morti da morti e vivi da vivi. E Pasolini era veramente un uomo adorabile, indifeso; era una creatura angelica che abbiamo perduto e che non incontreremo più come uomo; ma come Poeta diventa ancora più alta la sua voce e sono sicuro che anche gli oppositori di Pasolini oggi cominceranno a capire il suo messaggio”.

Pier Paolo

Non li toccate
quei diciotto sassi
che fanno aiuola
con a capo issata
la ‹‹spalliera›› di Cristo.
I fiori,
sì,
quando saranno secchi,
quelli toglieteli,
ma la ‹‹spalliera››,
povera e sovrana,
e quei diciotto irregolari sassi,
messi a difesa
di una voce altissima,
non li togliete più!
Penserà il vento
a levigarli,
per addolcirne
gli angoli pungenti;
penserà il sole
a renderli cocenti,
arroventati
come il suo pensiero;
cadrà la pioggia
e li farà lucenti,
come la luce
delle sue parole;
penserà la ‹‹spalliera››
a darci ancora
la fede e la speranza
in Cristo povero.

[Eduardo De Filippo, 1975]

Dieci anni senza Pierangelo Bertoli

Seduto sul letto, con il libretto dei testi in mano perché era bello ascoltare e leggere, vedere come veniva bene esprimere quei concetti con la musica e il suono di una chitarra. Andare ad un concerto e prima dell’esibizione vederlo lì, al centro, a parlare con chi gli voleva bene e apprezzava la sua musica.
La stessa musica che non passa facilmente per le radio – non è mai accaduto, nemmeno per le sortite sanremesi – ma che è fortunatamente disponibile su Youtube, così come i testi.
Scopritelo, Pierangelo Bertoli, amatelo: a 10 anni dalla sua morte i pezzi che compose e cantò fino alla fine, sono talmente d’attualità da sembrare scritti ieri.