Il Watergate ai tempi del giornalista 2.0

«In questo luogo, seduti attorno a un biliardo, si ascoltano le storie leggendarie di oggetti sconosciuti di cui si parla tanto ma che nessuno ha mai visto, tipo gli ufo, la figa…»
Dario Vergassola

Ecco, come mi sento, quando si parla di Giornalista 2.0. Eppure, bontà loro, gli amici di Its Media, Francesco Bellofatto, Serena Altieri e Andrea Senneca, qualche giorno fa mi hanno invitato al primo OpenLab che aveva proprio come tema quello dei giornalismi all’epoca del web. Uno legge Riccardo Staglianò, Massimo Mantellini; si impegna a tenersi informato su tutto quello che può tentare di descrivere il giornalista (il giornalismo no, quello davvero è troppo complicato) di questi tempi e poi al momento opportuno le parole si accavallano, così come i pensieri. Insomma, non è che ho detto granché. Qualcosina sulla mia singolare (in Italia) modalità  lavorativa, il telelavoro “spinto” che prevede insomma per me modalità operative da redattore al 100% pur facendomi restare a casa. O in strada, o in un ufficio, o in un autogrill, basta che c’è almeno un collegamento Umts.

Poi qualcosa riguardo alle modalità operative: a me quando ho la fortuna di essere invitato a parlare da qualche parte piace molto descrivere la mia giornata di lavoro, specialmente se vedo  fra i partecipanti gli studenti delle scuole di Giornalismo o di Scienze della Comunicazione.
Il motivo è che io al posto loro più che le influenze  del social newtork sul circus dei media, vorrei sapere ad esempio se mi conviene concentrami sui vecchi metodi (carta, telefonate internet per ricerche e computer per scrivere) piuttosto che provare davvero a creare una rete di contatti avendo anche come punti di riferimento un Facebook, un twitter ma pure una community su una maps di Google.
Conviene oppure è tempo perso?

Ho raccontato ad esempio la storiella di un paio di buone fonti che – bontà loro – attraverso un social network e il blog mi hanno contattato spedendomi documenti ottimi, verificati e poi pubblicati, su alcune “attività” di Regione Campania e Comune di Napoli. Io, cresciuto  a pane e Watergate, ho sempre sognato invece il tizio stile Gola Profonda, che ti incontra in un garage e lì ti confessa l’inconfessabile. Insomma, il mio garage è il web. E la cosa bella è che uno di loro mi ha scritto che ha deciso di mandarmi le carte solo dopo aver letto sul blog come interpreto questo mestiere.
Beh, se serve a questo, val la pena continuare, no?

Quando li tieni per le palle, cuore e mente seguiranno

In Italia i soloni della carta stampata campano duecento anni e continuano a scrivere anche quando probabilmente non hanno più nulla da dire. Negli Usa capita che Bob Woodward*, l’uomo del Watergate, per motivi di crisi aziendale al Washington Post, finisca nel listone dei 100 pennivendoli vecchiardi di cui disfarsi. Senza patemi, senza che nessuno gridi alla censura. Tanto scrive libri e fa soldi ugualmente.
Tuttavia, prima che qualcuno lo paragoni al caso Enzo Biagi, è bene ricordare che Woodward, insieme a Carl Bernstein, riuscì a demolire un presidente come Nixon. In Italia manco i presidenti di circoscrizione riusciamo più ad abbattere.

* trovandomi a linkarla ho anche modificato la pagina wiki di woodward… 🙂