Gomorra la serie, Il Camorrista e Napoli

Gomorra, Il Camorrista e Napoli

«Is this the real life?
Is this just fantasy

La terza stagione della serie tv Gomorra è finita, a Napoli non si parla d’altro. Non è la prima volta che uno sceneggiato televisivo fa breccia nei partenopei: nel corso degli anni è accaduto molte volte e non è stato nemmeno necessario che il prodotto parlasse di Napoli. Ricordo i tempi delle soap opera venezuelane, c’era “Anche i ricchi piangono”, con Veronica Castro e nel mercato di via Vergini alla Sanità vendevano ‘e mutande tale e quali a quelle ‘e Luis Antonio’ che era il suo virile fidanzato sudamericano.

Qui però parliamo di camorra e di Napoli. Ma facciamo un passo indietro. Negli anni Ottanta fra un poliziottesco e un Mammasantissima di Mario Merola fu girato il film “Il Camorrista”, regia di Giuseppe Tornatore con Ben Gazzara, musiche di Nicola Piovani. Due futuri premi Oscar e un ottimo attore italoamericano. Con Tornatore e Piovani ne ho parlato di persona in interviste che non ritrovo. Ne parlai anche con Nicola Di Pinto, bravissimo, che interpretava Alfredo Canale, il luogotenente del professore di Vesuviano, ovvero il Raffaele Cutolo così come raccontato dal bel libro di Joe Marrazzo.
Il Camorrista. Libro e pellicola avversate dallo stesso Cutolo; il lungometraggio ebbe successo solo anni dopo, grazie all’incessante tam-tam delle tv private napoletane che lo trasmettevano in continuazione.
Per anni le battute del film imparate a memoria dai ragazzini – me compreso – furono quelle del camorrista Alfredo che venne ucciso dal suo stesso boss. Nel 2005, quando Saviano e Gomorra non esistevano, ci feci una pagina di giornale che custodisco ancora. La versione digitale è qui per leggere ciò che segue dovete dagli una occhiata.

Soffermatevi sull’intervista all’attore Di Pinto. Ne pubblico uno stralcio.

«E quindi, al di là del film cult, la cosa brutta è che è diventato film “di emulazione”».
Si spieghi.
«Vede, le persone a Napoli dopo tanti anni mi fermano ancora perché miriconoscono come il personaggio che ho interpretato nel film, (Alfredo Canale braccio destro del professore di Vesuviana ndr.) Ricordano a memoria battute che io altrimenti avrei dimenticato da anni».
Qualche aneddoto particolare?
«Si, ne ricordo uno: passeggiavo per Napoli e, passando vicino ad una chiesa chiusa, i ragazzini seduti sulla scalinata mi hanno riconosciuto e hanno iniziato a cantare il motivetto della colonna sonora (scritta dal premio Oscar Nicola Piovani ndr.). E ancora:a Scampìa ad esempio mi consideranouna vera star. La gente ricorda a memoria le parole che pronuncia il mio personaggio quando lo ammazzano nelle docce del carcere di Poggioreale. La cosa che stupisce è che le battute sono recitate da ragazzini di 7-8 anni».

Questo è quanto mi veniva detto 12, quasi 13 anni fa.
Vi ricorda qualcosa dell’attuale polemica sulla serie tv di Sky?

La verità, secondo me, è che vivendo di social network viviamo soprattutto di tendenze. Viviamo di qui e ora filtrato da un algoritmo. Quando però ci sforziamo di inscrivere gli avvenimenti in un contesto sociale e storico ecco che abbiamo molte risposte che non troveremmo nelle letture superficiali degli avvenimenti o nelle frenetiche ricerche su Wikipedia. Del rischio di emulazione si parlava trent’anni fa, se ne parla ancora. Dunque siamo frutto di trent’anni di emulazione di film e serie televisive?  O semplicemente è un rischio sovrastimato ma che ben si presta alla polemica giornalistica e politica?

Uno dei più bravi cronisti di giudiziaria a Napoli, il giornalista dell’Ansa Enzo La Penna ha scritto, ironico, su Facebook: «La violenza non è colpa di Gomorra. Quando al cinema vidi Il conte Dracula, con Christopher Lee, non mi saltò in mente di addentare al collo l’uomo dei gelati o la cassiera».

Ultima cosa: preferisco I Soprano. Una serie tv meravigliosa. Mentre di bei film sulla mafia italoamericana ce ne sono molti (dalla trilogia del Padrino a Quei bravi ragazzi) le sei stagioni dei Soprano dal 199 ad oggi non hanno ancora degni concorrenti.

Che c’è di falso nella serie tv Gomorra

In tutte le puntate della terza stagione della serie tv Gomorra non c’è concreta traccia (tranne un accenno, nella vicenda di Scianél) di magistratura e forze dell’ordine. Questa cosa non è piaciuta a molti. È un racconto nero, senza speranza, l’unica redenzione – che tale ovviamente non è – è la morte. La tv dev’essere educativa? Karl Popper e John Condry avevano le idee abbastanza chiaresull’argomento.  Bisogna distinguere la cronaca dalla fiction, il fatto dalla sceneggiatura. La carne viva dalla recitazione.

Gomorra non è camorra. Quello che vedete in Gomorra non è reale. Sono descritti avvenimenti che potrebbero riferirsi a fatti realmente avvenuti ma i comportamenti e gli esiti, ovvero le reazioni degli uomini e delle donne ne sono estranei. Ogni prodotto di finzione si regge sul carattere semiotico della sospensione dell’incredulità. Gomorra ti vuol convincere che non esiste altro che se stessa.
Beh, sappiate che non è così.

Volete che vi spieghi due, due soltanto delle tantissime cose che una serie tv non racconta e che smontano i miti dei camorristi, altro che Stregone, Scianél, Sangue blu e Immortale?
Ne ho parlato qualche giorno fa con un investigatore napoletano che vive al Nord; concordavamo su molti fatti.

L’OCCC. Ordinanza di custodia cautelare in carcere. Si tratta di un arresto mentre già sei in galera. Significa che probabilmente hanno scoperto qualche altra cosa su di te, che la tua posizione si aggrava, che avrai altre indagini, forse un altro processo, un trasferimento di carcere. Insomma è un altro muro davanti al muro della cella. Spesso per i boss, per gli affiliati, per i killer è una mazzata micidiale:  altro iter giudiziario, altri soldi per gli avvocati e la sensazione di dover finire i propri giorni in cella, magari passare al carcere duro.

L’agente polizia giudiziaria che va a consegnare l’Occ guarda il carcerato e dice: «Lo sai perché sto qui? Ah non lo sai, eh? Non sai niente, eh? Tu stavolta stai inguaiato…».

La famosa ormai ‘paranza dei bambini’ questi ‘ferocissimi baby killer’? Molti sono cocainomani persi, se stanno 4-5 giorni senza assumere stupefacenti accusano ovviamente l’astinenza. E ognuno ha ovviamente reazioni diverse. Certi sperando di poter finire in cura o alleggerire la propria posizione raccontano pure quando rubavano le caramelle alla Prima Comunione. Peggio ancora quando sono ancora latitanti. Pensate davvero che se ne stiano buoni e silenziosi parlando di ‘fratellanza’? Stanati come ratti, molti cedono dopo pochi giorni di fuga.
Certo, ci sono i figli del boss di Secondigliano Paolo Di Lauro ancora latitanti, è vero. Ma arriverà pure il loro momento.

È giusto dirle, queste cose. Affinché circolino argomenti validi per parlare a chi discetta dell’aderenza del prodotto alla realtà di Napoli e del rischio di emulazione che nasce con Gomorra. È tutto molto diverso, è tutto molto più complicato.
La fiction televisiva poi fa il suo corso. La assorbiremo, metabolizzeremo i linguaggi che non sono nient’altro che parole già esistenti nei rioni, portate alla ribalta dalla tv e diventate di uso comune, un vocabolario del ghetto che diventa all’improvviso un bestseller. Contestualizzeremo delle realtà.
Ma nessuno si è inventato nulla. C’è solo un megafono più forte e ammaliante. Le ‘stese’ , quelle scorribande criminali da far west con proiettili che piovono su muri e serrande, esistono fin dagli anni Ottanta. Non è stata una serie tv ad inventarle né a determinarle.
Al tempo stesso la fiction che si ‘scorda’ il ruolo di polizia, carabinieri, finanza, magistratura, manca di elementi fondamentali, diventa una specie di Un posto al sole dark.

Altre cose sparse.
Mai sentito in Gomorra il rapporto tra clan e tifoserie calcistiche. Rapporti consolidati e verificati storicamente. Perché? Per non creare imbarazzo ad un mondo – reale – che muove un sacco di quattrini? Per non infastidire i tifosi abbonati alle pay-tv (complotto mode on)?  C’è poco anche dei livelli di contiguità coi partiti politici (pure verificati, in Campania). Paura, eh?

Certo: una fiction non ha il dovere di raccontare tutto. Chi la scrive ha però il dovere di non sovrapporre reale e invenzione dichiarando la seconda figlia della prima per poi separare i livelli quando conviene.

E infine al tempo stesso chi pone un prodotto televisivo tra i mali della città non fa altro che usare una patetica scusa quale paravento delle sue mancanze. Magari perché è un pessimo sindaco. No?

«La natura per imitare le battaglie è troppo debole.
La poesia non muta nulla.
Nulla è sicuro, ma scrivi».
Franco Fortini – Traducendo Brecht

 

 

È stato accoltellato un ragazzo

Via Foria, angolo via Cesare Rosaroll. Napoli centro. È successo ‘o guaio.
Quando succede il guaio non è mai da un momento all’altro. I mesi antecedenti la morte tragica di Annalisa Durante a Forcella il rione era già in guerra. Ciò che accadde, la morte innocente e il dolore che ne seguì fu la pentola esplosa. Ma la fiamma era accesa già da tempo. E il calderone già era infuocato. Così pure in questa zona.
Io la conosco bene, ci vivo.
Ho scritto non dell’accoltellamento del povero Arturo né della manifestazione successiva, ma di quello che vedo lì tutti i giorni. Preferisco parlare del poco che so, piuttosto che costruire castelli di retorica.

Alla manifestazione non ci sono andato. Non ero obbligato da cronista, non volevo andarci da cittadino. Rispetto molto chi sfila in corteo, non rispetto chi si mette in testa ai cortei e ha invece un incarico politico ovvero dovrebbe garantire la legalità o tentare di farlo. Circola unafotografia del sindaco di Napoli in ospedale con il ragazzo ferito da venti coltellate, pubblicata da almeno due dei principali giornali napoletani. Mi pare sia il simbolo eccellente della polemica tra media televisivi, narrazione della città, cronaca e stereotipo.

La camorra tra cronaca e immaginari new mediali

Mentre la camorra televisiva  riscuote successo, quella filtrata dagli occhi degli storici del fenomeno non gode della stessa fortuna. Il bel lavoro dello storico Marcello Ravvedutoper la Fondazione Polis su camorra e rappresentazione del fenomeno camorristico ha bisogno di maggior diffusione e attenzione. Devo dire che le slide illustrate durante la presentazione dello studio avrebbero aiutato, ma non sono disponibili online,  vi dovete accontentare della sintesi.

CHE PIZZA! 🍕

2016-2017. Un anno di newsletter

Questa newsletter ha compiuto un anno. La prima  mail è stata inviata a 600 persone il 27 novembre 2016. Questa di oggi raggiungerà più del doppio dei destinatari (sempre che la mamma di Gmail non ve la infili in spam). Ne ho spedite 22, più o meno sono riuscito a garantirla ogni 2-3 settimane e ne sono felice. Mi sono arrivate circa 150 mail in risposta, non ho scritto a tutti (scusate) ma ho letto tutto. Ho fatto vedere le cifre della newsletter a chi ne spedisce per mestiere, dice che «sono stato molto bravo».Ma resto umile.
Come ho spiegato qui tutto è iniziato perché non sopportavo più (e nemmeno ora lo sopporto) un certo modo di raccontare la città. E perché volevo parlare a chi da qui se n’è andato, il titolo è infatti “Saluti da Napoli”.
Sono riuscito a far vedere le cose in maniera diversa?
E chi ‘o ssape. Però grazie, è stato ed è un privilegio dire certe cose qui, solo per voi.
Scriviamoci un po‘, magari qualcuno di voi mi spiega se dovrei cambiare argomenti o aggiungerne altri.

Eppure so’ cuntento. O ssaje m’hanno futtuto ‘e viaggi l’autostrada, tutto chello che aggio passato

Cosa succede ogni volta che esce la classifica sulla vivibilità delle città

Qui la versione immagine.

1. Se è una giornata di sole pubblichiamo su Facebook la foto del sole dicendo: fanculo, abbiamo il sole. Se piove pubblichiamo la tazzina di caffè fatto bene.
2. Citazione di Erri de Luca su come considera valore la parmigiana che lui mangia quando viene qui a presentare un libro.
3. Elenco di opere realizzate dai Borbone: il bidè.
4. Bestemmie contro: Emanuele Filiberto Savoia, Camillo Benso conte di Càvour (si, così), Gonzalo Higuain e il fratello.
5. Incremento di visite alla pagina “Le frasi più belle di Alessandro Siani”.

Posso giurarvi che dopo anni e anni è una grande rottura di scatole per me avere a che fare con le classifiche e le discussioni che ne derivano. Sempre le stesse. Sembra quel film in cui uno si sveglia e vive sempre lo stesso giorno. Dovremmo ignorarle? Non lo decido io e siccome se ne parla tocca lavorarci dando un senso a questi elenchi di città.

Luciano De Crescenzo fu ironico:
«Ho letto in una classifica sulla qualità della vita che in Italia Sondrio figura al primo posto e che Napoli si trova al penultimo. Qualcuno però, adesso non ricordo chi, mi ha detto che Sondrio è grande il doppio del cimitero di Napoli ma che ci si diverte solo la metà».

Erri De Luca scrisse qualche anno fa un pensiero che all’epoca mi pareva bello. Ma è stato talmente usato a sproposito che ora lo sopporto a malapena.

La verità è che ci sono tante percezioni. Del turista mordi e fuggi; dello studente spagnolo in Erasmus; del disoccupato disperato di Ponticelli; del giornalista che o vede tutto bello o tutto marcio; dello scrittore che vive parlando di Napoli; del cittadino che se ne fotte di tutto e vuole solo evitare il traffico di via Marina e festeggiare lo scudetto; del camorrista cui interessa solo che non loincoccino ‘e gguardie.

Ma la stessa cosa è pure per Torino, per Milano, per Genova.
Solo che a Napoli abbiamo un problema con chi solleva i problemi. Il “male di Napoli” una volta raccontato, può diventare un guaio serio per chi ne ha scritto (ehm ne so qualcosa).
Ieri mattina lo storico Paolo Macry ha parlato proprio di questo ad una platea di oltre 200 persone (paganti). Ha riempito il Teatro Bellini con una lezione di storia (bellissima!) sul romanzo di Napoli da Matilde Serao a Gomorra (il libro). C’è voglia di capire, di andare oltre. Peccato che questa voglia non ce l’abbiano tutti.

E ‘a sape tutto o munno. Ma nun sanno ‘a verità. (quando l’ha scritta Pino Daniele aveva solo 18 anni. C’è gente che in una  vita intera non riesce a dire la metà).


Pizza, pizza!

L’arte dei pizzaiuoli è diventata patrimonio Unesco.
Ho scritto un sacco di cose entusiaste su Facebook pure io, manco fossi un neoborbone col bidet in braccio. Vergogna. Va fatta chiarezza.

Schematicamente:

1. Non è la pizza, è l’arte dei pizzaiuoli il patrimonio immateriale. Non  l’alimento ma il rituale di chi lo prepara. A leggere la motivazione ufficiale Unesco facciamo pure un poco la figura dei pezzenti pizza-pizza marescia’.

Eccola qui:
“Il know-how culinario legato alla produzione della pizza, che comprende gesti, canzoni, espressioni visuali, gergo locale, capacità di maneggiare l’impasto della pizza, esibirsi e condividere è un indiscutibile patrimonio culturale. I pizzaioli e i loro ospiti si impegnano in un rito sociale, il cui bancone e il forno fungono da “palcoscenico” durante il processo di produzione della pizza. Ciò si verifica in un’atmosfera conviviale che comporta scambi costanti con gli ospiti. Partendo dai quartieri poveri di Napoli, la tradizione culinaria si è profondamente radicata nella vita quotidiana della comunità. Per molti giovani praticanti, diventare Pizzaiolo rappresenta anche un modo per evitare la marginalità”.

2. Propongo nella prossima puntata di Gomorral’introduzione di Pasqualino ‘o pizzaiuolo il killer che uccideva con pizze indigeribili. In effetti la pizza che gonfia uccide.

3. Dietro la storia dell’Unesco c’è un personaggio della politica che forse conoscerete: Alfonso Pecoraro Scanio, ex leader dei Verdi, ex ministro con Giuliano Amato prima e con Romano Prodi poi, andato in disgrazia quando è esploso il bubbone dell’emergenza rifiuti in Campania (in quel momento era lui il ministro dell’Ambiente).

In sintesi: non ce n’era assai bisogno dello scudetto Unesco. La pizza è nota e perfino il tentativo di standardizzarla con un disciplinare Stg si è rivelato è complicatissimo.  Però se tutta quest’ammuina aiuta la baracca va bene così.

Ci sarebbe semmai bisogno di indagare e bene su tutta la filiera, dai pomodori ai latticini, dalle farine al legno usato per la cottura.
Report tre anni  fa ci ha provato devo dire la verità con argomenti piuttosto deboli. Occorrerebbe un annetto di lavoro serio.

INFINE.

1. Sorbillo (Io sono fan di Gino)
2. La figlia del Presidente (la adoro)
3. Di Matteo (la frittatina è na  bomba)
4. Vesi (quella davanti al Policlinico Vecchio)
5. Da Michele (no ma solo due tipi di pizza però non va bene)
6. Gorizia (al Vomero)

Se avete da dire qualcosa sulla mia mini-classifica beh, fatelo.

Ah no, dimenticavo: la foto.
È Massimo Troisi in ‘No grazie il caffè mi rende nervoso’.
Aveva capito tutto. Come al solito.

Pratica guida per scrivere un dialogo di Gomorra la serie

(Vi piace la terza stagione? La guardate? Mi sta un po’ annoiando ma pare stia avendo un successone. Conosco la trama di tutta la terza serie ma non ve la spoilero, giuro).

Avete mai parlato con uno sceneggiatore, di quelli che devono scrivere i dialoghi di una serie tv o di un film molto caratterizzato? Sono dei predatori. Qualsiasi  cosa tu dica sono pronti ad arraffarla e schiaffarla nel loro lavoro.
Immaginate uno sceneggiatore di Gomorra.  Ormai la serie tv, giunta alla sua terza stagione, ha affrontato ogni argomento.
Mancano solo il racket delle creme emorroidali, il traffico di bustine di Aulin dalla Polonia e la temibile paranza dei giocatori di scopone scientifico sotto alla fontana delle paparelle di piazza Cavour.
Insomma, sono disperati, aiutiamoli.

Per scrivere Gomorra servono:
1. Situazione di contrasto tra due persone con conseguente velata o esplicita minaccia
2. Chiarimento  e/o riferimento a terzo personaggio.

Le battute sono secche, epigrafiche.
Gomorra è tutto frase-punto-stacco di telecamera-frase e/o pistola.

Pensatelo nella quotidianità. Potete applicare Gomorra a qualsiasi aspetto della vostra vita.

Esempio 1. Dal macellaio si pone la scelta tra le salsicce paesane o una bella bistecca.
Lo so, è una scelta difficile.  Ma voi ve ne uscite come un don Pietro Savastano e dite al macellaio:
«Guagliò ‘e piezze ‘e carne so tutte uguale:  vanno pruvate ngoppa ‘o ffuoco. E solo quanno vire ‘o sanghe capisci».
(traduzione: ragazzo, i pezzi di carne sono tutti uguali, vanno saggiati sul fuoco. E solo quando vedi uscire il sangue ne comprendi la validità).

Esempio 2.  State andando a comprare una camicia. Ma ce ne sono varie, di varia foggia e misura. Dovete decidere: slim fit o regular?
Immaginate Genny Savastano che lo dice:
«‘A cammisa è comm a nu cumpagno, sì a vuo’ stretta l’ja sape’ purtà. Altrimenti t’astregne nganno!».
(traduzione: una camicia aderente è come un compagno, [inteso come affiliato], se la vuoi così devi avere il fisico per indossarla. Altrimenti ti ‘affoga’).

Vabbé, ne avrò fatti trecento di questi esempi a casa, li ho anche registrati).

Ma un mash-up Gomorra-Un posto al sole?
TITOLO: “Un posto a Gomorra”

PERSONAGGI
– Raffaele il portiere ha un giro di prostitute a Palazzo Palladini;
– Roberto Ferri è affiliato ai Casalesi;
– Ornella è un medico che fa le certificazioni false ai boss per fargli prendere gli arresti domiciliari;
– Renato Poggi è un commercialista prestanome di un clan che gestisce locali e localini della Napoli Bene;
– Nel bar di Silvia si vendono anfetamine e cocaina e sta pieno di macchinette per il gioco d’azzardo;
– Michele Saviani è un giornalista senza contratto al soldo dei clan col compito di passare informazioni riservate sulle indagini in corso.
– Guido il vigile urbano gestisce un gruppo di parcheggiatori abusivi fuori all’ospedale Loreto Mare.

Ciao Memole. E chiamalo!

L’uscita della stazione della metro Municipio in mezzo alla piazza omonima è tra le cose che più rappresentano Napoli qui e ora. È una fermata temporanea, in attesa di quelle belle disegnate da Alvaro Siza che coniugheranno archeologia, modernità e spazio (spero di arrivare a vederla). Per entrare o uscire bisogna usare le scalette in ferro che ti calano letteralmente nel cantiere. I turisti ne vanno matti. E pure i pensionati: restano lì per ore a guardare come lentamente si muove il gigantesco meccanismo scavato nel cuore di Napoli che arriva fino alle viscere del Maschio Angioino, lì dove un tempo c’era il mare.  Ho un sacco di foto degli umarellpartenopei.

Una volta i giornali (non tutti) scrissero che proprio lì sotto durante gli scavi tra le altre cose erano affiorati i resti delcoccodrillo che vagava centinaia d’anni fa nel fossato del castello Angioino. Ovviamente il ritrovamento era una balla. Ma era pure una balla (ops, leggenda) quella del coccodrillo.
A proposito di fake news che non hanno età
(Un giorno vi racconto chi fu tra i pochi protagonisti dell’incidente ferroviario nella stazione non ancora aperta se non ai giornalisti… ).
Vabbè, insomma: qualche giorno fa all’ingresso della stazione è comparsa questa t-shirt con messaggio. Memole (dunque presumo tu sia piuttosto bassina o coi capelli viola), auguri per il compleanno. E chiamalo, jamm un caffé non si nega a nessuno (scegli un buon bar, però).

Core ‘ngrato

Chi mi conosce sa la mia passione per la serie tv I Soprano, la più bella di sempre (dai, davvero parli di Netflix dalla mattina alla sera e non l’hai mai vista?).
Nei Soprano tra i personaggi più importanti c’è Junior,  lo zio del boss Tony. Lo interpreta Dominic Chianese, ovviamente italoamericano. Ebbene, in una delle puntate canta Core ngrato, meravigliosa canzone scritta e musicata da due emigrati italiani in America. Chianese la canta come lo farebbe un italoamericano, con evidenti errori di pronuncia del dialetto che però arricchiscono la sua interpretazione e la fanno ancora più autentica e commovente.

Il tema è quello tipico della canzone classica: l’amore non corrisposto.  Nella musica partenopea quando l’amore non è corrisposto le donne se la passano male: o sono Malafemmineo ingrate. Scherzi a parte, è davvero una interpretazione dolcissima. E se avete visto quella puntata dei Soprano la apprezzerete ancor di più.

Giallo Napoli (Ma a Trieste il caffè lo sanno fare? ☕)

Giallo Napoli

La canzone su Napoli che amo di più dice: «È mille culure».
Leggendo Cromorama di Riccardo Falcinelli, un libro molto bello e ben realizzato sui colori e su come siano diventati «un filtro con cui pensiamo la realtà» ho iniziato a camminare fra le tinte della città. Sapete, esiste un ‘Giallo Napoli’. È di origine egiziana, è simile al colore del tufo, lo amava Cèzanne, lo usavano Monet e Renoir. C’è pure una variazione sul tema, un rosa quasi rosso.
Il giallo è tanti fatti, in napoleano. È paura, è confidenza coi santi, è insulto. «’E fatto ‘o giallo» ti sei fatto giallo, si dice di chi si è impaurito; oggi nei vicoli si dice «stai chino ‘e giallo», sei pieno di giallo, è il punto di viraggio tra la normalità e il terrore. San Gennaro, il patrono, è Faccia gialla, perché la sua statua lo è. E così a lui si rivolgono le ‘parenti’, le sue fedeli.
«Faccia gialla squaglialo».

È la città dei mille colori ma senza un ‘piano del colore’: Napoli come tutte le città ricche d’architettura e storia dovrebbe avereregole ben precise sul ritinteggio dei palazzi. Decenni di chiacchiericcio, qualche norma buttata qui e lì. Ma sono sicuro che se rifacessero i palazzi di via Foria o di piazza Bellini verde pistacchio o blu di metilene pure glielo lascerebbero fare. Palazzo Reale in piazza Plebiscito e Palazzo Fuga, l’Albergo dei Poveridi piazza Carlo III del resto sono stati ritinteggiati con tinte diverse e cosa è accaduto? Niente.

Scavando in un vocabolario del Settecento ho trovato questa bellissima espressione che non si usa più: Janco nascere. «È espressione Spagnuola, con cui taluno si vanta esser uomo d’onore incapace di sentimenti vili».
“So’ nato janco”, ovvero sono nato bianco, puro.

Che bellu ccafè, sulo a Trieste ‘o sanno fa

Non voglio creare polemica. Ma vi risulta che a Trieste si faccia un grande caffè? No, vero? È la solita chiavica, vero?
Perché ho letto che in Friuli esiste un “Trieste Coffeé festival”. E che festeggiano? Per quanto ne so a Trieste ci sono però i soldi del signor Illy.
E dico io, a Napoli abbiamo di tutto, da Kimbo-Kosè aPassalacqua, da Moreno a Kenon e nessuna, dico nessuna di queste aziende è stata capace di spendere due euro per unFestival della tazzulella? Ma si può essere meno lungimiranti?

Il film dei Jackal, le storie sul lavoro
e Napoli (che non perdona)

La mia collezione di sigari cubani perde un elemento ogni volta che si realizza qualcosa di nuovo a Napoli. Succede quando vedo coloro che niente fanno (e niente faranno mai) scagliarsi con ferocia personale contro una qualsivoglia cosa appena nata (associazione, libro, film, documentario, giornale) per il solo motivo che non l’hanno fatta loro.
È allora che accendo l’amato Cohiba e aspetto.
Aspetto che i feriti, fino a quel momento docili, fiduciosi e speranzosi (di critiche costruttive, di appoggio non condizionato, di oneste prese di posizione da coloro che ritenevano amici) trasfigurino come santa Teresa d’Avila e finalmente  giungano sulla riva degli scettici e dei sarcastici. Io alloggio lì già da un po’.

Sono stato un po’ ermetico? Spiego meglio: semplicemente non ho capito una certa ferocia gratuita tutta di certi ambienti partenopei – non del pubblico – nei confronti di ‘Addio fottuti musi verdi’ opera prima dei The Jackal. Io l’ho visto, come me molte altre persone, mi sono divertito ma evito recensioni perché sono di parte. Tutto qui.

Detto ciò, non posso non notare il tema base della trama. Il lavoro  e l’emigrazione.
Ma quanti film ambientati a Napoli negli ultimi decenni hanno il lavoro come elemento fondante? Nu cuofano!

Nanni Loy ha fondato la quasi totalità dei suoi film su giovani  e meno giovani disoccupati e su coloro che per arrangiarsi finiscono in situazioni pericolose. ‘Mi manda Picone’ ma non solo: ‘Scugnizzi’ e ‘Café Express’ pure parlano di lavoro. E anche ‘Pacco, doppio pacco e contropaccotto’.
Massimo Troisi  ha fatto della non-ricerca di lavoro  del  napoletano in viaggio («Emigrante? Nossignore io a Napoli un lavoro ce l’avevo…»)  un argomento portante di ‘Ricomincio da tre’ e ‘Scusate il ritardo’.

Luciano De Crescenzo (a proposito, il film di Serena Corvaglia e Antonio Napoli sulla sua  vita è molto bello) in Così parlò Bellavista crea il monologo capolavoro, quello di Giorgio. Ve lo ricordate?

«Fino a ieri mi sentivo come un esemplare della specie più povera del mondo: quella del disoccupato laureato meridionale e di buona famiglia.
In altre parole, il titolo di studio mi impedisce di fare il pezzente; per inadeguata preparazione familiare non so fare lo scippatore… e non sono nemmeno capace di vestirmi da cameriere pe m’arrubbà ‘e sorde fore a ‘na trattoria».

Riapre l’archivio Parisio

L’archivio fotografico Parisio-Troncone ha riaperto la sua storica sede espositiva sotto i portici della Chiesa di San Francesco di Paola in piazza Plebiscito. Se vi trovate passateci, ne vale davvero la pena.

Napoli spiegata velocemente a chi ritorna per l’estate

 

 

 

 

 

 

Siccome dicono che a Napoli non ci sono più le politiche sociali perché si mangiano tutti i soldi, voglio aiutare io con un supporto psicologico e giornalistico tutti coloro che si apprestano al ritorno estivo in città, magari perché lavorano fuori regione o all’estero.
Tranquilli! Vi spiego che è successo recentemente così non dovete chiedere ai parenti e potete buttarvi nella discussione sapendo già tutto.

1. Il fatto della camorra e di Gomorra
Allora, vi voglio spiegare: non è che la camorra non esiste più. È come l’amico della Signora Rinascente. Esiste, solo che lei non lo sa. L’hanno confusa. Gli hanno fatto credere di essere la sceneggiatura di una serie tv.
Voi non preoccupatevi: si uccide ancora. Dalla parte di Miano, per esempio, stanno belli inguaiati. Di recente hanno arrestato degli imprenditori che vivevano a Posillipo ma poi facevano begli affari coi clan di San Giovanni a Teduccio. Quindi non vi lasciate condizionare dai vostri amici del Nord, ribadite con forza: non è vero, la camorra ce l’abbiamo ancora. Non gli abbiamo fatto alcuna scortesia e lei è ancora qui tra noi, è ovunque. Come sempre.

2. Ma che è sto fatto di quelli che fanno sesso in piazza San Domenico?
Mammamia come siete morbosi (senti chi parla). Non è che questi hanno fatto sesso perché volevano fare le oscenità. Niente affatto. Come dice il nostro sindaco: qui stiamo pieni di turisti. E dunque gli alberghi sono aumentati di prezzo. Povera gente, che poteva fare? Mo’, con tante oscenità del centro storico di Napoli (degrado, abusivismo, microcriminalità) vuoi vedere che ci dobbiamo scandalizzare per una sveltina di 30 secondi?

3. È vero che a Natale piazzeranno un altro cazzimbocchio* enorme al Lungomare?
Sì, è tutto vero. L’anno scorso fecero l’albero di Natale? Mo’ vogliono fare il corno rosso. Però a me hanno sempre detto che il corno porta bene se ha la punta rivolta verso il basso, tipo che ‘scarica’ a terra tutte le maledizioni. Invece questo avrà la punta in alto, tipo parafulmine. Non voglia mai iddio viene una tempesta…

*Cazzimbocchio: elemento ingombrante dall’inequivocabile forma fallica

4. Ma hanno dato la cittadinanza onoraria a Maradona?
Si. Non so se è vero che lo pagheranno o meno (non c’è ad oggi uno straccio di carta del Comune alla faccia della trasparenza). Di certo il 5 luglio ci sarà una festa in piazza Plebiscito.
Io qualche tempo fa ho scritto che, con tutto il rispetto, per un uomo che fu immortalato – consapevole – in una vasca da bagno coi boss del clan Giuliano (non è che in una vasca vai con uno sconosciuto e che cazzo…) la cittadinanza è un atto eccessivo. Bastavano una medaglietta di ottone e due paste da Scaturchio. Non c’entra niente la passione sportiva.

5. Devo sapere se ha aperto una pizzeria nuova a Napoli.
No, non mi pare. Cioè forse ha aperto qualcuno ma alla fine non è cambiato niente, la pizza è sempre con la mozzarella, non vi mangiate la sfogliatella quando fa caldo perché c’è la ricotta.
Mo’ a Napoli si porta assai il “panino gourmet”. Che enorme stronzata.

7. Se scendo a Napoli tutto il mese mi conviene fare l’abbonamento a metro e bus?
Ma sei pazzo/a? Non fare niente, fattela a piedi. Nientedimeno la metropolitana a Piscinola la sta studiando la Nasa, pensavano fosse una nuova cometa che passa ogni 110 anni…

7. Ma chi è LIBERATO?
Secondo me è Livio Cori.

Ringrazio la buonanima di Massimo Troisi per avermi ispirato, come sempre.


«Cresci sano e fammi raccontare»
Una canzone di Pino Daniele ci sta bene

A robba mia (Ferryboat, 1985) è una delle canzoni che secondo me coniuga meglio l’italiano, il napoletano e il fraseggio inglese di Pino Daniele. Ironica sul presente, tagliente, non dimentica la tradizione e guarda al futuro. Scende benissimo, come un boccale di birra quando fa caldo. È il miglior Pino Daniele.

e allora don’t cry no more
a quant’o vvine e mo’ ‘a chi ‘o vvuo’

«A quant’o vvine» e «‘a chi ‘o vvuo’» sono due frasi tipiche bellissime. «A quanto lo vendi» significa ma cosa/quanto credi di valere, ma chi ti credi di essere? «Da chi lo vuoi» significa sostanzialmente: a chi vorresti addossare colpe che sono solo tue?

…E po’ che mazzo
si ‘ncuntrassemo a Gesù
ce jessemo a ‘mbriaca’.

E se poi incontrassimo Gesù andremmo con lui ad ubriacarci…

Nuje cuntavemo
‘e ritrattielle ‘ncoppa
‘e grade erano nere
‘e mmane e ‘o riesto
statt’accorto nun t’o scurda’

I ritrattielli erano le figurine dei calciatori e questa strofa sembra quasi omaggiare i “Guaglioni” di Raffaele Viviani, questi però sono ragazzini degli anni Settanta, sui gradoni neri dei vicoli mentre al mare i fumi del porto e degli scarichi e carichi di sigarette di contrabbando sono incessanti e dall’altra parte, a Bagnoli, l’altoforno mangia carbon coke e vomita acciaio in forma di fuoco.

«‘A ggente è stretta ‘e mano» come per dire che è poco generosa. E poi un capolavoro, una strofa che per me è meravigliosa, mi fa emozionare. Ascoltatela e leggetela insieme a me col ritmo della musica:

Primma ‘e figli se crescivano
c’o mare uno passo
a mano a mano se purtavano a campa’
nun me fa penza’

Prima i figli si crescevano col mare a un passo, a mano a mano, gli si insegnava a vivere e cavarsela da soli, non farmici pensare.

Sono echi di frasi di donne che tra un vicolo e l’altro parlavano e incantavano il giovane Pino. Lo so perché sono cresciuto pure io con queste frasi, la signora affianco, quella di fronte, le chiacchierate e io bambino ad ascoltare i luoghi comuni e la saggezza popolare.

Chi è di Napoli e ha la mia età può capire. I figli prima si crescevano col mare di fronte, pensa all’Ottocento di via Santa Lucia quando il borgo di pescatori affacciava a mare, pensa a San Giovanni a Teduccio, terra di scogli e onde e maestrale fresco. L’urbanizzazione novecentesca e la speculazione che hanno staccato Napoli dalla natura di città di mare (che non la bagna più! Anna Maria Ortese!).

Oggi scinne c’a paura, sissignore!
‘a quantu tiempo faje ammore
crisce sano e statte ccà
famme raccuntà.

Oggi scendi e fa paura, sissignore, i mariuoli la camorra.
E poi le domande delle vecchie nei vicoli? Da quanto tempo sei fidanzata? Cresci sano! Resta qui, resta a Napoli.

E fammi raccontare, fammi raccontare. Che è la cosa che pure noi che scriviamo, parliamo e ci sbattiamo tutti i giorni.
Speriamo che restate e che restiamo qui, speriamo che se pure siete lontani vi interessa ancora quello che succede tutti i giorni a noi, quello che succede tutti i giorni alla tua Napoli.

https://www.youtube.com/watch?v=p7qEho3hg5o