Il migliore dei tempi, il peggiore dei tempi

Non so se qualcuno si sia mai chiesto quanta depressione abbia portato in Italia, nella mia generazione, in quella precedente e in quella successiva, il fatto di essere rimasti senza lavoro o senza punti di riferimento per il futuro.

Non ho un osservatorio privilegiato, eppure quel che vedo tutti i giorni mi basta. Tristezza a palate che basterebbe metterci sotto “Street of Philadelpia“.

Non parlo di piccole nevrosi, dei cedimenti quotidiani visibili sulle nostre facce, fragili display di emozioni, fatti che ormai danno per scontati e infiliamo d’ufficio nella categoria “stress”. Parlo di quelle cose che ti acchiappano alla bocca dello stomaco mentre sali a casa la sera e pensi a domani. Quelle che diventa difficile perfino fare una telefonata, perfino spiegare cose ovvie, un senso di impotenza che prende alla bocca dello stomaco e rende complicate e drammatiche cose formalmente facili.

Insomma, hai presente quei giorni che ad un certo punto, camminando, devi trovare un punto di riferimento in strada – un salumiere, una edicola, una pubblicità molto visibile – perché manco sai dove stai?

Tutte queste cose le ho viste, le ho sentite, me le hanno raccontate. Possibile che nessuno, parlando di precari, choosy, generazione, contrattualizzazione, abbia mai pensato al tasso di infelicità che genera tutto ciò, concentrandosi sull’economia, sul Pil, sulle percentuali? Ma dov’è scritto che dobbiamo essere infelici, aspettando la stabilizzazione, il reintegro, la cassa integrazione, il sussidio di disoccupazione?

Ascolto un sacco di gente sui temi del lavoro e non riesco più a parlare con le persone che non pensano alla felicità quale sfuggente linea di traguardo da farsi sfuggire, sorridendo e cercando di riacchiapparla. I più illuminati mi parlano spesso di decrescita felice. E poi pure quella è diventata un movimento con le regole, le assisi, le strutture, un ragionamento. Io invece parlo proprio della felicità, quella classica di Trilussa:

C’è un’ape che se posa
su un bottone di rosa:
lo succhia e se ne va…
Tutto sommato, la felicità
è una piccola cosa.