Buon Natale 2012, giornalista precario

giornalista precario

«Cazzo ma non sorridete mai!». Così, circa due anni fa, un collega del sindacato dei giornalisti italiani – alla fine anche una buona persona – mi fece notare che insomma, quella faccia cupa (e barbuta) sì giustificata dalla condizioni di giornalista precario – all’epoca ero appena entrato nel gorgo della cassa integrazione – non era necessario avercela sempre. Quel grugno poteva ogni tanto addolcirsi: la vita non va presa così male, è, appunto, vita. Lì per lì non seppi rispondere, feci il sorriso più sforzato del repertorio e passai avanti.
Oggi, rivedendo questo video di “Servizio Pubblico”, dove il cronista scopre in un centro commerciale un altro giornalista precario, vestito da Babbo Natale, ricordo bene il motivo di quel perenne grugno, di quella perenne durezza, della risposta caustica che tanti problemi e litigi mi ha causato, del distacco verso un determinato modello di vita e di discussione. Non penso finirà presto questo momento di incertezza e perenne insoddisfazione. Dunque toccherà abituarsi a questa smorfia, penso molto comune fra quelli della mia età, in Italia, oggi.

Per il giornalista precario le parole magiche, oggi, sono equo compenso e Carta di Firenze. Magiche ma non risolutive: occorrerà ancora lottare per far sì che qualcosa si muova per davvero. Non sappiamo se questa lotta, se questo grugno, se quest’incredibile incazzatura generazionale porterà a qualcosa. Personalmente so soltanto che non mi riesce altrimenti. Proprio non mi riesce non arrabbiarmi, non dirlo, non lavorare affinché chi è dall’altra parte del tavolo, quella dello sfruttatore, abbia problemi, preoccupazioni o quanto meno una sana vagonata di merda in faccia.

Fatti cliccare e sarai giornalista partecipativo (guadagnando 2 euro)

 

L’immagine che vedete qui sopra, giunge da questo sito internet. In pratica offre di scrivere articoli “inediti e originali che devono contenere la citazione della font di almeno 2.000/2.500 battute”. Il pagamento? In base ai clic dichiarati da Google Analytics. Se sono meno di 200 niente da fare, non guadagni.

Quest’atteggiamento fa il paio con quanto scrive questo ragazzo – giornalista professionista regolarmente iscritto all’Albo – sul suo blog. Un blog che funge da giornale, dice di fare giornalismo ma poi non è testata registrata, niente. Però è giornalista-editore, o almeno parla da tale.

Scrive:

Se un giornalista mi frutta in media 2 euro al giorno con 3 pezzi scritti, pagarlo 3 euro al pezzo, significa andare inevitabilmente in rosso. Se un giornalista non è in grado di comunicare bene sul web e di produrre articoli molto letti, sul mercato digitale, purtroppo, vale zero. Non è una cosa che dipende sempre e solo dall’editore brutto e cattivo ma dal mercato

Ecco: capite perché al di là delle solite diatribe Ordine dei Giornalisti SI/NO, futuro del giornalismo, tecnologie, c’è bisogno di intervenire e seriamente, su questo tipo di atteggiamento? Sbugiardarlo, denunciarlo?

Il Quotidiano dei Giovani che non paga (e il ministero che c’entra?

Ci sono decine, centinaia di annunci del genere su siti internet, sulle riviste specializzate, volantini stradali. Perfino nei Google Adsense di questo blog (ma io vi avverto: non vi fidate!). Giornali che promettono la sfolgorante carriera del giornalista in cambio di tempo, lavoro e serietà. E la loro serietà qual è? Non pagare. Ecco, non esiste gavetta più stupida di questa, fatta così è inutile, oggi.
Il caso in questione merita attenzione. Il “Quotidiano Giovani”  che non conoscevo finora, offre lavoro. Lavoro per modo di dire. Ecco di che si tratta:

 Si richiede reale interesse per la partecipazione al progetto, desiderio di crescere insieme alla testata dedicando, al di là del tempo, reale impegno e serietà. Si offre la possibilità di partecipare ad un progetto giovane, dinamico e ambizioso, e di fare esperienza in quella che vuole essere anche una palestra per aspiranti giornalisti con l’opportunità di  conseguire  i requisiti necessari al tesserino da pubblicista.  

 

Di retribuzione manco l’ombra.
Cari amici, colleghi, aspiranti tali. Diffidate da chi in cambio del vostro lavoro, seppur agli inizi di questa professione, vuole offrirvi “il tesserino” facendovi lavorare gratis. Primo perché non è detto che ci riusciate, ad ottenerlo. Secondo perché un titolo così (ammesso che i pubblicisti di qui a qualche mese continuino ad esistere) non serve a nulla.
C’è poi un’altra cosa che inquieta  e non solo me, ma anche Luca, il collega che ha sollevato per primo la questione: perché questo sito ha in bella evidenza un banner della Presidenza del Consiglio, dipartimento della Gioventù (prima guidato da Giorgia Meloni, oggi delega affidata al ministro Andrea Riccardi)?
In che modo il ministero partecipa alla realizzazione di questa pubblicazione? Sarebbe  quanto meno spiacevole sapere che una rivista con questo tipo di vaghe (uso un eufemismo) proposte lavorative c’entri qualcosa con Palazzo Chigi.

 

 

Informazione come l’acqua

Di una manifestazione un cronista annota anzitutto tre cose: dov'è iniziata, dove si è conclusa e quanta gente vi ha preso parte. Ieri alla manifestazione contro il precariato a Napoli non c'era tanta gente. Almeno non in proporzione al problema per il quale si manifestava. Per le donne ad esempio c'era molta più gente. Perché?

Mi viene in mente che un anno e mezzo fa, quando nasceva incassando ironiche battute e ilari sgomitate dei colleghi, il Coordinamento giornalisti precari della Campania, ebbe analogo problema. La relativa partecipazione fisica a fronte di una intensa partecipazione sui canali sociali web. C'è una diffidenza di base, mutuando un celebre sketch di Totò la chiamo "diffidenza Pasquale" ("Vediamo questo stupido dove vuole arrivare"): la gente, in una città così teatrale, dove scendere in corteo è come andare su un palcoscenico, crede poco nella spontaneità di certe reazioni al sistema. E poi: negli ultimi anni hanno reso la piazza un continuo test, in cui se non raggiungi X presenze la tua voce non è valida (anche ieri l'hanno fatto, il ministro Sacconi ha detto che si trattava di pochi ragazzi pilotati eccetera). Non sembra, ma è un modo per intimidire le persone: attento che fai flop, questo è il messaggio. La gente, assuefatta alle tivvù, addormentata dal "tanto non cambia un cazzo", non rischia anche di partecipare alla minoranza. Una perfetta spirale del silenzio.

Nonostante tutto, però, noi ieri eravamo in piazza. Per la prima volta da quando faccio questo mestiere ho visto i giornalisti in corteo per una rivendicazione salariale non legata al rinnovo del contratto. Insomma, per la prima volta Napoli gridava una cosa semplice: l'informazione è un bene comune, come l'acqua. E tutti ne devono fruire dell'acqua e delle notizie: pulite, libere. Lo scandalo è che siamo finiti ad urlare in piazza anche questo.

Dal giornalista-pupazzo al pupazzo-giornalista

Insomma, ecco Barbie giornalista. Costa circa 11 euro, con quei soldi ci paghi un pezzo su un giornale nazionale ad un giornalista precario. Mi aspetto ora anche “Barbie Inpgi 2”, “Ken Ordine dei Giornalisti”, “Baby Mia Assostampa” eccetera eccetera.