Dago non lo pago (più)

Dagospia riaprirà l’archivio e punterà tutto sulla pubblicità.

Dal 1 febbraio 2011 l’archivio di Dagospia sarà totalmente a vostra disposizione, tecnicamente rinnovato, quindi rapido e invincibile come un sommergibile. Addio agli abbonamenti, grazie di cuore a chi ci ha sostenuto fino ad oggi sborsando 90 euro l’anno per sbirciare gli articoli del passato, ma vogliamo puntare all’implemento della pubblicità, grazie al maggior numero di pagine cliccate. Proprio in concomitanza con i maggiori portali informativi, da Corriere.it a Repubblica.it, che andranno prograssivamente, dal prossimo anno, tutti a pagamento, Dagospia preferisce puntare sul gratuito.

Come ben scrive Federico Mello (vedi il pezzo che segue) “da quando Murdoch ha proposto la soluzione del pagamento, il numero di visitatori del Times è crollato dell’84% (rispetto a febbraio), e soltanto il 25,6% degli utenti che si collegano al Times ha deciso di pagare per leggere”.

Ecco perché abbiamo scelto la soluzione “aggratis”, sperando che la pubblicità ci assista.

A Post coi numeri. E con la coscienza

(beh, se chiami un giornale così poi certi titoli te li devi aspettare).

Ho letto con attenzione quegli articoli sul presente e sull’ipotetico futuro del Post, il giornale diretto da Luca Sofri. Non ci vuole uno scienziato (e mi viene in mente Riccardo Pazzaglia con il suo “Me ne vado a fare il guru“) per capire che è ridicolo oggi tentare un bilancio o trarre leggi universali da questa iniziativa editoriale.
Ma non ne avrei avrei parlato nemmeno: agli scetticismi sulla sostenibilità economica del Post ha già risposto il diretto interessato e anche qualche altro professionista sicuramente più capace di me.

C’è una parte che mi appassiona, tanto. È quella che riguarda i giornalisti e le loro retribuzioni. Lessi  a suo tempo (era appena gennaio! Ma come cazzo fanno certi a proporre bilanci a meno di un anno?) l’annuncio di lavoro e ora leggo che il giornale online ha inquadrato i suoi redattori con il contratto nazionale di lavoro giornalistico. Una scelta coraggiosa di questi tempi, una scelta d’onestà e di coerenza. Dice qualcuno che con la coerenza non ci porti il pane a casa e che forse è meglio inquadrare i ragazzi che lavorano in redazione con un contrattiello da web editor, di quelli la cui carta vale più del compenso che garantiscono: 6mila euro all’anno.
Sarà che di questi tempi sono ancora più sensibile all’argomento, ma la scelta di inquadrare correttamente i giornalisti va difesa e sostenuta. Leggete il Post anche perché non affama i suoi 5 cronisti.

(lo scriverei in calce ai pezzi: «Nessun giornalista è stato sfruttato per la stesura di quest’articolo»).

Eco, il libro, l’ebook. Del predicare e razzolare

Qualche giorno fa ho scritto di Umberto Eco e della sua Bustina di Minerva sul futuro del libro e sugli ebook. Eco diceva sostanzialmente: lasciamo l’ebook ai tomi di serie B e usiamo il cartaceo per i bei libri di valore. E vabbè. Poi però spunta la notizia che un importante banchiere rifinanzierà il progetto di Encyclomedia,  la storia multimediale della civiltà europea ideata e curata  proprio dall’autore de “Il nome della rosa”. Una roba in cd-rom e a proposito di supporti “nobili”: il ciddì dove lo mettiamo, caro professore?

http://www.giornalisticamente.net/blog/2010/08/09/umberto-mio-non-va-piu-via-lodore-del-libro-che-hai-addosso/

No logo, no Google

Google cambia nettamente il proprio approccio ai brand nelle pubblicità associate ai risultati di ricerca.

Attivo partire dal 14 settembre, questo aggiornamento delle policy permetterà alle aziende che fanno pubblicità su Google in Europa di utilizzare i marchi come parole chiave. In questo modo quando un utente digiterà il nome di un’azienda che produce televisori, potrebbe trovare informazioni pubblicitarie da parte di rivenditori, siti d’opinione e venditori di seconda mano, oltre agli annunci di altri produttori. In base alle direttive precedenti adottate da Google in Europa, i titolari di marchi potevano presentare un reclamo per impedire l’associazione del loro marchio con annunci pubblicitari di terze parti. […] Questo cambiamento consentirà alle policy di Google relative all’utilizzo dei marchi in Europa di rispecchiare quelle già adottate dall’azienda in altre parti del mondo. […] I marchi fanno parte della nostra cultura e della nostra vita di tutti i giorni, dato che ci aiutano ad identificare i prodotti e i servizi di cui potremmo avere bisogno e Google li rispetta. Infatti a seguito di questo aggiornamento di policy, qualora un titolare di un marchio ritenesse che la pubblicità di terze parti, associata al suo marchio, ha l’effetto di confondere gli utenti sulla provenienza dei beni e servizi pubblicizzati, potrà segnalarcelo. Se Google accerta che quello specifico annuncio genera in effetti confusione negli utenti sull’origine dei beni e dei servizi pubblicizzati, l’inserzione verrà rimossa.
Noi crediamo che gli utenti navighino consapevolmente e sappiano distinguere gli annunci, da dove provengono e cosa rappresentano.