Clark Hoyt, il public editor del New York Times, ovvero il “garante dei lettori”, scrive un lungo e bell’intervento sui rischi per il giornalista sempre on-line. Dall’esperimento di “redazione pubblica” ripresa dalle telecamere e trasmessa in tempo reale sul sito del Nyt nella sezione Times Cast, fino ai tanti account twitter dei reporter Nyt (c’è perfino quello per i necrologi) fino ad altri social media, è tutto un fiorire di iniziative.
Però, dice Hoyt, qualche incidente di percorso fa pensare che questa strada non è immune da rischi. Insomma, avrai pure più visibilità e fornirai anche informazione tempestiva, ma tutto a discapito dell’accuratezza e della precisione.
But several stumbles in the past few weeks have demonstrated some of the risks for a print culture built on careful reporting, layers of editing and time for reflection as it moves onto platforms where speed is everything and attitude sometimes trumps values like accuracy and restraint.
Hoyt fa tanti esempi: imprecisioni dovute alla brevità di twitter o alla mancanza di elementi sufficienti per una valutazione, ad esempio nella riunione di redazione. Spesso i dubbi del reporter si diradano nel corso della giornata e quando deve scrivere il pezzo ha raggiunto un certo grado di accuratezza. Sui social (e in riunione di redazione poi!) non è sempre possibile. Di qui, il consiglio del public editor.
The technology may be new, the speed faster, the culture different, but in journalism, the old rules still apply: be skeptical, check it out.