Chiunque lavori per una azienda – di qualsiasi tipo – e abbia un blog, sa benissimo cosa significa avere il coraggio di scriver male della sua ditta. Significa soprattutto ricevere entro i successivi venti minuti, una telefonata del tipo «ma cosa cazzo hai scritto!». Di solito chi chiama per dirtelo, anzi per “avvisarti”, è quello che t’ha cantato con tutta la scala gerarchica aziendale.
Peggio poi quando hai un ruolo, da quello manageriale a quello sindacale: le tue parole hanno già un peso specifico enorme, sul web diventano micidiali. E se poi, come succede a me, il 70% dei tuoi colleghi è in telelavoro e dunque ha la Rete come ossigeno, cosa accade? Ve lo dico io: è un delirio. Di voci, proteste, lamentele, sospetti, ipotesi e via discorrendo. Non è sempre male, però qualche volta mi sono stupito anch’io della facilità “di sentenza” che hanno molti colleghi (anche alcuni miei colleghi). A volte sembra un cannone in mano ad un bambino. Vabbè, tutto questo per introdurre l’indagine “Risky Business: Reputations Online” di Weber Shandwick. L’agenzia ha predisposto anche un vademecum di 15 consigli per evitare di trovarsi nella drammatica situazione del «…ma come ti è venuto in mente di scriverlo!».
Particolarmente condivisibile il punto numero 6 dello studio: «Traditional media outranks new media as reputation referee».