Fabio se n’è andato e non ritorna più (anzi no)

Per 23 giorni l’amico Fabio Chiusi si è imposto di restare senza i social network. Io invece per gran parte di quel periodo ci ho sguazzato. Lui ha scritto cosa ha fatto senza SN, io ora scrivo cosa ho fatto con Facebook, Twitter eccetera eccetera.

Mercoledì 1 agosto

11:06 – Fabio Chiusi ha staccato per scrivere il suo romanzo. Ho avvertito Einaudi: per precauzione faranno vagliare la posta in entrata da un metal detector.

11:38 – Mi accorgo che ho dimenticato di scrivere ciao a Fabio che stacca. Sticazzi, tanto pochi giorni e tornerà qui.

12:07 – Mi sento solo con i miei pensieri. Telepatia.

13:00 – Il direttore del mio giornale scrive: “oh, ti ho mandato un messaggio su Facebook, volevo dirti che abbiamo dimezzato i collaboratori”. Poi mi ha rimosso dagli amici

13:31 – Impepata di cozze.

14:44 – Vorrei pensare a Nathan Jurgenson. Mi viene meglio pensare a Scarlett Johansson.

15:52 – Ho meno voglia di usare lo smartphone. Sarà che se lo sono fottuto giù alla Ferrovia?

18:50 – Ho cambiato sfondo al desktop: ora c’è proprio il culo di Scarlett.

Giovedì 2 agosto

10:26 – Ieri sera ho dimenticato di essere offline. E quindi ho preso un buco enorme: mi avevano mandato un comunicato che ho ignorato. Colpa di Chiusi.

12:00 – Quelli di Facebook non sono amici, sono contatti. Smettete di chiamarli amici e già capirete molte cose.

16:52 – Immagino un giornalista che non abbia mai frequentato o che non frequenti i social media. Ne conosco migliaia e hanno lo stipendio e una posizione migliore della mia. Quindi sono io il coglione.

Venerdì 3 agosto

11:33 – Condivido una cazzata di Libero sulla mia pagina fan.

11:34 – Ne condivido un’altra.

11.37 – Metto il pdf di Libero online.

11:55 – Uno mi chiede di Fabio Chiusi? Chiusi chi? Ah il friulano. No, sta depresso, per questo non si collega: sarà roba sessuale boh.

Sabato 4 agosto

11:01 – Vado a mare così scatto meglio e faccio più followers su Instagram.

11:50 – CAZZO, ho dimenticato il Follow Friday su Twitter ieri!

17:50 – Rispondo su Fb: No, dai non mi sembra il caso fare una colletta per una corona di fiori per Fabio Chiusi ragà, non è sicuro che sia morto.

Domenica 5 agosto

11:00 – Corro a comprare La Lettura ma resto incantato dalla prosa di “BANDI E GARE” sul Corriere della Sera e leggo quello.

23:05 – I parenti di Fabio Chiusi mi contattano infuriati: “Ma che vi ha fatto? Ripigliatevelo su Facebook, ci ha fatto due coglioni così a casa”.

Lunedì 6 agosto

10:04 – Ma come cazzo è? Il mio Klout sta a 70 era 77. Hanno cambiato gli algoritmi. Ma non posso comprare un poco di Klout sul deep web? Peccato non poterlo chiedere a Fabio

11:51 – CHIUSI TORNA SU FACEBOOK. Ho visto la pallina verde in chat. A paraculo!

17:12 – Valuto di scrivere una monografia di Gigi D’Alessio mentre valuto le ultime uscite dell’editoria italiana.

Martedì 7 agosto

21:09 – Ma mò che Chiusi non c’è lo defollowo su twitter no? Che cazzo serve a fare tenerlo?

Mercoledì 8 agosto

11:15 – Metto like a cazzo sui post di persone che non mi cagano per parlarci. Funziona e uno mi ha anche proposto di lavorare per lui. Rivedo le mie priorità sui social network.

Giovedì 9 agosto

14:48 – Pensiamo ad una fiaccolata per Fabio Chiusi ma i suoi amici non vogliono appendere un lenzuolo con la sua gigantografia fuori casa. “Lui non vorrebbe” dicono.

19:18 – Condivido un titolo di un pezzo del Fatto su Berlusconi: ormai sono gli unici a scriverne, sono tipo gli artigiani del corallo di Torre del Greco.

Sabato 11 agosto

15:00 – L’impepata di cozze mi ha fatto male, riesco al massimo a chattare dal cesso con l’iPhone.

Domenica 12 agosto

11:00 – Ho comprato La Lettura del Corriere della Sera ma se l’è mangiata il cane. Vado a fare una lampada e dormo una settimana.

Domenica 19 agosto

9:00 – Leggo il programma del Meeting di Comunione e Liberazione. Ho una erezione e non so se le cose sono collegate. Per prudenza mi confesso.

15:30 – Assange parla dal balcone. Che due coglioni su twitter.

Lunedì 20 agosto

9:00 – Mantellini ha litigato con Morozov su twitter. Perché non l’ha fatto a Perugia, magari in una piscina di fango con un perizoma?

15:03 – Facciamo su Petizioni online una petizione per quel ragazzo del Friuli scomparso, FABIO DOVE SEI.

16:50 – Chiamo due pizze e pago con la carta di credito di Formigoni ma mi scoprono subito.

Martedì 21 agosto

18:25 – Non è successo niente degno di nota. Tranne quei morti in quelle zone scordate da dio, ma se non me parlano i giornali perché me ne devo occupare io?

Mercoledì 22 agosto

16:00 – Dice che Fabio tornerà. Forse cambia il blog, dice che ha firmato un contratto con Mondadori per scrivere bene di Putin ma con spirito critico in un libro con la prefazione di Emilio Fede e di YoYo la nonna di Noemi Letizia.

Giovedì 23 agosto

11:30 – Fabio Chiusi è tornato sui social network e ha scritto un post. Come Severgnini. Severgnini molto offeso da ciò dice che per vendetta non uscirà mai più dai social network e anzi intensificherà le sue presenze. In compenso Vittorio Zucconi e Michele Serra ci odiano. E noi facciamo i complimenti a Fabio. Bravo Fabio. Ma il romanzo?

#Occupyscampia, il coprifuoco, il dito che indica la luna e non le Vele (qualche proposta operativa)

 

L’ho scritto lo ripeto: in via Baku o in viale della Resistenza tutte queste famigliole contente che passeggiano non le vedo. Dunque dire che il “coprifuoco” a Scampia non c’è, non esiste, non c’è mai stato, non mi piace, non è giusto.
Già, perché qualcuno obietta: non è vero che il clan impone il coprifuoco. Vi invito però a vivere una certa realtà. Andate stasera, a mezzanotte, a Scampia. Se non è il clan che lo impone è l’istinto di sopravvivenza. Dice: ma è in tutte le periferie così. Davvero? In tutte le periferie c’è un disegno organizzato teso a controllare perfino il traffico veicolare ad uso e consumo della più grande piazza di spaccio d’Europa? Molti di voi non sono di Napoli, hanno visto il film Gomorra. Ebbene, stupite: quel controllo così stringente è realtà.

Perché, dunque, tanti ditini alzati su #OccupyScampia? Perché è comodo. A Casal di Principe certa gente dice che il paese è “tranquillo”. Lo dicevano anche a Ottaviano con Raffaele Cutolo. Mi dispiace dirlo ma anche un certo associazionismo si muove secondo logiche vecchie: ho letto di “piattaforme” e “documento” da stilare. E invece il web va velocissimo. Non dico che bisogna star dietro ad un hashtag ma quanto meno non ridursi a tempi da pentapartito. Organizzare la speranza significa che ci mettiamo tutti lì, annullando le nostre individualità e individuiamo uno strumento nuovo, “un’arma” nuova.

Fermo restando che occorre occupare fisicamente i luoghi, e ricondursi sempre all’attività di chi si fa il mazzo sul territorio, io penso anche ad altro.

A una sorta di reportage permanente, stile Terra dei fuochi.  Uno strumento agile in mano a chi vive e opera quotidianamente a Scampia;  un ossevrvatorio che partendo ad un hashtag sia una specie di campanello d’allarme pronto li a martellare sulle istituzioni. Foto, filmati, testimonianze, notizie: tutto su hashtag #occupyscampia per martellare le istituzioni; a SCampia si fa molto lavoro sul territorio ma si è distanti dal rapporto col palazzo, serve un filo per collegare i due aspetti. Ecco, in quel filo ci mettiamo l’elettricità e diamo la scossa.

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#Occupyscampia (e il Forum delle Culture): la città da strappare al nulla

The world come chargin up the hill,
and we were women and men

Bruce Springsteen, “Blood brothers

«We got our own roads to ride and chances we gotta take» Rischi da prendere, strade da percorrere . Canta Springsteen quando parla di fratelli di sangue. Lo sono coloro che condividono sogni, esperienze,  battaglie. Lo sono, penso, quelli che vivono in un certo modo la loro città. Napoli negli ultimi anni è diventato un non-luogo. Niente sociologie ma è un buco difficile da riempire, perfino con le discussioni. C’è una difficoltà sempre più evidente nel tracciare nuovi percorsi, far funzionare realtà storiche e farne partire nuove.
Vengo da una adolescenza negli anni Novanta, sono stati gli anni dei centri sociali, di Officina 99, Ska, Damm, del Gridas di tanti tanti altri.  E ora?

#OCCUPYSCAMPIA

La storia di #OccupyScampia potete leggerla qui : Scampia non è fra i primi pensieri dell’Amministrazione comunale di Napoli, diciamolo con chiarezza. La lotta ai clan non può passare soltanto per l’affermazione del concetto di “bene comune” o per il repulisti (o meglio, il tentativo) di certe pratiche clientelari della politica di Palazzo. Penso francamente che quest’Amministrazione su certe cose dia troppo per scontato. A Scampìa ci sono stato la scorsa settimana ed è la solita Scampìa, lo dico per chi magari non c’è mai stato e fatica a immaginarsela se non quando c’è una faida.

Quotidianità dolente e grigia, quando spunta un filo d’erba è sempre strappato al degrado e al cemento: per il resto è la solita Scampia da evitare, da andarci solo di passaggio, da “quelle lì le vedi? Sono le Vele…” e “qui ci hanno girato Gomorra”. Tour infernale per un quartiere che non ha mai smesso di esserlo e di portarsi dietro quel fardello di retorica mista al meccanismo mediatico della ricerca continua del raggio di sole e della speranza. Un prete che resiste, un cantante che grida la rabbia, un capopopolo che guida alla protesta i suoi, magari per una  casa degna di questo nome. Poi si spengono i riflettori ed è finita lì.

«Organizzare la speranza» è quanto disse Giovanni Paolo II, uno che di folle se ne intendeva, nel 1990, quando da Scampia partì per la sua visita napoletana. Altro che speranza: a Scampia manco la piazza telematica, uno spazio enorme dove ci sarebbero  dovuti essere computer e rete internet, sono stati capaci di realizzare. Ora ci sono gli operai del Comune.
Ora nasce l’idea di occupare fisicamente luoghi del quartiere. Io aderisco con convinzione, purché il tutto sia concordato con chi, da anni, opera sul territorio: il giro zoologico fra i casermoni di cemento che dura 6 ore, il tempo di foto e interviste non serve, anzi, è dannoso. Iniziare a concepire una realtà agile, multicomprensiva ed elastica, capace di azioni veloci e incisive anche mediaticamente: tenere in mano e non subìre l’interrutore del riflettore mediatico.

 

#OCCUPYFORUM


La Balena si muove negli oceani, è pacifica (vallo a dire ad Hacab!) ma, attaccata, reagisce. È enorme, è una metafora dai tempi di Jona e di Pinocchio, il mito di Zaratan. Insomma, è tante cose. Di recente è anche un collettivo di artisti e lavoratori dello spettacolo intenzionati a veder chiaro su tante cose che stanno accadendo in città. Ad esempio, sul Forum Universale delle Culture 2013: questo strano animale mitologico prima dipinto come panacea di tutti i mali, oggi come origine di ogni patologia. Prima era quanto di meglio ci sarebbe potuto capitare, oggi è quasi un marchio d’infamia. Motivo? Nessuno è stato capace di gestire questo grande evento internazionale come una opportunità  e non come una vetrina politica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: da evento a fiera paesana.
Il Forum 2013 si farà  o meno non si sa. Ma di certo c’è che porta in dote però una cosa: la sede della sua Fondazione, l’ex asilo Filangieri. Una struttura bellissima, rinnovata e nel cuore del centro antico, a due passi da San Gregorio Armeno, nei Decumani.
Ecco, oggi quella sede, strapagata e carica di delusioni è un cimitero di idee. Occuparla fisicamente significherebbe dare sfogo alle legittime aspettative di una città e di quella grande, strana categoria del mondo dello spettacolo e della cultura. Dico strana perché, come  accade nel giornalismo, avvelenata dall’idea dell’essere “più furbo” degli altri: l’occasione buona, il progettino nel cassetto, l’amicizia influente. Anni di finto mecenatismo politico comunale e regionale hanno ucciso la cultura a Napoli. Spiace ammetterlo ma l’andazzo continua anche oggi. Occupare l’Asilo Filangieri com’è accaduto col Valle a Roma? Alla povertà delle idee si ribatte col  coraggio dell’azione che si fa idea e progetto concreto.

Riusciremo a vedere un sussulto di questa città?