I giornalisti e il racconto (tradito) di Napoli

«Tu troverai sempre quelli che pensano di conoscere il tuo dovere meglio di quanto non lo conosca tu stesso. È facile al mondo vivere secondo l’opinione del mondo; è facile in solitudine vivere secondo la nostra opinione; ma il grande uomo è colui che nel mezzo della folla conserva con perfetta tranquillità l’indipendenza della solitudine».
Ralph Waldo Emerson

Avendo lavorato solo per piccoli e agguerriti quotidiani locali, la distanza tra il giornalismo e certi pezzi della città aveva giocato a mio vantaggio. Sempre a dire: «Parla con noi senza paura,  noi siamo diversi» e così sciogliere diffidenze.
Oggi la situazione è cambiata. C’è che non scrivo più per piccoli e agguerriti giornali. Le parole ora pesano meno del contesto in cui saranno pubblicate, rispetto alla battaglia quotidiana del giornale outsider è un salto di non poco conto. E poi la gente. La gente ti guarda e non vede te, ma la granitica testata che rappresenti. Ti porti dietro una storia non tua; non devi difendere tutto e nessuno te lo chiede, sia chiaro,  ma devi farti rispettare. Le diffidenze si decuplicano. Però ci si riesce, a sfangarla.

Mattina, esterno giorno
. Scendi e trovi i disoccupati organizzati in corteo. Cartelli contro la stampa. È la solita tiritera contro i giornali, mi dico.
Come se  poi incendiare i bus, bloccare le strade e metterlo nel culo ai pendolari fosse una conquista del socialismo.

Ma stavolta è diverso. Uno dei cartelli, è questo qui:

la foto è di www.agenziami.it

Fabrizia Ramondino scrisse dei disoccupati, ne fece articoli, un libro. Probabilmente altre epoche, altri scenari e altri soggetti; è cambiato tanto dagli anni Settanta. Ma sempre di più a Napoli si sente l’odio con il quale viene percepita la stampa. Su certe cose non si transige, la violenza è sempre da denunciare e contrastare. Ma il resto? È vero che non si parla più delle condizioni dei disoccupati, tutti i disoccupati, diventati un numeretto di statistica in una tabella sul Mezzogiorno, quando si scrive di Bankitalia o della Finanziaria. Le storie delle aziende e della gente, beh, quelle sono sparite.
Di contro, c’è la frustrazione di quelli che pensano di fare battaglie giuste e non trovano ascolto sui media. Però ci si può costruire il proprio media.

E vengo alla seconda storia.

Il Comune di Napoli ha fatto proprio così: si è creato la tivvù su internet. Ridicolizzata sul fronte politico dall’Italia intera che dopo la vicenda Global service – al di là della sua misera conclusione giudiziaria – ha alzato la sottana ad un Palazzo San Giacomo avvelenato, incapace di comunicare altro se non un malcelato ghigno, l’Amministrazione ha messo su la sua web-tv. Sembra il tiggì che propone il giovane Alex del film  “Goodbye Lenin” alla mamma che crede di essere ancora nella Ost-Berlin comunista prima della caduta del Muro.

Lascio ai link il riepilogo sindacale della storia della tivvù web.

Il racconto di questo venerdì mattina, invece, è interessante. Aiuta a capire quanto sia distante il giornalismo e certi giornalisti dal racconto della città.

Arrivo in Sala Giunta, deciso a non intervenire. Non devo, mi dico, è inutile. Che poi mi incazzo. Ascolto. Uno di loro al tavolo dice una cosa del genere: «Sindaco, lancio una provocazione: possiamo magari pensare di fare un concorsino per giovani giornalisti?»
Respiro, abbozzo. È tutto così ridicolo. Intorno ci sono colleghi d’esperienza. Pensionati da un pezzo, provenienti da grandi testate: sono loro che faranno la tivvù web del Comune. «A titolo volontario», dicono.  E per forza: se percepisci una pensione da giornalista d’altri tempi  mica poi hai bisogno di altri danari.
Un altro seduto al tavolo dice una cosa del tipo: «La Regione  Campania finanzi dei corsi di giornalismo». Nella tasca sinistra del giubbotto tengo il tesserino da professionista. Tocco la tasca: c’è ancora? Mi ricordo che sono giornalista o no? Una domanda la faccio? È un attimo. Mi alzo e chiedo come mai si è voluto affidare solo a giornalisti anziani una web-tv fatta con soldi  pubblici. A gente professionalmente nata con la macchina per scrivere. Non era meglio un laboratorio di comunicazione istituzionale che coinvolgesse anche ragazzi volenterosi? Mica si chiede ‘o posto ‘e fatica: tutti gratis. Ma avremmo un’esperienza che si trasferisce, che passa dall’anziano al giovane.

E niente, finisce come finisce.
Quello è l’egoismo,  è l’egoismo che fa rabbia. La platea ascolta l’alieno, guardo il tavolo: il mio sindaco è classe 1936. Mi fermo. Avrà capito? Macché. Il tavolo si chiudono a riccio, scatta la difesa con lo scudo della  “strumentalizzazione” e della “sterile polemica”.

Finisce allora tutto qui, direbbe Claudio Baglioni. Sì, finisce che vado a mangiare la pizza rispondendo a 21 (le ho contate) telefonate. Perché  poi sai come funziona a Napoli: tutti stanno zitti ma quando uno la dice son  tutte pacche sulle spalle e «la penso come te». Dirlo in coro veniva male, immagino, visto che ho sentito solo la mia voce.

E ripeto, finisce che vado a mangiare la pizza. Con Raffaella, che quando ha scritto il suo primo romanzo non l’hanno voluto vendere nelle librerie della sua città perché parlava di precariato al Sud, con Alessandra e Salvatore che a Londra sono dei signori architetti, a Napoli dovevano correre dietro ai baroni che li sfruttavano.
Pizza e foto al centro antico. Buongiorno, siamo i trentenni traditi da Napoli. Per un pomeriggio la trattiamo come i turisti, immaginando che sia solo presepe, caffè, basolato e margherita.

Web-tv del Comune di Napoli, una telepensionato con cataratta

Insomma, il Comune di Napoli ha deciso di perseverare e iniziare le trasmissioni della sua web-tv. Il Coordinamento giornalisti precari della Campania che mi vede tra i suoi fondatori, sostenitori, compagni di battaglia, ha voluto dire la sua focalizzando l’attenzione su un  particolare: a parte la redazione di dipendenti comunali, i “collaboratori” (pagati? non pagati?) della web-tv comunale saranno tutti giornalisti pensionati. Per lo più pensionati ex Rai.

Che non sia una scelta lungimirante lo si capisce dall’età media, superiore ai 65 anni (sessantacinque, sì) di speaker e cronisti di quella che è stata giustamente ribattezzata “telepensionato”. È un fenomeno, quello dei giornalisti pensionati che non mollano e si riciclano in altre imprese editoriali, destinato a crescere: la mia “generazione lavorativa” è quella che ha attraversato la grande crisi della stampa degli ultimi cinque anni, tuttavia, a Napoli, in Campania, questa crisi ha assunto contorni singolari: ci si aspettava fossero i giovani ad andare – con difficoltà – avanti ma così non è stato. Si sperava di trovare un poco di luce nelle tenebre, grazie alle nuove competenze acquisite, alla padronanza dei nuovi mezzi, magari sì affiancati da colleghi d’esperienza, pronti ad insegnare il mestiere sul campo (io sono stato fortunato, mi è capitato anche questo)  e grazie alla resistenza alla flessibilità selvaggia che ormai caratterizza la mia scalognata generazione.

Niente di tutto ciò.

È accaduto che i pensionati d’oro provenienti dalle grandi testate, cioè garantiti fino all’ultimo, usciti dalle redazioni coi ricchi “scivoli” dei prepensionamenti, ghiotti scatti d’anzianità e importanti cariche, ora pur precependo pensioni che noi potremo solo sognare, offrono la loro prestazione anche a costo zero, uccidendo un mercato già dannatamente avariato.
E qui torno alla web-tv. Possibile che superpensionati si tuffino in una avventura gratuita (così dicono) per il solo gusto d’esserci? Oppure li pagano? E allora il Comune di Napoli dovrebbe spiegare quali sono stati i criteri di scelta dei colleghi. Vi consiglio di andare a ritroso in questo blog, troverete la storia dettagliata di questa web-tv.


Addirittura c’è una richiesta di fornire foto e filmati aggratis, come il peggiore dei portali. Trattandosi dell’Amministrazione della terza città d’Italia ci si sarebbe aspettata una presa di posizione delle forze politiche. E invece, nulla. Maggioranza  (centrosinistra  ovvero Pd, Rifondazione e cespugli vari), opposizione (Pdl e fuoriusciti finiani e Udc) non hanno battuto ciglio.
Io me ne ricorderei pure, alle prossime elezioni, semmai decidessi di tornare a votare. Poi però mi viene da pensare che nemmeno il mio sindacato, l’Assostampa Campania o l’Ordine dei giornalisti della Campania, hanno battuto ciglio. Paura di infastidire i colleghi della “vecchia guardia”?

Poi però oltre quello sindacale, c’è il discorso giornalistico ed editorale.
Ecco, lì la questione è più complessa. Valutare un prodotto di altri colleghi richiede calma e tatto. Beh, mettiamoli da parte: quella tivvù è uno schifo. Non è comunicazione istituzionale, è una rappresentazione assurda della città.
Leggo da un lancio Ansa di ieri:

NAPOLI, 3 GEN – Il «Gran Ballo d’Italia di fine anno – Concerto di Capodanno 2011» sulla Web Tv del Comune di NAPOLI. Il Capodanno 2011 di Piazza del Plebiscito a NAPOLI arriva sul il web.

Beh, se questa è la rappresentazione istituzionale possibile di una città come Napoli, rappresentazione possibile grazie a fondi dell’Unione Europea (Società dell’Informazione), possiamo ben dire che sull’obiettivo della telecamera di Telepensionato, è calata la cataratta. Un intervento è sempre possibile, ma al momento non vedo nessuno farsi avanti.

Che sia buona, sia paziente, sempre allegra, divertente: le primarie per il sindaco di Napoli

Le primarie del centrosinistra e più in generale il sabba infernale per la scelta dei candidati a sindaco di Napoli mi ricordano molto quella scena di “Mary Poppins” in cui i due bambini pestiferi ma bisognosi d’esser capiti cantano la loro letterina con le qualità della “tata perfetta”.

Già. Qual è il sindaco adatto alla Napoli e ai napoletani del 2011? Veniamo da anni formidabili, nel senso etimologico più stretto del termine. Rosa Russo Iervolino è stata definita – sbagliando – un sindaco “mamma” o “nonna”. È stato invece un sindaco con spalle larghe che è finita a fare il traghettatore. All’inizio faceva parte d’una flotta che ben presto si è trovata non solo senza navi, ma pure col mare in burrasca,  destinata alla deriva amministativa, devo dire soprattutto per demeriti altrui.
Quel che resta del giorno di Rosetta è la possibilità di raccattare fondi europei sfuggiti al controllo d’una Regione Campania bisognosa di risorse e politicamente, la necessità di buttarsi a rive gauche, mettendo avanti una certa sinistroide ideologia dell’impossibile (acqua gratis “per tutti”, servizi gratis “per tutti”, lotta al governo leghista che tutto taglia e non pensa al Sud).
Intanto abbiamo la questione urbanistica irrisolta (il piano casa regionale, per non parlare delle solite trite discussioni sulle due periferie est e ovest) così come quella delle politiche sociali assolutamente ingarbugliata: il Comune non ha soldi, non ne avrà in futuro, per questo ha annientato il sistema delle ditte private, perché non può pagarle. Evito di parlare della questione vivibilità (strade, smog, viabilità, servizi) sotto gli occhi di tutti.

Gli ultimi mesi della Iervolino saranno importantissimi per coloro che verranno. Al netto di inchieste giudiziarie che pure potrebbero scuotere la politica napoletana, Rosetta ha bisogno di portare a casa non un lavoro di squadra – è troppo tardi e mediaticamente non funziona – ma un ennesimo “grande evento”. Potrebbe essere qualcosa legata al Forum delle culture (che però avrà luogo nel 2013, troppo tardi) o all’Expò dello Spazio (che però è un evento “di nicchia”)? So solo che per ora sono situazioni lontanissime dalla città reale. Penso al “Napoli Teatro Festival”, una cosa costata milioni d’euro e destinata ad una nicchia: se Forum ed Expò saranno così, meglio prendere le distanze subito.

L’Amministrazione che verrà dopo le Comunali 2011 si troverà davanti una situazione di caos generale (e fin qui…) e soprattutto un Palazzo San Giacomo versione arlecchino: tante “pezze a colore” per coprire situazioni più o meno drammatiche (welfare, bilancio gruviera, lavori bloccati, vivibilità sottozero, dirigenza amministrativa da rifondare). Difficile pensare che un incantatore di serpenti, un pifferaio magico riesca a stupire durante queste elezioni. Che, a meno di clamorosi colpi di scena, si preannunciano come preludio alla noia e al basso livello degli anni a venire.

Web-tv, ancora tu

Alla fine la storia della web-tv del Comune di Napoli, raccontata all’inizio di quest’anno, si è evoluta.
Zitto zitto, il Comune ha nominato alla direzione editoriale, un ex giornalista Rai. Un bravissimo professionista che nulla però sa di web-tv, internet, eccetera eccetera.
No. Non è un paese per giovani.

Mariarca e le bufale dei giornalisti precari

Mariarca era una infermiera dell’Asl Napoli 1. Per protesta contro il disastro sanità in Campania e il mancato pagamento del suo stipendio aveva inizato a tirasi il sangue ogni giorno. Qualche giorno fa è morta. Dicono i medici non per via di quei salassi.

I giornali napoletani ne hanno parlato molto. Non solo quelli: dal Tg1 a Sky, dal Corriere della Sera al Manifesto. Sul blog di Panorama, leggo un pezzo a firma Carlo Puca. Puca è un collega davvero molto bravo,  me lo ricordo quattro anni fa a Napoli come  portavoce di Rosetta Iervolino ricandidata dal centrosinistra al Comune partenopeo. Se la cavò bene, quando è andato via dalla città è evidentemente rimasto in contatto con molte fonti perchè poi su  Panorama ha scritto cose circostanziate e attuali su Napoli.

Puca vuole smontare la storia dell’infermiera  morta per la protesta,  dice che l’autopsia ha confermato: era colpa di un’altra patologia. Se la prende con Adriano Sofri che in un bel pezzo su Repubblica parlava di Mariarca e  pure definiva «incresciosa» la disputa sulle cause cliniche del decesso. Poi scrive:

L’altro giorno il Fatto quotidiano pubblicava una bella inchiesta sui sottopagati cronisti partenopei. I quali, per «campare», sono costretti a orari da terzo mondo e a scrivere a cottimo. E per questo, aggiungo io, tendono a proporre articoli «esagerando» notizie autentiche. O, addirittura, inventandole. Con la stampa nazionale, altrimenti detta «seria», a inseguire le suddette invenzioni.

L’inchiesta de Il Fatto è quella sul nostro Coordinamento giornalisti precari e freelance della Campania; dai presupposti di una denuncia  sulle condizioni di lavoro inaccettabili e di compensi inadeguati, Puca trae una considerazione totalmente fallata. Chi fa questo mestiere lo sa bene:   è assurdo immaginare  che un collaboratore esterno possa incidere sulla prima pagina di un giornale, sulla sua linea editoriale. E pure su quello che gli altri giornali faranno.  La notizia aveva una sua forza e non è stata smentita solo perchè era devastante.  Ci creda il buon Puca, la frase «siccome la faccenda è capitata a Napoli, deve per forza essere vera» apparteneva ai capicronisti di vent’anni fa. I più “controllati” sono proprio i collaboratori: senza notizia in bocca, niente denaro. Ora si dice «a Napoli? Si esagera sempre».
Poi c’è una infermiera che muore e ti ricorda una regola fondamentale di questo mestiere:  guarda ai fatti, ti stupiranno sempre.