Perché dovrei affliggermi ora?

Mi chiamo Ciro Pellegrino, sono un giornalista, sono nato a Napoli il 27 febbraio del 1977 . Oggi, dunque, è il mio compleanno. Compio 36 anni. Due volte 18  ed è quanti in effetti vorrei sentirmene. Qualche giorno fa sono stato con un bravo e intelligente giudice campano, Raffaele Cantone, ad un incontro con i ragazzi di un prestigioso liceo di Napoli, il “Genovesi”. È una delle cose che in assoluto più mi emoziona, parlare ai ragazzi. Sarei rimasto lì per ore. Qualche ora dopo sono andato a votare, qualche ora ancora dopo ho scoperto che il centrodestra di Luigi Cesaro (capolista PdL) e di Nicola Cosentino (non candidato) aveva vinto in Campania per l’ennesima volta. Ho scoperto che il centrosinistra aveva perso e che Beppe Grillo col suo movimento aveva superato ogni aspettativa. E così (più o meno…) in tutt’Italia. Io vivo a Napoli e a Napoli lavoro, faccio il giornalista. Sono precario o meglio lo sono diventato dopo anni di contratto, sono stato cassintegrato e disoccupato. Nel vicolo in cui abito, proprio ora (sono le 23.20 del 26 febbraio ma questo articolo sarà pubblicato a mezzanotte del 27) stanno sparando i fuochi artificiali. Non mi stanno facendo la festa: è arrivata la partita di droga e così si segnala l’avvenuto rifornimento della piazza di spaccio. Insieme a questa succedono tante altre cose nella mia città e nella mia regione. Avrei di che essere arrabbiato.

Perché dovrei affliggermi ora? Uso questa bella frase di Osho (ma non sono un tipo new age) per spiegare il mio sentimento in questo momento: tutto va come non dovrebbe andare. Io sono nato nel 1977, lo ripeto: ho vissuto gli anni Ottanta da piccoletto, gli anni Novanta da adolescente e il nuovo millennio da ventenne. Anni difficili, per non dire di merda. Ho 36 anni da poco e la metà di questi li ho passanti parlando (non sempre) scrivendo (abbastanza) bestemmiando (ecco questo molto di più) discutendo (ahimè) di Silvio Berlusconi. Ancora mi dico e mi ripeto in queste ore: perché dovrei affliggermi ora? Quando sono venuto al mondo il presidente del Consiglio dei ministri era Giulio Andreotti, alla sua terza esperienza da premier con la Democrazia Cristiana. Dopo di lui sarebbero venuti i Fanfani, Spadolini, i Bettino Craxi. Ripeto: perché dovrei affliggermi ora? Ho vissuto la metà della mia vita sperando vi fosse qualcosa di diverso, probabilmente l’errore da giornalista e da cittadino è stato quello di dare poco ascolto alla metà del Paese che la pensava diversamente. E ancora mi ripeto, come un disperato mantra, perché dovrei affliggermi ora, proprio ora? Ci sono tante cose da ascoltare, da vedere e da raccontare e probabilmente c’è da continuare a combattere per una determinata idea di società, di vita, di cultura. Combattere ma al tempo stesso ascoltare. Capire, raccontare. Tutto questo per uno che trova notizie e racconta  storie è una manna dal cielo. Perché dovrei affliggermi ora?

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Domande come queste mi perseguitano, infiniti cortei d’infedeli, città gremite di stolti

Io non c’avrei scommesso molto, la mia sfiducia è stata punita, ne sono lietissimo. La partecipazione alla manifestazione “Se non ora quando” ha superato ogni più rosea previsione: è sintomo che qualcosa ribolle e che non è la seppur importante “pagnotta”. Parliamo di dignità e coerenza, di ruolo della politica e moralità.
A Napoli era da tempo che non vedevo una manifestazione con volti sconosciuti in testa al corteo, senza le solite bandiere acquistate in blocco, portate nei torpedoni e recuperate al volo prima di scendere dal bus. Fortunatamente i politici sono stati zitti, un bene, soprattutto a Napoli dove la politica, da tempo, ha perso il diritto di parola.

A Roma Isabella Ragonese ha letto Raffaella Ferré, aprendo la manifestazione nazionale così: noi ci siamo emozionati, io davvero mi sono sentito dalla parte giusta di questo Paese diviso, contraddittorio e triste.

 

C’è tanto da fare, però.
Guardavo i ragazzi di sedici, vent’anni e pensavo che ognuno di loro, in piazza, dopo il sabato sera, valeva da solo cento di noi, mille sindacalisti, diecimila politici.
All’altezza di piazza Dante ne troviamo due che sfruculeano, provocano, prendono in giro le donne in corteo. Mi paro davanti, li guardo e dico: la smetteranno. Loro effettivamente smettono. Il dialogo è stato più o meno una cosa del genere:

– La piazza è la nostra
– Ok, la piazza è anche vostra, ma ora c’è una manifestazione, non vi interessa?
– Affinale stamm ‘cca pecche’ nun tenimmo niente che ffa’.

Così si conclude il primo round. Inizio con una pazienza che non ho mai avuto nella mia vita, a spiegare il perché di quel corteo. Sono in due, avranno 16 anni a testa, ascoltano.

Poi, interviene una signora iperattiva. Una di quelle tranquillone della mediaborghesia per le quali indossare un cappotto rosa significa aver acquisito lo status di femminista-serviziod’ordine-coordinatrice dell’intero iperuranio. La signora, giustamente, che fa? Chiama la Digos.
Arriva quest’ispettore che con toni bruschi manda via i ragazzi. Probabilmente mi riconosce, perché mi infila subito dalla parte dei buoni, nonostante la mia faccia non esprima nulla di buono.

I ragazzi vanno via trotterellando e mormorando contro “la guardia” che li ha cacciati dalla piazza. Si avviano verso i vicoli del vicino Cavone: probabilmente è da lì che scendono.

Chiedo alla signora perchè avesse chiamato il poliziotto rischiando di creare una piccola tempesta in un bicchier d’acqua (la manifestazione è andata liscia, pacifica, affollatissima e non ha avuto bisogno di nessun intervento delle forze dell’ordine).
La signora col cappotto fluorescente risponde piccatissima: «Se ne devono andare tutti, la piazza è nostra oggi». Cara signora col cazzo di cappotto orripilante, spiego,  la piazza non è tua e quei due ragazzi  tu li devi recuperare perché è da loro che dipende tutto, sono loro che dovranno saper scegliere al momento giusto da che parte stare. Erano due sbruffoncelli ma ci stavamo parlando. Dannata signora col cappotto inguardabile, vedi? Tuo marito annuisce e mi sta dando ragione, benedetta signora col cappotto frutto di una allucinazione Lsd, lo capisci che dobbiamo educare questa città al bene, alla prospettiva, al dialogo? Tu in questa piazza, oggi, stai perdendo tempo.
La signora va via, inveendo. Il marito la segue. Io trotterello verso la statua di Dante. Per la cronaca, cinque minuti dopo i ragazzi erano di nuovo lì.