La non banalità di un crimine

Questa qui è una delle parti finali de “La banalità del male” di Hannah Arednt. Commentando la condanna a morte del criminale nazista Adolf Eichmann, “l’architetto della Shoah”, Arendt dice che uno dei problemi di quel processo fu proprio il dover introdurre il concetto  “crimine contro l’umanità” all’interno del sistema  di valutazione del crimine. Scrive la Arendt:

Una mattina, a Gerusalemme, mi portarono allo Yad Vashem, il museo della Shoah. Più che un museo, un memoriale, un viaggio opprimente e doloroso. Nel Giardino dei Giusti cercai gli italiani: c’erano, erano tanti.
Non c’è una morale nè una conclusione, in quel che scrivo su quest’argomento.
La frase di Hannah Harendt che ho sottolineato dovrebbe essere scolpita sulla testa dei signorsì di partito, sulle borse dei portaborse: «In politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa».

Primo Levi: l’inferno disegnato, la chimica in grafica

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Uno straordinario lavoro quello di Hila Ben-navat che cerca di restituire non solo la perdita dell’identità in Auschwitz, ma anche mostrare, per quanto possibile, il problema linguistico nel campi di concentramento, vera e propria babele infernale, nonché la relazione fra la chimica – il suo mestiere d’origine – e la vita dello scrittore torinese.

Ps: non ho però capito, sigh, se questo lavoro è unico o può essere acquistato. Se qualcuno ne capisce di più…