Paolo Bonolis iniziò la sua carriera accompagnando un amico al provino di “Bim Bum Bam”. L’amico fu scartato e lui scelto. Per cui la “sindrome dell’amico di Paolo Bonolis” è tipica del precario che non aiuta il collega di sventura perchè la guerra è guerra e mors tua vita mea. Fra giornalisti è diffusissima e forse anche per questo si faticava a costruire una realtà che aggregasse i diversi tipi di precariato di questo settore. Ci sono voluti svariati mesi e incontri da carbonari per riuscirvi. Ci siamo visti nelle catacombe di San Gennaro, nei meandri di Napoli Sotterranea, nel palazzo di Benedetto Croce, una storia che sembra più quella d’una società segreta che di un coordinamento di cronisti. E invece, siam riusciti a mettere nero su bianco un questionario, ottenere cento risposte e tracciare un quadro finora incredibilmente inedito, quello del precariato giornalistico in Campania. Abbiamo raccolto storie, ascoltato persone, idee. E stamattina, alle 11, noi del Coordinamento giornalisti precari della Campania tireremo le somme, ospiti della libreria Ubik.
Tag / paolo bonolis
I sanremesi ammazzano il sabato: lettera agli Afterhours
«Forse uccide, mai tradisce»
“Strategie” – Germi
Cari Afterhours,
vi seguo da un bel po’. Non ch’io sia un perfetto fan, eh. Diciamo un supporter, un affezionato.
Sanremo cade più o meno nel periodo del mio compleanno, quindi già mi sta sulle palle. Però quest’anno ho letto che ci andate anche voi. Sono una persona aperta ad ogni esperienza, un laico che guarda alle novità con curiosità. Dunque con serenità vi dico: ma che cazzo fate?
Beh, Manuel, mi rivolgo a te. Come se io fossi il giovane William, l’aspirante giornalista e tu Russell degli Stillwater, quelli di Almost Famous. Ho letto sul vostro blog le motivazioni e le scelte che vi hanno portato nella città dei fiori. Tu dici Sanremo «significa per noi proseguire coerentemente con il discorso di veicolazione della nostra musica anche al di fuori del nostro ambiente naturale». A parte, caro Manuel, che manco gli orsi polari, animali pure piuttosto in carne e resistenti forse più del frontmen di una grande band italiana, non riescono a campare al di fuori del “loro ambiente naturale”, il problema è che a Sanremo non sarete gli After. Già.
Ma voi ve lo immaginate? In gara ad un certo punto quando eliminano Al Bano (c’è? partecipa? vabbè è uguale) che cosa direte «…è il naturale processo di eliminazione» ? Oh, sai che bello cantare alla valletta di Bonolis: «forse non è proprio legale sai, ma sei bella vestita di lividi» oppure «posso avere il tuo deserto»!
E perché no, dire al sindaco della città che sale sul palco per consegnare quegli orrendi premi dorati «voglio un’altra stronza rivoluzione un orgasmo che mi plachi ogni reazione», oppure quando diranno «Per gli Afterhours televoto aperto» chiosare con un accattivante: «sui giovani d’oggi ci scatarro su»?
Continuo? Ma sì: ai giornalisti propongo una dichiarazione del tipo «la grandezza della mia morale, proporzionale al mio successso». Poi una speciale per Vincenzo Mollica che vuole sempre una cosa in più: «non è dolce esser unici ma se hai un proiettile ti libero». Oh, se c’è qualche ministra del governo Berlusconi in platea cantate pure il “Punto G”, mentre se c’è Gasparri uscitevene con un «io sento su di me la mia verità, ha un cuore bianco come eroina».
Si scherza eh. Però mica tanto: ma che senso ha salire su un palco dove ogni parola dei veri Afterhours potrebbe dare adito ad interrogazioni parlamentari? O meglio che senso ha salirci se poi voi per quieto vivere vi limiterete a fare la ricca band alternativa degna della playlist di un lounge bar milanese? Cazzo, Sanremo è la patria del binomio cuore-amore e ci vanno gli Afterhours, quelli che «mio sovversivo amore, non c’è torto o ragione» ? A questo punto, Manuel, ci uscirebbe pure la storia del Magnifico Tubetto, sai che risate?
Che devo dire, vediamo come va. Ma questa comparsata è lo specchio dei tempi. Tempi bui, specchi opachi.