Una vita postdatata a Chiaiano, periferia di tutto

Ho scritto così tanto di Chiaiano e della sua discarica che a pensarci mi sembra quasi uno spreco: in fondo tutti sapevamo come sarebbe finita. Non resta che attendere la puzza sommergere gli ospedali del Rione Alto, quartiere che intanto avrà avviato la raccolta differenziata e i cui cittadini saranno incazzati il doppio. Oggi manifestazione: ma francamente, a che serve? In quest’estate afosa alla Peppe Lanzetta, mi viene proprio in mente il primo racconto di “Una vita postdatata”. Se solo qualcuno avesse raccolto davvero questo grido di dolore, saremmo qui diversamente, ne sono sicuro.


«….acqua azzurra acqua chiara acqua nera acqua merda acqua appantanata acqua di sperma acqua lota acqua scivolo acqua dei Caraibi acqua della Madonna che in un solo colpo dovrebbe fulminarvi per tutti i patimenti che avete inflitto alla gente di Ponticelli Barra S. Giovanni Piscinola Marianella Chiaiano Pianura, per anni gli avete lasciato bere il veleno e questo stesso veleno vorrei che vi fosse vomitato addosso, signori del Palazzo, signori traffichini, signori Imbroglioni, signori Baroni…»

Ascanio Celestini e il topolino etrusco di Chiaiano

Speravo tanto che Ascanio Celestini scrivesse qualcosa sulla discarica che il governo e il Comune di Napoli vogliono realizzare a Chiaiano. L’ha fatto oggi su Viaggi di Repubblica. Straordinario come al solito.

A CHIAIANO c’è il bosco.
In mezzo alle castagne vive il mustiolo etrusco, un topo di tre centimetri, il mammifero più piccolo del pianeta. E’ instancabile, lavora giorno e notte, ma non si fa notare. Mangia gli insetti. Schifa quelli fetidi come la cimice e preferisce i grilli o i vermi della farina. Pesa un paio di grammi, ma una femmina sfiora i quattro in gravidanza. Anche per lui nasce il Parco Metropolitano delle colline di Napoli che “è, insieme al centro storico, il territorio più pregiato della città” così dice il sito web dell’ente che lo gestisce. Porterà lavoro attivando “processi economici ed occupazionali basati sull’industria del tempo libero e del turismo ambientale e culturale paragonati agli interventi realizzati in città quali Parigi, Berlino e Barcellona” e promuoverà uno “sviluppo sostenibile teso alla conservazione delle aree verdi e la rivalutazione dell’agricoltura periurbana”. Infatti fuori della Selva c’è una terra ricca dove crescono gli alberi delle ciliege, ci pascolano le pecore e le api fanno il miele buono.

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Chiaiano, un reportage

Raccontare il perché dell’assurdità di un’altra discarica in Campania ai lettori non napoletani significa necessariamente argomentare il doppio del consueto. Perchè la giusta, legittima domanda che la gente si fa fuori Campania è “possibile che dite sempre no? No all’inceneritore, no alle discariche…”. Un atteggiamento su cui molto ha influito la scomparsa politica di Verdi e sinistra radicale: ormai è opinione comune che essere “contro” qualcosa con la motivazione “fa male all’ambiente, fa male alla salute” non è più di moda.
Io c’ho provato, oggi, carte alla mano: ecco la prima e la seconda pagina del reportage su Chiaiano uscito sui quotidiani del gruppo EPolis.

Discarica nelle cave. Ma la munnezza a Chiaiano c’è già…

I giornalisti ti battono continuamente la mano sulla spalla: sempre alla ricerca del punto dove conficcare il pugnale più facilmente.
Robert Lembke

Diranno che non è così, che ci voleva ed era anzi necessaria per chiudere l’emergenza rifiuti, che basta coi “partiti del no”, con gli estremismi, i radicalismi. Che le discariche ci sono in tutt’Italia e perché “non a Napoli?” Ma la verità, almeno quella parte che ho toccato io, è che la discarica a Chiaiano non si dovrebbe fare. Si farà, perchè il sindaco Rosa Russo Iervolino, il prefetto Gianni De Gennaro, istituzioni varie compreso il nuovo governo Berlusconi e il vecchio governo regionale di Antonio Bassolino hanno già deciso così.

Le cave di Chiaiano sono dei buchi enormi che recano ancora i segni dell’estrazione del tufo. Insomma, quella pietra gialla è servita per edificare mezza area metropolitana di Napoli. Più o meno abusivamente, s’intende. La zona a Nord di Napoli è del resto nota per aver reso miliardaria la camorra del mattone, in quelle aree legata a doppio filo con Cosa Nostra. Ora, queste cave porose sono rimaste inutilizzate per anni. Il centrosinistra ha pensato di metterci una pezza con varianti di salvaguardia e parchi. Ma di questo parlerò dopo. Lo stato attuale qual è? Cave utilizzate come poligoni di tiro, coltivazioni di ciliegie, albicocche, ortaggi vari. Piccole minidiscariche di masserizie, eternit, sì. Ma sostanzialmente si tratta di un enorme polmone verde. E non solo: quando piove quella zona si gonfia come un panettone. Incamera acqua e quell’acqua passa poi in una delle falde più importanti della città. Se ci metti la munnezza – 700mila tonnellate – è normale che in 10-20 anni il sistema di impermeabilizzazione ceda lasciando passare il percolato nella terra e quindi nella falda. Addio acqua.

Non per fare l’ambientalista, fosse per me passerei una colata unica dai templi di Agrigento a piazza Plebiscito. Ma dico, è normale negare a chi verrà tra vent’anni l’acqua? Senza voler parlare del rischio idrogeologico. Se metti troppa immondizia in un parallelepipedo dalle pareti friabili quello che fa? Si sbriciola e “implode”. Con buona pace di cio’ che c’è intorno. Chi ci guadagna, da Chiaiano? Anzitutto chi avrebbe dovuto gestire l’emergenza rifiuti e non ha fatto altro che mandare la spazzatura napoletana in Germania a suon di milioni e aprire altre discariche in luoghi incontaminati. Beh, a fare questo non ci voleva De Gennaro, ero bravo pure io.

E poi, chi ci guadagna? Basta guardare a Pianura, periferia Nordovest di Napoli, così è accaduto: i padroni della discarica prima l’hanno ceduta per metterci l’immondizia e ora vendono il fetido biogas derivante dalla fermentazione di tonnellate di spazzatura.

Ora veniamo al Parco. Lì esiste il “Parco metropolitano delle Colline“. Mi ci sono messo d’impegno, a lavorarci per 2-3 giorni, per capire spese, giochi politici, appalti e quant’altro. Uno dei risultati meglio riusciti è questo pezzo per E Polis. Che mi è fruttato il solito corollario di “mal di pancia” e velate minacce da parte di qualcuno. Ma questa è spazzatura che fortunatamente ancora riesco a smaltire, intelligenti pauca.

Rifiuti, scempi ambientali e i Padri padroni delle nostre vite

In questi giorni, dodici mesi fa, ero in quel di Cagliari e davo una sterzata alla mia vita professionale. Dodici mesi dopo dovrebbe essere tempo di bilanci, ma avendone fatti ad nauseam nei mesi scorsi, meglio lasciar perdere e cantare, seppur fuori stagione, wake me up, when september ends. Comunque, questo è in assoluto il periodo dell’anno che preferisco, da fine settembre agli inizi di dicembre. Poi con le feste comandate, tutto ritorna più stupido e sa di circolo vizioso.
Parlo di Cagliari perché sto leggendo – i libri arrivano sempre al momento opportuno per una qualche disposizione divina – “Padre Padrone” di Gavino Ledda. Un capolavoro, un autentico capolavoro. E non ho ancora visto il film dei fratelli Taviani.
Le cose si collegano, come le trame e i racconti: Ledda due anni fa è stato minacciato a colpi di lupara per aver denunciato che Baddhevrùstana (valle frondosa) a Siligo, il luogo della sua infanzia da pastore, stava per diventare una cava di sabbia. Invece a pochi chilometri da casa mia, a Giugliano, si lotta contro le ecoballe. Un eufemismo per definire enormi balle di immondizia, arrotolata in plastica bianca o verde chiaro e depositata lì, ad uso e consumo dei gabbiani e dei ratti, avvelenando migliaia di ettari di terreno coltivato.

Sabato su Il Napoli a corredo di un servizio sull’emergenza rifiuti, ho pubblicato un’immagine di una ottima mappa delle discariche della Campania costruita da qualcuno grazie a Google Maps e relativa proprio all’enorme deposito di ecoballe. L’ho fatto perché – secondo me – il lettore che non conosce le zone si fa una idea dello scempio ambientale soltanto se lo contestualizza rispetto al proprio territorio.
E nessun napoletano è così lontano da Giugliano, da Serre, da Louttaro, da Acerra per non poter tremare al solo guardare quell’immensa massa di schifo. E, prendendo in prestito il titolo di un bel libro di Pietro Treccagnoli, “non lo chiamano veleno”.