Ninna nanna del fabbricante d’armi

finch_c_guerra_c_speranza_alberto_sordi_alberto_sordi_009_jpg_tpfv

FInché c’è guerra c’è speranza – Alberto Sordi

 

Ninna nanna del fabbricante d’armi

Michele Serra

Dormi bambina bionda
che il tuo papà ti culla
e il sonno è come un’onda
che non si pensa a nulla.

La guerra si consola
nel buio della stanza
e il fatturato vola
nel cielo di Brianza.

Coi soldi della bomba
ti comprerò la Barbie
con quelli del tritolo
il pupazzo di Sgarbie.

Dormi, che la paura
è solo un brutto sogno
e finché il mondo dura
non cala il fabbisogno.

Dormi, capolavoro
del mondo che lavora
ho fatto la mia bimba
disfando quelle altrui,

Dormi e non dire niente
abbraccia il tuo pupazzo
che i bambini d’oriente
dormono già da un pezzo.

Loro ad Atene fanno così (di Pericle e dell’andare oltre l’ammuina italiana)

grecia-Atene-euro

Nel giorno del referendum per la Grecia, nel giorno degli Alexis Tsipras, dei Jens Weidmann, della Deutsche Bundesbank, di Angela Merkel e dell’ammuina italiana che tenta disperatamente di appuntarsi la vittoria della sinistra greca come un suo risultato (?) guardiamo all’orizzonte. Il discorso di Pericle vale la pena di appuntarselo (anche se Umberto Eco sostiene che era un gran furbone).

Qui ad Atene noi facciamo così. Pericle, Discorso agli Ateniesi

Qui ad Atene noi facciamo così.
Qui il nostro governo favorisce i molti invece dei pochi: e per questo viene chiamato democrazia.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Le leggi qui assicurano una giustizia eguale per tutti nelle loro dispute private, ma noi non ignoriamo mai i meriti dell’eccellenza.
Quando un cittadino si distingue, allora esso sarà, a preferenza di altri, chiamato a servire lo Stato, ma non come un atto di privilegio, come una ricompensa al merito, e la povertà non costituisce un impedimento.
Qui ad Atene noi facciamo così.
La libertà di cui godiamo si estende anche alla vita quotidiana; noi non siamo sospettosi l’uno dell’altro e non infastidiamo mai il nostro prossimo se al nostro prossimo piace vivere a modo suo.
Noi siamo liberi, liberi di vivere proprio come ci piace e tuttavia siamo sempre pronti a fronteggiare qualsiasi pericolo.
Un cittadino ateniese non trascura i pubblici affari quando attende alle proprie faccende private, ma soprattutto non si occupa dei pubblici affari per risolvere le sue questioni private.

Qui ad Atene noi facciamo così.
Ci è stato insegnato di rispettare i magistrati, e ci è stato insegnato anche di rispettare le leggi e di non dimenticare mai che dobbiamo proteggere coloro che ricevono offesa.
E ci è stato anche insegnato di rispettare quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che è giusto e di ciò che è buon senso.
Qui ad Atene noi facciamo così.
Un uomo che non si interessa allo Stato noi non lo consideriamo innocuo, ma inutile; e benchè in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, beh tutti qui ad Atene siamo in grado di giudicarla.
Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo sulla via della democrazia.
Noi crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la libertà sia solo il frutto del valore.

Insomma, io proclamo che Atene è la scuola dell’Ellade e che ogni ateniese cresce sviluppando in sé una felice versalità, la fiducia in se stesso, la prontezza a fronteggiare qualsiasi situazione ed è per questo che la nostra città è aperta al mondo e noi non cacciamo mai uno straniero.
Qui ad Atene noi facciamo così.

Pericle – Discorso agli Ateniesi, 431 a.C. (Tucidide, Storie, II, 34-36)

L’ultima lettera di Franco Fortini

Questa lettera di Franco Fortini la tengo qui, a imperitura memoria di ciò che si dovrebbe essere, dire, pensare. È datata 5 novembre 1994 ed è indirizzata ad alcuni amici: fu inviata al Corriere della Sera da Carla Fracci e Beppe Menegatti dopo la morte del poeta. Non so se effettivamente sia stata proprio l’ultima lettera. Ma per la potenza che l’accompagna la si può definire sicuramente un testamento pubblico, civile, morale, intellettuale.

Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non invisibili agenti e spie; non chiari ma visibili nemici. Sapete chi sono. Non sono mai stato né volteriano né liberista di fresca convinzione. Spero di non dover mai stringere la mano né a Sgarbi né a Ferrara né ai loro equivalenti oggi esistenti anche nelle file dei “progressisti”. Non l’ ho fatto per mezzo secolo. Perché dovrei farlo ora? Nessuna “unità” anni Trenta. Meglio la destra della Pivetti.
Ognuno preghi i propri santi e dibatta con gli altrui. Tommaso d’ Aquino, Marx, Pareto, Weber, Croce e Gramsci mi hanno insegnato che la libertà di espressione del pensiero, sempre politica, è sempre stata all’interno della cultura dominante anche quando la combatteva. Tutt’intorno ai suoi confini, però, c’erano, lungo i secoli, miliardi di analfabeti, inquisizioni mistiche o, a scelta, grassi doberman accademici, reparti speciali di provocatori incaricati di picchiare i tipografi e distruggere i manoscritti.
Ci sono manuali per l’uso della calunnia nel management della comunicazione, lupare bianche, colpi alla nuca; o, nel più soave e incruento dei casi, la damnatio memoriae, il nome omesso o deformato, la associazione indiretta con qualche notorio cialtrone.
Ma ci sono momenti in cui il solo modo serio di dire “noi” è dire “io”. La prima persona, quel qualcosa che viene dopo la firma. Questo è uno di quei momenti.
Bisogna spingere la coscienza agli estremi. Dove, se c’è, c’è ancora per poco. Quando non si spinge la coscienza agli estremi, gli estremismi inutili si mangiano lucidità e coscienza.
Chi finge di non vedere il ben coltivato degrado di qualità informativa, di grammatica e persino di tecnica giornalistica nella stampa e sui video, è complice di quelli che lo sanno, gemono e vi si lasciano dirigere. Come lo fu nel 1922 e nel 1925.
Non fascismo. Ma oscura voglia, e disperata, di dimissione e servitù; che è cosa diversa. Sono vecchio abbastanza per ricordare come tanti padri scendevano a patti, allora, in attesa che fossero tutti i padri a ingannare tutti i figli. Cerchiamo almeno di diminuire la quota degli ingannati. Ripuliamo la sintassi e le meningi. Non scriviamo un articolo al giorno ma impariamo a ripeterci, contro la audience e i contratti pubblicitari. Diamo esempi di “cattiveria” anche a quei lavoratori che dai loro capi vengono illusi di battersi attraverso le strade con antichi striscioni e poi, nel buio della Tv, ridono alle battute dei pagliaccetti di Berlusconi.
Lungo canali di storica vigliaccheria mascherata di bello spirito i colleghi della comunicazione stanno giorno dopo giorno cambiando o lasciando cambiare i connotati dei quotidiani; in attesa che se ne vadano quei pochissimi direttori che non hanno già concordato o “conciliato”.
Quanto a me, solo l’ età mi scampa dal dovermi dimettere. Mai come oggi, credo, il massimo della flessibilità tattica del politico vero dovrebbe andar d’accordo con la rigidità delle scelte di fondo. Un modesto zapping basta a capire che è inutile declamare estremisticamente, come ora sto purtroppo facendo.
Bisogna dire di no; ma c’è qualcosa di più difficile e sto cercando di farlo: dire di sì in modo da non nascondere il “no” di fondo; se si crede di averlo e saperlo.
Pagare di persona, secondo le regole del finto mercato che fingiamo di accettare: ossia dimettersi o costringere altrui alle dimissioni, ritirare o apporre le firme e le qualifiche e il proprio passato, affrontare sulla soglia di casa o di redazione le bastonature fisiche o morali già in scadenza.
Anni fa scrissi, enfaticamente, che il luogo del prossimo scontro sarebbero state le redazioni. Quel momento è venuto, il luogo è questo.
Chi tiene famiglia, esca. Chi ha figli sappia che un giorno essi guarderanno con rispetto o con odio alle sue scelte di oggi.
Scade il primo semestre di chi ha preso il potere, come tanti altri, legalmente, coi voti di un terzo degli elettori, ossia giocando con la manovra della informazione e la debilità culturale ed economica di tanti nostri connazionali e, perché no, con la nostra medesima.
Cari amici, non sempre chiari compagni; cari avversari, non sempre invisibili agenti e spie; non chiari ma visibilissimi nemici, vi saluta un intellettuale, un letterato, dunque un niente. Dimenticatelo se potete.

Franco Fortini
Milano, 5 novembre 1994

Elezioni Ordine dei giornalisti 2013: perché mi candido in Campania

Se andate di fretta qui c’è la storia breve. Parla di Elezioni Ordine dei giornalisti 2013

Bisogna imparare la lezione da qualsiasi parte arrivi. In questi mesi stiamo sentendo parlare esclusivamente di elezioni. Ce n’è una che mi interessa personalmente, è quella per il rinnovo dell’Ordine dei giornalisti. Sono tre anni che col Coordinamento dei giornalisti precari Campania portiamo avanti un progetto. Un tentativo di disambiguazione: spieghiamo alle persone che il giornalista non è una casta. Che oggi, anno 2013, fra giornalista precario e operatore di call center precario non v’è alcuna differenza. Abbiamo fatto assemblee, riunioni, abbiamo parlato da palchi sindacali, abbiamo perfino fatto irruzione in alcuni convegni, abbiamo contestato, abbiamo tenuto il megafono in mano e gli striscioni. Nessuno di noi gioca alla rivoluzione: non c’è tempo, non c’è più tempo per giocare. Strappiamo i momenti necessari all’organizzazione di questo movimento alla vita privata, al sonno. Abbiamo rimesso al centro della discussione, in Campania, la questione dei precari. Per questo io vi dico, cari 25 lettori di questo blog, che mi candido alle Elezioni Ordine dei Giornalisti 2013, come consigliere nazionale in Campania. Con me in questa battaglia ci sono altri amici e colleghi: troverete i loro nomi in calce e a questo link.

Se avete due minuti in più, questa è la storia lunga (parla sempre di Elezioni Ordine dei giornalisti 2013)

Sono fortunato. Me lo dico nonostante le strade piene di munnezza, il degrado che in alcune zone di Napoli ti «zompa ‘nfaccia». Nonostante veda i miei amici piano piano andare tutti via per lavoro: Roma, Milano, Irlanda, Francia, Inghilterra, Belgio, Stati Uniti. Uno dei pochi pensieri che mi ferisce è sapere che non potremo mai più incontrarci tutti insieme come un tempo. Ma ripeto: sono fortunato. Siamo tutti fortunati. Siamo nella merda – che notoriamente puzza di merda ma partorisce fiori -. E i diamanti? Li troveremo, prima o poi? O avranno saccheggiato tutte le miniere? E quando li troveremo saremo ancora puri di cuore come ora, o avremo l’animo incupito, macchiato dalle troppe delusioni, dai tradimenti, accecato dalla rabbia e voglioso solo di cose, cose, cose? Le dannate cose che non fanno la felicità ma costruiscono un involucro felice. Per questo dico che sono fortunato: ho raggiunto questa consapevolezza.
È come se a trentasei anni mi fossi operato di cataratta e vedessi tutto più chiaro. Quanto dura la vita? Settanta, ottanta, novanta, cento (io centodieci eh) anni? E qual è la differenza tra una vita consumata fra le cose e la voglia di cose e quella spesa nelle idee? «Molti Maalox in più e un fegato così», direbbero i miei amici ex comunisti ora alle prese coi guai del Pd. Io dico che è la passione. Nel senso di «amor che move il sole e l’altre stelle» ma anche nel senso etimologico del termine, di patire. Un termine che a sua volta ha molto a che fare con la simpatia. E non siamo davvero pieni di patimenti e di passioni, noi, di questa generazione? È pur vero che ci indigniamo per due clic su Facebook ma è altrettanto vero che scriviamo tanto, tantissimo. E che chi fra di noi riesce a dare il giusto senso e il giusto peso alle sue parole riesce a veicolare e molto facilmente le sue idee ad un grandissimo numero di persone: una cosa mai vista fino ad ora. Abbiamo enormi possibilità di cambiare le cose, abbiamo enorme necessità di farlo: siamo un poco più lenti dei nostri predecessori. Non viviamo tra le macerie di una guerra ma camminiamo tra palazzi pericolanti: non possiamo sapere quale ci crollerà addosso; dobbiamo stare attenti. E siamo giovani, anche il più vecchio di noi è giovane. Se l’è conservata, la sua giovinezza, non consumata tra gli atti di violenza che hanno caratterizzato le generazioni precedenti, incupiti e più disillusi dei nostri padri e dei nostri nonni (dei quali conserviamo l’attitudine pericolosa ad amare l’uomo solo al comando) ma al tempo stesso con la grandissima possibilità di studiare le carte, i fatti, i nomi, le circostanze. Riusciamo a dare un senso e un nome a ciò che vogliamo.

Detta così, sembra davvero che grandi pensieri partoriscano poi piccoli atti: di tutte queste parole ciò che accade è la candidatura all’Ordine dei giornalisti? Quel luogo antico e inutile che tantissima gente – probabilmente a ragione – vorrebbe abolire? La questione è molto semplice: ad un certo punto di una battaglia bisogna far capire alla tua controparte cosa sei disposto a fare. Addirittura a scendere sul suo terreno, quello del consenso elettorale, dei signori delle tessere, del voto di scambio tale e quale a quello che quegli stessi giornalisti poi condannano dalle colonne del loro importante quotidiano. «Sconfiggere il nemico senza combattere è la massima abilità» scriveva Sun-Tzu. E invece pare che stavolta useremo un’altra tattica, quella meno antica ma comunque datata, dei disoccupati organizzati napoletani che cantavano ai politici trombati per sfotterli un coretto caustico all’ennesima potenza: «è fernuta ‘a zezzenella / sò passat ‘e tiempe belle / piglia ‘o fierr e ‘a cardarella / è ‘o mumento e faticà». Speriamo il 19 maggio prossimo di cantarla anche noi a qualcuno.




Romanzo Quirinale: Giorgio II, la vendetta



– E le valigie? Che faccio?
– E che ne saccio. Ma scusa, i cazettini celesti l’hai buttati? Altrimenti quelli fanno comm’a Mesiano e mi pigliano per il culo.
– Giorgio… ma tu che vuoi fare?
– Per ora mi faccio una grandissima Idrolitina e ci metto dentro nu pizzichillo ‘e bicarbonato che esalta il sapore della bollicina…
– Eddai GIORGIO! Io voglio sapere! Ho preso pure le misure delle tende e aggio accattato pure il nuovo servizio di bicchieri che quelli del Quirinale li hai scassati tutti tu quando ti arrabbiasti per il fatto di Morfeo… Approposito, il telefono sta squillando da ieri notte, ma perché non rispondi?
– Ma tu che vuoi da me? MA CHE VOLETE DA ME? Io so’ Morfeo? E allora fatemi dormire, vah (segue risata satanica)
– Giorgio, ti richiamo alle tue responsabilità.
– IO? IO? ‘A RESPONSABILITA’? E ALLORA SE PROPRIO LO VUOI SAPERE IO VOGLIO TORNARMENE A CAPRI! Me metto ‘o cappellino e vado a pescare sotto al sole. E invece hai visto a questi qua che hanno combinato? ‘O Romanzo Quirinale l’hanno chiamato: ma tu hai capito che figura di merda? Pure ‘a Regina di Inghilterra m’ha chiamato: ha detto “Mister Napolitano la vuoi a Margaret Thatcher ahahah!”. Capito? Nemmeno quando da giovane mi feci il riporto perché mi stavano cadendo i capelli mi sono sentito così mortificato! Ma tu hai capito che mo’ devo fare io pure ‘o presidente del Consiglio? SI LAMENTANO CHE NON VOGLIONO GIULIANO AMATO? IO VI PIGLIEREI A CALCI SE NON FOSSE CHE TENGO 88 ANNI E MI FANNO MALE LE ARTICOLAZIONI. Amato è l’UNICO FESSO CHE VA A PALAZZO CHIGI. Nemmeno Little Tony ci vuole andare.

– Calmati, Giorgio. Ti faccio ‘o ccafé. E stasera mangi leggero.
– NO, NO E NO! Mi devo sostenere VOGLIO LA FRITTURA DI PARANZA. E se stasera ti permetti solo di fare il pangasio, quel pesce di merda che non sa di niente, sciolgo le camere.
– Ma sei nel semestre bianco.
– E allora mi candido segretario del Pd.
– E quelli te lo farebbero fare! Anzi se non la smetti chiamo io Bersani e ti faccio fare ‘o segretario del Pd.
– …. vabbé mi mangio il pangasio.

– Mettici almeno un poco di limone e un filo d’olio, Clio. Mi devi credere, fa schifo bollito…

– Giorgio, ci stanno i saggi. Che faccio, li faccio entrare?
– Falli entrare. Ma non portare ‘o ccaffe’: se ne vanno subito. Devono solo consegnarmi un altro dossier che hanno scritto. Io non ce la faccio più, da quando li ho chiamati hanno scritto 6 dossier, due romanzi, una riduzione teatrale e una sceneggiatura per un film con Nino Manfredi. E gliel’ho detto che Manfredi è morto, niente da fare, niente…

LE PUNTATE PRECEDENTI QUI E QUI