Non è giornalismo se non alzi il culo (del cronista contemplativo)

«Vige ancora, anche in questo pseudo giornalismo decotto fatto diinterviste via fax e vacui pettegolezzi sul menu delle cene a casa di Amato o di Berlusconi, la regola che un vecchio vice direttore della Stampa mi ripeteva quando io recalcitravo all’idea di salire su un altro aereo e andare e vedere cose che già avevo visto mille volte. “Caro mio tromboneggiava il signor vice direttore che in vita sua non si era mai allontanto dalla provincia di Torino altro che per andare al mare sulla Riviera Ligure – i pezzi scritti sul posto riescono sempre meglio, chissà perché».
Vittorio Zucconi – Parola di giornalista

Succede che al “The Daily”, il primo quotidiano per tablet iPad, voluto da Rupert Murdoch, il direttore con la franchezza che un direttore deve avere, dica ai suoi redattori di muovere il culo e cercare notizie.
Lo dice nell’unico modo accettabile da un direttore: ordinandolo ma al tempo stesso facendoti sognare il giorno in cui ti troverai una vera notizia fra le mani (la traduzione è di Massimo Russo):

Oggetto: Le notizie
Ragazzi, l’Egitto è archiviato, tempo di concentrasi sulla copertura dell’America
Abbiamo bisogno di andare lì fuori e trovare storie da tutto il paese – non solo di ravanare il web e le agenzie, ma di uscire e raccogliere notizie. Trovatemi una storia umana stupefacente in un processo che gli altri  non stanno raccontando. Trovatemi un distretto scolastico dove si combatte la battaglia della riforma e raccontatemi le vicende delle persone coinvolte. Trovatemi una città che sta per essere accorpata a un’altra  per insolvenza. Trovatemi nella capitale di un qualsiasi stato una storia di corruzione a malaffare  che nessuno abbia scovato prima. Trovatemi qualcosa nuovo, diverso, esclusivo e grandioso. Trovatemi il cane più anziano d’America, o l’uomo più ricco del Sud Dakota. Costringete l’addetto stampa della Casa Bianca a scaricare per la prima volta il Daily perché tutto il branco gli  chiede di una notizia che abbiamo trovato noi. Piazzatevi davanti a una storia e rendetela nostra – forzate il resto dei media a inseguirci.

Sono le buone storie che faranno ritornare le persone al Daily – abbiamo messo insieme una squadra con i controc…, mostriamo al mondo cosa siamo in grado di fare.

Vale la pena di sottolineare alcune frasi: «Piazzatevi davanti a una storia e rendetela nostra – forzate il resto dei media a inseguirci». Per costringere magari l’addetto stampo della Casa Bianca a scaricare per la prima volta il Daily.
Mi guardo intorno, nel contesto italiano e non vedo nulla non di così ambizioso (è pur vero che qui l’investimento l’ha fatto “Shark” Murdoch, dio dell’editoria globale).  A parte il gigantesco lavoro della rete che macina, da inutile criceto sulla ruota, a parte i contributi dei singoli, più o meno famosi e più o meno conosciuti nel mondo della carta stampata o soprattutto della televisione, ma c’è qualcuno di questi nuovi giornali italiani su web che si prenda la briga di dire: ecco, da oggi noi facciamo incazzare i pezzi grossi?
È una domanda retorica, lo so.  Però nemmeno a provarci.

Qui il massimo che si vede in giro è il giornalismo “contemplativo”: vedo accadere le cose, rimpasto le notizie ne traggo un succo che dev’essere il più possibile provocatorio altrimenti non mi si caga nessuno. E il massimo dell’inchiesta sono un paio di foto, una scorrazzata su Google Earth e due documenti pdf  presi da una sconosciuta banca dati della Papuasia. Anche questo può servire a fare un’inchiesta, per carità. Ma in quanti casi? Statisticamente, quanti sono i casi in cui quest’approccio viene meglio della classica suola delle scarpe consumata per “andare, chiedere, verificare, scrivere”?

Attenzione: qui non stiamo dibattendo del “ritorno all’inchiesta” un tema che più abusato non si può. Parliamo del modo di interpretare il lavoro d’un cronista di medio livello con contatti “di base” e un discreto senso della notizia. Insomma, il profilo medio del giornalista che si rispetti.

Diremmo «con infamie e con lode», trattandosi d’un cronista 😉

E chi l’ha detto che poi non è salutare ogni tanto ritornare al punto di partenza? Aleks Krotoski sul sito del Guardian analizza l’esperienza di Peter Beaumont, inviato di guerra. Beaumontm, giornalisticamente formato prima dell’avvento del web, ha integrato come tanti l’uso delle nuove tecnologie con il suo modus operandi tradizionale.
Quando si è trovato al Cairo, in Egitto, con il black-out totale della connessione internet, dice che è stato come fare un passo indietro nel tempo:

«Siamo tornati a quello che eravamo soliti fare: scrivere la storia al computer, andare al centro commerciale, stamparlo e dettare per telefono. Non dovevamo preoccuparci di quello che c’era su internet, abbiamo solo dovuto preoccuparci di quello che stavamo vedendo. È stato assolutamente liberatorio».

Wikileaks, un documentario

Here’s a well-produced (even in rough-cut form) documentary on Wikileaks by Swedish network SVT, published on YouTube in 4 parts. It covers quite a bit of the history of the organisation, the lessons it learned and the partnerships it made along the way – all of which provide valuable insights for any student of journalism as a practice or a cultural form, not to mention a more complex understanding than most coverage of the current situation provides. It really is essential viewing. (via Paul Bradshaw)

Dago non lo pago (più)

Dagospia riaprirà l’archivio e punterà tutto sulla pubblicità.

Dal 1 febbraio 2011 l’archivio di Dagospia sarà totalmente a vostra disposizione, tecnicamente rinnovato, quindi rapido e invincibile come un sommergibile. Addio agli abbonamenti, grazie di cuore a chi ci ha sostenuto fino ad oggi sborsando 90 euro l’anno per sbirciare gli articoli del passato, ma vogliamo puntare all’implemento della pubblicità, grazie al maggior numero di pagine cliccate. Proprio in concomitanza con i maggiori portali informativi, da Corriere.it a Repubblica.it, che andranno prograssivamente, dal prossimo anno, tutti a pagamento, Dagospia preferisce puntare sul gratuito.

Come ben scrive Federico Mello (vedi il pezzo che segue) “da quando Murdoch ha proposto la soluzione del pagamento, il numero di visitatori del Times è crollato dell’84% (rispetto a febbraio), e soltanto il 25,6% degli utenti che si collegano al Times ha deciso di pagare per leggere”.

Ecco perché abbiamo scelto la soluzione “aggratis”, sperando che la pubblicità ci assista.

A Post coi numeri. E con la coscienza

(beh, se chiami un giornale così poi certi titoli te li devi aspettare).

Ho letto con attenzione quegli articoli sul presente e sull’ipotetico futuro del Post, il giornale diretto da Luca Sofri. Non ci vuole uno scienziato (e mi viene in mente Riccardo Pazzaglia con il suo “Me ne vado a fare il guru“) per capire che è ridicolo oggi tentare un bilancio o trarre leggi universali da questa iniziativa editoriale.
Ma non ne avrei avrei parlato nemmeno: agli scetticismi sulla sostenibilità economica del Post ha già risposto il diretto interessato e anche qualche altro professionista sicuramente più capace di me.

C’è una parte che mi appassiona, tanto. È quella che riguarda i giornalisti e le loro retribuzioni. Lessi  a suo tempo (era appena gennaio! Ma come cazzo fanno certi a proporre bilanci a meno di un anno?) l’annuncio di lavoro e ora leggo che il giornale online ha inquadrato i suoi redattori con il contratto nazionale di lavoro giornalistico. Una scelta coraggiosa di questi tempi, una scelta d’onestà e di coerenza. Dice qualcuno che con la coerenza non ci porti il pane a casa e che forse è meglio inquadrare i ragazzi che lavorano in redazione con un contrattiello da web editor, di quelli la cui carta vale più del compenso che garantiscono: 6mila euro all’anno.
Sarà che di questi tempi sono ancora più sensibile all’argomento, ma la scelta di inquadrare correttamente i giornalisti va difesa e sostenuta. Leggete il Post anche perché non affama i suoi 5 cronisti.

(lo scriverei in calce ai pezzi: «Nessun giornalista è stato sfruttato per la stesura di quest’articolo»).