Web censura: rassegnati stampa

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Ecco, questa bella immagine si chiama “Great Firewall of China”. Cina, non Italia. Però qualcuno già prospetta una deriva del genere per noi, con le  annunciate restrizioni a internet dopo il caso Berlusconi-Tartaglia.

Oggi il Corriere della Sera con Beppe Severgnini esprime opinione di senso opposto rispetto a quella pubblicata ieri , autore Gian Antonio Stella. Mi piace pensare che qualcuno in via Solferino abbia letto le tante opinioni  diverse rispetto a quella dell’autore de “La Casta” e si sia regolato di conseguenza. Una delle cose più intelligenti l’ha fatta Adriano Sofri su Repubblica, riportando semplicemente stralci della conversazione fra lui e gli utenti, subito dopo il fattaccio.

L’ennesima dark side della Rete

In principio (o almeno lì arriva la mia memoria) erano i muri.
Muri da scrivere, (imbrattare!) con slogan, dichiarazioni di guerra, d’odio e amore. Mi ricordo il popolo dei fax, il popolo degli sms, il popolo dei cellulari. Tutti portatori di rabbia, anche d’odio e  in qualche caso, di sciocchezze clamorose.
Poi è arrivato quello della Rete.
Giorni nostri: l’orrenda, vergognosa vicenda dell’aggressione a Silvio Berlusconi si sta tramutando in qualcosa d’altro. Tralascio chi vorrebbe prendersela con tutti gli oppositori del premier, immaginando una Grande Regia dietro il lancio di una statuetta del Duomo di Milano da parte di un disturbato mentale.  Oggi però Gian Antonio Stella sul Corsera scrive :

Ma davvero «in democrazia un cittadino deve avere il diritto di dire le sciocchez­ze più grandi che crede», come teorizzò nel 2003 l’al­lora ministro della Giusti­zia Roberto Castelli metten­dosi di traverso alla legge europea che voleva ridefini­re i reati di razzismo e xe­nofobia? Roberto Maroni, vista l’immondizia che tra­bocca online a sostegno dell’uomo che ha scaraven­tato una statuetta in faccia a Silvio Berlusconi (c’è chi si è spinto a scrivere: «Gli doveva rompere il cranio a quel testa d’asfalto!») pen­sa di no. E ha ragione.

Così, di fatto, è stato riempito il calderone di insensata zuppa. Una emotività pari che so, a quella per la morte di Michael Jackson o per il televoto del Grande Fratello è stata etichettata come opinione di parte del Paese. O peggio, come incubatore del germe della violenza. Un germe sgradevole, sia chiaro. Ma che rappresenti il sicuro presupposto alla violenza ne siamo proprio sicuri? Il bulletto che scrive sul social network  è lo stesso che tira il sasso, che arma la pistola, che impugna il coltello? Che contribuisce in maniera decisiva al clima d’odio?

Secondo me l’odio ce l’abbiamo intorno. Da sempre. Anzi, ce l’abbiamo  proprio dentro, è la struttura di una società civile che dovrebbe arginarlo, non certo lo spauracchio di improbabili leggi internettiane.
Ma ci rendiamo conto dei toni altissimi di questo Paese negli ultimi anni? A me pare come quello che alza, alza, alza il volume dello stereo e non  se rende conto fino a quando non viene qualcuno dall’altra stanza.
Continuando con questa metafora: imporre lo spegnimento dello “stereo”  ha mai sortito risultati? No, che io ricordi. Scrive proprio ora Raffaele, mio amico, su Facebook: «abbassare i toni sta cambiando significato: prima era un invito, ora pare un comando (sui toni degli altri)». È vero.

Poi un minimo di scontata, banale, prospettiva storica: al Klux Klux Klan non servì un gruppo su Facebook, a Lee Oswald, Yigal Amir, Ali Agca, nemmeno una e-mail. Siamo sicuri che la famosa “spirale dell’odio”  si sviluppa e si avviluppa attraverso la Rete?

Update: non avevo letto l’articolo – di segno opposto rispetto a Stella – scritto da Michele Ainis per la Stampa di oggi:

Lo squilibrato che ha ferito Berlusconi raccoglie 50 mila fan tra i navigatori della Rete. Significa che la Rete è a sua volta squilibrata? Significa che ha urgente bisogno di una camicia di forza, o almeno d’una museruola? Calma e gesso, per favore. E per favore smettiamola d’invocare giri di vite e di manette sull’onda dell’ultimo episodio che la cronaca ci rovescia addosso.