Todo sobre mi candidato, ovvero il tatuaggio su Napoli. La storia scritta dai perdenti

Tatuarsi la pelle non significa scriverci sopra e via. È piuttosto scegliere il punto giusto tra la profondità della carne e l'epidermide. Così da incastrare l'inchiostro in un posto visibile all'esterno ma al tempo stesso protetto. Non è tutto immediato: serve il tempo giusto per applicare il pigmento; occorre calma. E precisione. Potrebbe uscire un poco di sangue: non bisogna spaventarsi. Alla fine è come una lucida ferita, protetta con la scivolosa paraffina per qualche giorno. La pelle si risana e farà il suo corso.

Ecco: un sindaco è sostanzialmente un tatuaggio sulla città.

Dovranno passare altri giorni prima che io riesca a descrivere con sufficiente lucidità cos'è successo da quando ho iniziato questa campagna elettorale fino ad oggi che ne realizzo la conclusione. Ora sono a casa: il telefono squilla ma non furiosamente. E ho dormito più di sette ore: non mi capitava da mesi.

Non esordirò dicendo di aver trovato e di aver lavorato (non da solo, ma poi ne parlo) per un risultato difficile e di aver fatto il massimo: sapevamo che i candidati a sindaco di Napoli (tutti) non sono Barack Obama, JFK o Gorbaciov. Voglio definire numericamente questo ragionamento. Alcuni sondaggi li trovate poi su internet. Altri no, sono stati commissionati in maniera privata e non ritengo di doverli divulgare visto che non li ho pagati io.

Insomma: alla fine di marzo Swg dichiarava Mario Morcone conosciuto dal 31-32 per cento circa dei napoletani interpellati. Venti giorni dopo quella percentuale era aumentata al 46-47 per cento e successivamente ha tallonato i livelli (comunque meno del 70 per cento) di Gianni Lettieri. Con una differenza: mentre Lettieri ha avuto una bassa percentuale di fiducia rispetto alla notorietà ("ti conosco ma non mi fido") con Morcone i due aspetti sono andati sempre parallelamente. De Magistris, invece, è conosciuto (come Mastella) dall'80 per cento della popolazione con una fiducia più bassa di una quindicina di punti (significa che lo conoscono anche nel centrodestra). Ci sono state le disastrose primarie Dem: con Mario Morcone la prima, frenetica, fase della candidatura, quella del "posizionamento" si è consumata sollecitando la gente del Partito democratico dove il candidato non era conosciuto.

Dunque molto del pochissimo e prezioso tempo a disposizione è stato speso appresso alla gente che in una elezione comunale avrebbe già dovuto conoscere vita morte e miracoli del suo candidato.  Occorreva rassicurare un elettorato arrabbiato per le primarie e per l'amministrazione uscente e poi propagare il messaggio. Già: l'amministrazione Iervolino. Giudicata negativamente da quasi il 90 per cento dei napoletani nelle rilevazioni di aprile. Una enormità politica, un iceberg al cui confronto le primarie erano uno scherzo. Un cataclisma con il quale ci siamo scontrati ogni giorno, fino all'ultimo.  Perché se le primarie sono state sostanzialmente una figuraccia irrisolta, la malagestione del Comune di Napoli è stato un pugnale conficcato  nella schiena del candidato dal primo all'ultimo giorno.

Defendit numerus: De Magistris ha iniziato prima ma è stato bravo a rimettere in moto intorno a lui pezzi di città atrofizzati. Altri pezzi che prudentemente (sì, è un eufemismo per definire i furbi) sono stati alla finestra ad attendere si sono messi in moto mezzo minuto dopo il primo turno. Ma questa è la politica.

Tornando alla comunicazione: particolarmente contento del fatto che nelle rilevazioni su Facebook la pagina di Morcone era seconda solo a quella dell'europarlamentare Idv che era ed è una potenza sui social network. E noi avevamo iniziato a fine marzo. Nessun segreto particolare: solo il racconto quotidiano delle attività (alla fine eravamo arrivati ad un post ogni 40-60 minuti) e una conversazione continua via social, via mail, con chi scriveva.

Il tatuaggio è venuto male e l'abbiamo visto, chiaramente. Scrivo questo post prima di conoscere il risultato del ballottaggio, ma non mi faccio troppe illusioni sul dopo: seguo da cronista le attività del Comune di Napoli da abbastanza per non riuscire più ad esaltarmi. Ci sono tante cose che ho imparato, in questi mesi: magari le racconto con calma.

Però una cosa ci tengo a dirla: un grazie grande grande a coloro i quali hanno preso parte a questa frenatica e affannosa corsa. Tantissima bella gente ed è stato il regalo più grande di quest'esperienza. Pur scrivendo da perdenti non siamo sicuramente noi gli sconfitti di questa campagna.

 


 

Indagine a mezzo serial tv

Con “Law and Order” abbiamo imparato (anche se all’americana) i ruoli della polizia e la funzione accusatoria della magistratura. Con “New York Police Departement” abbiamo compreso i meccanismi d’indagine classica: il porta a porta, l’interrogatorio, il confronto all’americana. Grazie a “Criminal Minds,” abbiamo iniziato a definire i profili dei criminali, a capirli attraverso i loro atteggiamenti e i loro modus operandi. Con “Csi” abbiamo capito la scena del crimine, le tracce lasciate dall’assassino e i modi per scoprirli grazie all’analisi scientifica. E con “Lie to me”? Beh con “Lie to me” siamo diventati dei maghi nello scoprire le menzogne attraverso le microespressioni del volto, i segnali involontari del corpo.
Insomma le decine di serie televisive poliziesche trasmesse ogni giorno, da anni in tivvù sono state un corso di formazione eccezionale per aspiranti investigatori, pubblici ministeri, profiler, poliziotti scientifici. Dunque non stupisce affatto che oggi col caso di Sarah Scazzi i curiosi vogliano vedere, toccare, verificare, capire in ogni modo possibile e impossibile da immaginare.
E non stupisce nemmeno vedere sondaggi come quello pubblicato dal Corriere della Sera:

La grande fregatura del giornalismo

Ordine Nazionale dei Giornalisti e Federazione Nazionale della Stampa sono recentemente più attivi che mai. Ahimè l’uno contro l’altro. Diverse visioni della professione, diverse “ricette” per tutelare occupati, inoccupati, precari e aspiranti giornalisti.
In mezzo, la campagna elettorale per il rinnovo degli organismi di tutela dei giornalisti. Sono state le prime elezioni giocate sul web al cento per cento. Partendo da questo presupposto, voglio presentarvi una serie di dati interessanti, emersi in questi giorni di iperattivismo. Due visioni speculari, quelle di sindacato e ordine professionale: il primo accusa l’altro di non aver fatto nulla per scongiurare il proliferare di scuole post-universitarie che hanno gonfiato a dismisura la platea degli iscritti; il secondo accusa l’altro di non attaccare abbastanza gli editori.

Tra questi, come sabbia nell’ingranaggio, il Coordinamento giornalisti precari della Campania con la sua inchiesta sui corsi-truffa per diventare giornalista pubblicista: si paga fino a 3mila euro per restare con un pugno di mosche in mano.

Il giornalismo e il metro della libertà

Essere al 72esimo posto su 196 Paesi nel Rapporto 2010 sulla libertà di stampa di Freedom House non fa mai piacere.  Ma secondo me un poco di pazienza per leggere questo studio di Christina Holtz-Bacha dell’Institut für Publizistik der Johannes Gutenberg-Universität sulla difficoltà oggettiva nel “misurare” un dato come la libertà d’informazione e rapportarlo a quello degli altri Paesi è cosa buona e giusta.

Mica tutti alla Scuola Elettra

La Voce.info pubblica un interessante (seppur con qualche limite) identikit degli amministratori locali della Lega Nord.

I leghisti, rispetto agli altri sindaci del Nord, si segnalano per la minore presenza di donne (6,7 per cento contro 9,4 per cento), per una maggiore presenza di giovani (età media di 46 anni contro 48) e per un maggiore livello di istruzione (14 anni di studio contro 13). Si noti che tutte queste differenze (e le altre citate di seguito) sono statisticamente significative a un livello di confidenza del 5 per cento o dell’1 per cento a seconda dei casi.  Mentre emerge l’immagine di una classe politica giovane, non sembra confermata la vulgata per cui la classe dirigente leghista è rozza e meno istruita. Non è del tutto confermata, infatti, neanche la fotografia che emerge dalla classe parlamentare leghista. Anche lì, la Lega si segnala per una minore presenza di donne e una maggiore presenza di giovani, ma il livello medio d’istruzione dei parlamentari leghisti è minore rispetto a quello dei loro colleghi di altri partiti. Se si guarda all’evoluzione nel tempo di queste caratteristiche, inoltre, si nota come le tendenze di cui sopra si stiano un po’ attenuando. Dopo il 1999, è aumentata la presenza di donne leghiste (come testimoniato anche dalla recente inchiesta giornalistica di Cristina Giudici).  Ed è aumentata l’età media dei sindaci leghisti, per un fenomeno naturale per cui giovani che si erano affacciati alla politica grazie alla Lega nel corso degli anni Novanta hanno poi consolidato le loro posizioni di potere nelle istituzioni e nel partito. […]