Buon Natale 2012, giornalista precario

giornalista precario

«Cazzo ma non sorridete mai!». Così, circa due anni fa, un collega del sindacato dei giornalisti italiani – alla fine anche una buona persona – mi fece notare che insomma, quella faccia cupa (e barbuta) sì giustificata dalla condizioni di giornalista precario – all’epoca ero appena entrato nel gorgo della cassa integrazione – non era necessario avercela sempre. Quel grugno poteva ogni tanto addolcirsi: la vita non va presa così male, è, appunto, vita. Lì per lì non seppi rispondere, feci il sorriso più sforzato del repertorio e passai avanti.
Oggi, rivedendo questo video di “Servizio Pubblico”, dove il cronista scopre in un centro commerciale un altro giornalista precario, vestito da Babbo Natale, ricordo bene il motivo di quel perenne grugno, di quella perenne durezza, della risposta caustica che tanti problemi e litigi mi ha causato, del distacco verso un determinato modello di vita e di discussione. Non penso finirà presto questo momento di incertezza e perenne insoddisfazione. Dunque toccherà abituarsi a questa smorfia, penso molto comune fra quelli della mia età, in Italia, oggi.

Per il giornalista precario le parole magiche, oggi, sono equo compenso e Carta di Firenze. Magiche ma non risolutive: occorrerà ancora lottare per far sì che qualcosa si muova per davvero. Non sappiamo se questa lotta, se questo grugno, se quest’incredibile incazzatura generazionale porterà a qualcosa. Personalmente so soltanto che non mi riesce altrimenti. Proprio non mi riesce non arrabbiarmi, non dirlo, non lavorare affinché chi è dall’altra parte del tavolo, quella dello sfruttatore, abbia problemi, preoccupazioni o quanto meno una sana vagonata di merda in faccia.

Non farti cadere le braccia: la legge per l’equo compenso ai giornalisti


Considero fratello chi con me è stato nel fango del lavoro matto e disperatissimo, nel gorgo delle mortificazioni economiche, nel vortice di rabbia che ti prende perché vuoi che la tua vita, un giorno, prenda una strada diversa, una strada giusta, sostenibile. Sono tutte cose tristi. Ma ogni tanto qualche soddisfazione ci esce.

Oggi, martedì 4 dicembre 2012, è stata approvata la legge per l’equo compenso ai giornalisti. Siamo in Italia, parliamo di una legge italiana sui diritti ai lavoratori, parliamo di giornalisti italiani: capisco gli scetticismi. Ma questa legge dice che sotto un certo livello economico gli editori non potranno più scendere. È è la prima volta che una norma sancisce ciò. L’equo compenso dovrebbe essere un concetto di civiltà, non solo una legge per gli iscritti ad un Ordine professionale. Mi piace pensare a questo come il primo passo. Non sono il solo ad averci creduto, ovviamente. Sono la minima parte di un movimento d’opinione costituito dai coordinamenti dei giornalisti precari italiani (quello della Campania, gli Errori di Stampa, i Re:fusi, i Free CCP romagnoli, i precari del Friuli, quelli del Molise e chi più ne ha, ne metta), dall’Ordine dei Giornalisti – e penso a Enzo Iacopino e Fabrizio Morviducci – da una parte della Fnsi, il sindacato dei giornalisti (l’altra parte sinceramente non ha remato contro, semplicemente se n’è fottuta) e anche da parlamentari italiani che hanno sposato quest’idea.

Non so se riesco a far comprendere la mia soddisfazione: a 35 anni non avrei mai pensato di contribuire, seppur modestamente, a scrivere una legge dello Stato. Eppure l’ho fatto, l’ho fatto diffondendo una idea di fondo, quella che il giornalista è come tutti gli altri lavoratori. Non più “sempre meglio che lavorare”, niente “casta”. Ma lavoratori, con tanti doveri e responsabilità che tutti – lettori e colleghi – non cessano di ricordare ogni santo giorno. Lavoratori con qualche diritto fondamentale che non può, non deve essere esclusivamente legato all’esistenza di un contratto giornalistico, merce ormai rarissima e in mano a pochissimi fortunati.

Se hai scelto di fare informazione e ti sei preso questa bella responsabilità il tuo editore non può far finta che il diritto alla retribuzione equa sia una cosa procastinabile alla fine di chissà quale “brutto periodo per l’editoria”, di quale “indispensabile periodo di gavetta”, “raggiungimento di risultato” eccetera eccetera eccetera.

Oggi qualcuno ha scritto che i diritti – e le notizie – non sono in vendita su una bancarella a 2 euro. Prendiamone atto: oggi è stata fatta una cosa buona.

Equo compenso

Dieci anni senza Pierangelo Bertoli

Seduto sul letto, con il libretto dei testi in mano perché era bello ascoltare e leggere, vedere come veniva bene esprimere quei concetti con la musica e il suono di una chitarra. Andare ad un concerto e prima dell’esibizione vederlo lì, al centro, a parlare con chi gli voleva bene e apprezzava la sua musica.
La stessa musica che non passa facilmente per le radio – non è mai accaduto, nemmeno per le sortite sanremesi – ma che è fortunatamente disponibile su Youtube, così come i testi.
Scopritelo, Pierangelo Bertoli, amatelo: a 10 anni dalla sua morte i pezzi che compose e cantò fino alla fine, sono talmente d’attualità da sembrare scritti ieri.