Io non c’avrei scommesso molto, la mia sfiducia è stata punita, ne sono lietissimo. La partecipazione alla manifestazione “Se non ora quando” ha superato ogni più rosea previsione: è sintomo che qualcosa ribolle e che non è la seppur importante “pagnotta”. Parliamo di dignità e coerenza, di ruolo della politica e moralità.
A Napoli era da tempo che non vedevo una manifestazione con volti sconosciuti in testa al corteo, senza le solite bandiere acquistate in blocco, portate nei torpedoni e recuperate al volo prima di scendere dal bus. Fortunatamente i politici sono stati zitti, un bene, soprattutto a Napoli dove la politica, da tempo, ha perso il diritto di parola.
A Roma Isabella Ragonese ha letto Raffaella Ferré, aprendo la manifestazione nazionale così: noi ci siamo emozionati, io davvero mi sono sentito dalla parte giusta di questo Paese diviso, contraddittorio e triste.
C’è tanto da fare, però.
Guardavo i ragazzi di sedici, vent’anni e pensavo che ognuno di loro, in piazza, dopo il sabato sera, valeva da solo cento di noi, mille sindacalisti, diecimila politici.
All’altezza di piazza Dante ne troviamo due che sfruculeano, provocano, prendono in giro le donne in corteo. Mi paro davanti, li guardo e dico: la smetteranno. Loro effettivamente smettono. Il dialogo è stato più o meno una cosa del genere:
– La piazza è la nostra
– Ok, la piazza è anche vostra, ma ora c’è una manifestazione, non vi interessa?
– Affinale stamm ‘cca pecche’ nun tenimmo niente che ffa’.
Così si conclude il primo round. Inizio con una pazienza che non ho mai avuto nella mia vita, a spiegare il perché di quel corteo. Sono in due, avranno 16 anni a testa, ascoltano.
Poi, interviene una signora iperattiva. Una di quelle tranquillone della mediaborghesia per le quali indossare un cappotto rosa significa aver acquisito lo status di femminista-serviziod’ordine-coordinatrice dell’intero iperuranio. La signora, giustamente, che fa? Chiama la Digos.
Arriva quest’ispettore che con toni bruschi manda via i ragazzi. Probabilmente mi riconosce, perché mi infila subito dalla parte dei buoni, nonostante la mia faccia non esprima nulla di buono.
I ragazzi vanno via trotterellando e mormorando contro “la guardia” che li ha cacciati dalla piazza. Si avviano verso i vicoli del vicino Cavone: probabilmente è da lì che scendono.
Chiedo alla signora perchè avesse chiamato il poliziotto rischiando di creare una piccola tempesta in un bicchier d’acqua (la manifestazione è andata liscia, pacifica, affollatissima e non ha avuto bisogno di nessun intervento delle forze dell’ordine).
La signora col cappotto fluorescente risponde piccatissima: «Se ne devono andare tutti, la piazza è nostra oggi». Cara signora col cazzo di cappotto orripilante, spiego, la piazza non è tua e quei due ragazzi tu li devi recuperare perché è da loro che dipende tutto, sono loro che dovranno saper scegliere al momento giusto da che parte stare. Erano due sbruffoncelli ma ci stavamo parlando. Dannata signora col cappotto inguardabile, vedi? Tuo marito annuisce e mi sta dando ragione, benedetta signora col cappotto frutto di una allucinazione Lsd, lo capisci che dobbiamo educare questa città al bene, alla prospettiva, al dialogo? Tu in questa piazza, oggi, stai perdendo tempo.
La signora va via, inveendo. Il marito la segue. Io trotterello verso la statua di Dante. Per la cronaca, cinque minuti dopo i ragazzi erano di nuovo lì.
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Quando ho letto che stavi andando verso la statua di Dante, ho pensato che volevi cazziare pure a lui 🙂
Comunque, c’è da fidarsi poco di persone che circolano con cappotti improbabili.
la signora con il cazzo di cappotto di merda è la metfora di qualcosa che non so come dire per paura di dirla male e cioè che l’idea che ci sia un noi e gli altri non mi convince né come strategia politica a breve termine che come discorso sociale potenzialmente dirompente nel lungo termine. L’altra cosa che non so dire bene è: ma a chi parlavano queste piazze? ai sedicenni scemi? agli uomini che “mi sposo se no pensano che sono frocio ma se devo divertirmi vado al bar con gli amici”? A Berlusconi? Io vorrei che parlassero alle donne che la danno via, per dire: sediamoci ad un tavolo, parliamo, rompiamo questa cazzo di schiavitù e torniamo a fare tutte pompini per amore (del pompino o dell’uomo, fa lo stesso)