Qualche giorno fa, nella tradizionale conferenza stampa di fine anno, il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha detto che no, non esiste sfruttamento né barbarie, né schiavitù, per i giornalisti italiani. Ha detto – motivazione ripresa a pappardella dalla Fnsi – che sono parole pesanti e che le parole vanno ponderate.
Beh, allora ci dica lui quali possiamo usare.
Tra i sinonimi di schiavitù c’è asservimento. Penso vada bene.
Fra i sinonimi di barbarie c’è inciviltà. Calzante.
Tra i sinonimi di sfruttamento c’è esaurimento.
Asservimento: perché un giornalista sfruttato è reso servo (girate al largo con la stronzata del ‘se non mi conviene io non lo faccio’: ditelo a un ragazzo che ha appena fatto spendere ai suoi genitori 10mila e passa euro di scuola di giornalismo ed è desideroso di mettersi alla prova con la fantomatica ‘gavetta’ che poi dura mezza vita).
Inciviltà: perché non è da Paese civile non garantire forme di tutela legislativa agli operatori della comunicazione in Italia. La legge sull’equo compenso, distrutta dagli editori (ma è il loro lavoro, li capisco) e dal sindacato Fnsi (ecco, qui capisco di meno, ma se consideriamo che l’ex segretario Fnsi oggi siede in Confindustria è tutto più chiaro).
Esaurimento perché oltre a quello classico, nervoso, di una partita iva che dev’essere giornalista-contabile-esattore-economo per tentare di far quadrare i miseri conti (sistematicamente in rosso) a fine mese c’è l’esaurimento dell’entusiasmo, della voglia di fare questo mestiere e di farlo bene.
La risposta di Matteo Renzi è stata: voglio abolire l’Ordine dei Giornalisti. Motivata probabilmente dall’astio verso l’attuale presidente Enzo Iacopino che nel suo duro discorso introduttivo gli ha spiegato qual è la situazione dell’Italia reale, rovinandogli lo storytelling (leggasi: la storiella) di fine anno col Paese che riparte, la locomotiva Italia che corre e il Jobs Act che regala posti di lavoro.
Abolisci quel che vuoi, Renzi. Ma la verità non puoi abolirla. Puoi solo occultarla, puoi far sì che i media compiacenti ‘coprano’ e cantino la canzone che ti piace. Quando si tratta di giornalisti del resto non è così difficile: sono gli stessi editori che non hanno nessuna voglia di mettersi da soli sulla graticola.
Al massimo il PresDelCons può crogiolarsi credendo di essere nel favoloso mondo di Checco Zalone.
Perché voi la conoscete, vero, la trama del film che ha guadagnato di più in assoluto nella storia del cinema italiano? Checco Zalone interpreta un cazzone 40enne assunto in un carrozzone di stato a tempo indeterminato che a un certo punto viene riformato, sciolto con le Province e determina il cambiamento (facciamo #cambiamento, con l’hashtag renziano che fa più figo) del bamboccione stesso, costretto a fare i conti con la #vitavera.
Farebbe comodo, vero, una realtà così? Dove i giovani giornalisti (che poi, a 40 anni giovani…) sono in realtà dei perdigiorno mediocri che non vogliono muoversi da casa e convinti di essere Indro Montanelli o Oriana Fallaci, pronti a bestemmiare per ogni cambiamento della loro esistenza. Lo schema è tutto racchiuso in questa visione volutamente distorta dell’Italia, di chi la vive, di chi ci studia e di chi la racconta.
E invece non è così. Quella una commedia, fa ridere. Quel che succede usciti dal cinema fa ridere un po’ meno. Ma giusto perché siamo inguaribili ottimisti, altrimenti dovremmo stare col fazzoletto in mano.