Se la campagna del Pdl fa bene a de Magistris

 

Il Pdl di Napoli ha pensato bene di realizzare il primo manifesto contro Luigi de Magistris sindaco. Dovrebbe essere l'inizio di una campagna autunnale d'opposizione sul primo cittadino partenopeo.
C'è un ma: il manifesto affisso nel centro di Napoli  (e tra l'altro rapidamente scomparso, stracciato dai fedelissimi di "Giggino") è controproducente. Non veicola il messaggio che vorrebbe veicolare. Anzi, fa peggio.

Motivi? Guardare per credere.
Anzitutto, de Magistris è ritratto con una fotografia carina. Ammiccante, sorridente ma non è un sorriso elettorale, è un sorriso deciso di chi dice: «tutta mia la città». Complimenti a chi l'ha scelta.
Poi, errore madornale: ha la camicia arancione (o almeno tendente all'arancione)! Ora: se fai politica sai benissimo che quello è il colore che ha caratterizzato la campagna elettorale di Luigi de Magistris a Napoli e Giuliano Pisapia a Milano. Se tu usi la metà dello spazio di un manifesto per una foto (bella) col sindaco in arancione, gli stai facendo un regalo, rinnovando alcuni elementi che hanno decretato il suo successo (bello, giovane, deciso) e ricordando a qualcuno che se l'era scordato il "colore della vittoria". Ma bravi.

Lo slogan: «il sindaco cantastorie». Bisognerebbe fare una lunga analisi sulla necessità dei politici in questo periodo storico di volare alto e raccontare anche "delle storie" che appassionino e riportino la gente alla politica. Semmai il manifesto doveva accusare il sindaco di dire delle falsità. Non lo fa e il «solo parole… nessuna soluzione!» (i puntini? Il punto esclamativo? Maddai) fa ancora peggio.

Infine: i caratteri tipografici. Sindaco è scritto in stampatello; il simbolo Pdl è schiaffato in basso quasi trasparente.
Cari amici Pdl, De Magistris, sentitamente, ringrazia 🙂

Sindaco, da domani nella battaglia pensa anche a comunicare Napoli

 

Il nuovo sindaco di Napoli è Luigi De Magistris, il suo problema sarà arrivare a Palazzo San Giacomo, aprire il cassetto con la scritta "conti lasciati dall'altra amministrazione" e non morire sul colpo. Superato questo scoglio, tutto è possibile, ma la politica è la cosa che mi interessa meno in questo momento.

Mi fa piacere scrivere di come dovrà comunicare il nuovo primo cittadino. Con molta probabilità dopo un decennio avremo a Napoli un sindaco con uno staff comunicazione proprio, esterno all'amministrazione. Con Rosa Russo Iervolino non era stato così, i risultati si sono visti chiaramente: l'ufficio stampa dell'Ente era oberato di lavoro (assessori più sindaco della terza città d'Italia) e senza un mandato politico preciso come punto di riferimento. Iervolino voleva fare tutto da sola e la mancanza di mediazione ha portato ad un messaggio "non aderente", ovvero segnali quotidiani e contraddittori, in alcuni frangenti addirittura rancorosi e isterici. Le battutine al vetriolo concesse da Rosetta su tizio o caio si sono sì tramutate in titoli a tutta giustezza ma sono state anche la goccia cinese che ha scavato un solco tra il sindaco incazzoso e arroccato e la sua città.

DE MAGISTRIS E LA SUA COMUNICAZIONE. Cosa dovrà fare De Magistris? Probabilmente l'idea di continuare ad andare in giro per Napoli almeno nel periodo estivo, quello della "luna di miele" tra il neoeletto e la città è giusta, giustissima. Poi sicuramente affrontare con calma e serietà il discorso dei social network: una delle chiavi del suo successo elettorale è stata anche il saper usare la grammatica dei social e del web. Ora però non c'è più l'ex pm o l'europarlamentare. C'è il sindaco di Napoli. Che sul web avrà più grattacapi da una buca in via Foria che, tanto per dire, dal rispetto dei diritti umani in Congo. Spero che De Magistris tenga il suo Facebook e il suo sito personale. Ma dovrà rapidamente adeguarlo alle necessità comunicative di un sindaco. Anche in questo si capirà l'ex pm dove vorrà andare a parare: egli nella sua campagna elettorale ha tenuto ben distinto il sito internet personale e quello della corsa a primo cittadino partenopeo. Continuerà ad esser così? Due entità astratte? Interessante è anche capire se continuerà lo streminglife su Fb, Twitter e sito: finalmente forse la Napoli che usa internet potrebbe sapere in tempo reale dov'è i suo sindaco senza affidarsi alla comunicazione istituzionale.

Al di là di ciò, avremo con tutta probabilità anche un sindaco capace di entrare più facilmente nell'agenda media nazionale (tv, giornali) e nei dibattiti dai quali il precedente sindaco di Napoli era automaticamente tagliata fuori perchè forse ritenuta adatta a parlare solo della sua città.

 

DE MAGISTRIS E LA COMUNICAZIONE ISTITUZIONALE. Altro discorso è quello che aspetta il sindaco a San Giacomo. Gli strumenti messi a disposizione dal Comune sono un sito web molto ben aggiornato, che propaga le sue informazioni attraverso twitter e friendfeed. E una web-tv della quale non si conoscono statistiche di gradimento. Basta ciò per definirlo un Comune aperto all'informazione su web? Non penso. Non è certo necessario star su Facebook per una Amministrazione, ma quanto meno è necessario far girare quel che di buono fa in maniera più incisiva. E per questo non c'è bisogno del solo mezzo, ma anche della capacità di metterlo a frutto e di creare contenuti davvero accattivanti per le varie piattaforme. Anche contenuti belli da vedere, grafici, professionali. Un bilancio va spiegato ai cittadini non solo proponendo una delibera fotocopiata e messa in pdf, o un grafico excel malamente ricopiato. Ma ad esempio una infografica web. Un consiglio comunale non va raccontato solo negli interventi ma anche nei contenuti. Un sindaco deve gestire l'emergenza rifiuti anche facendo visualizzare ai propri cittadini dove sono i "colli di bottiglia" del sistema. E la campagna per la raccolta differenziata? Quella dovrà essere il primo banco di prova della comunicazione istituzionale comunale. Non ci si potrà affidare ad un volantino, occorreranno idee serie, importanti, dove troppi hanno fallito.

COMUNICARE NAPOLI.  Dieci anni ci hanno fatto capire (ma non ne sentivamo il bisogno di un periodo così ampio) che la città non è stato affatto comunicata all'esterno. Ci si è affidati al fato: le cose belle le esibiamo, le cose cattive le nascondiamo o diciamo amen. Non è così, non va così: come investire in Borsa, anche nella comunicazione puoi vincere pure se le tue azioni vanno in ribasso (o almeno non perdere pure le mutande). La verità è che è mancata la tutela della reputazione di Napoli, in questi anni. Certo, i morti di camorra, le inchieste giudiziarie e i rifiuti non garantiscono grande appeal, ma il modo della gestione di queste vicende non doveva certo essere quello di caricare sul solo sindaco l'onere delle risposte e nel caso peggiore sbarrare il  Municipio rendendolo off-limits ai cronisti. Anche in questo la consiliatura De Magistris dovrà rappresentare un cambio di passo. Capiremo subito se sarà così: la comunicazione è una formidabile cartina di tornasole della politica.

Todo sobre mi candidato, ovvero il tatuaggio su Napoli. La storia scritta dai perdenti

Tatuarsi la pelle non significa scriverci sopra e via. È piuttosto scegliere il punto giusto tra la profondità della carne e l'epidermide. Così da incastrare l'inchiostro in un posto visibile all'esterno ma al tempo stesso protetto. Non è tutto immediato: serve il tempo giusto per applicare il pigmento; occorre calma. E precisione. Potrebbe uscire un poco di sangue: non bisogna spaventarsi. Alla fine è come una lucida ferita, protetta con la scivolosa paraffina per qualche giorno. La pelle si risana e farà il suo corso.

Ecco: un sindaco è sostanzialmente un tatuaggio sulla città.

Dovranno passare altri giorni prima che io riesca a descrivere con sufficiente lucidità cos'è successo da quando ho iniziato questa campagna elettorale fino ad oggi che ne realizzo la conclusione. Ora sono a casa: il telefono squilla ma non furiosamente. E ho dormito più di sette ore: non mi capitava da mesi.

Non esordirò dicendo di aver trovato e di aver lavorato (non da solo, ma poi ne parlo) per un risultato difficile e di aver fatto il massimo: sapevamo che i candidati a sindaco di Napoli (tutti) non sono Barack Obama, JFK o Gorbaciov. Voglio definire numericamente questo ragionamento. Alcuni sondaggi li trovate poi su internet. Altri no, sono stati commissionati in maniera privata e non ritengo di doverli divulgare visto che non li ho pagati io.

Insomma: alla fine di marzo Swg dichiarava Mario Morcone conosciuto dal 31-32 per cento circa dei napoletani interpellati. Venti giorni dopo quella percentuale era aumentata al 46-47 per cento e successivamente ha tallonato i livelli (comunque meno del 70 per cento) di Gianni Lettieri. Con una differenza: mentre Lettieri ha avuto una bassa percentuale di fiducia rispetto alla notorietà ("ti conosco ma non mi fido") con Morcone i due aspetti sono andati sempre parallelamente. De Magistris, invece, è conosciuto (come Mastella) dall'80 per cento della popolazione con una fiducia più bassa di una quindicina di punti (significa che lo conoscono anche nel centrodestra). Ci sono state le disastrose primarie Dem: con Mario Morcone la prima, frenetica, fase della candidatura, quella del "posizionamento" si è consumata sollecitando la gente del Partito democratico dove il candidato non era conosciuto.

Dunque molto del pochissimo e prezioso tempo a disposizione è stato speso appresso alla gente che in una elezione comunale avrebbe già dovuto conoscere vita morte e miracoli del suo candidato.  Occorreva rassicurare un elettorato arrabbiato per le primarie e per l'amministrazione uscente e poi propagare il messaggio. Già: l'amministrazione Iervolino. Giudicata negativamente da quasi il 90 per cento dei napoletani nelle rilevazioni di aprile. Una enormità politica, un iceberg al cui confronto le primarie erano uno scherzo. Un cataclisma con il quale ci siamo scontrati ogni giorno, fino all'ultimo.  Perché se le primarie sono state sostanzialmente una figuraccia irrisolta, la malagestione del Comune di Napoli è stato un pugnale conficcato  nella schiena del candidato dal primo all'ultimo giorno.

Defendit numerus: De Magistris ha iniziato prima ma è stato bravo a rimettere in moto intorno a lui pezzi di città atrofizzati. Altri pezzi che prudentemente (sì, è un eufemismo per definire i furbi) sono stati alla finestra ad attendere si sono messi in moto mezzo minuto dopo il primo turno. Ma questa è la politica.

Tornando alla comunicazione: particolarmente contento del fatto che nelle rilevazioni su Facebook la pagina di Morcone era seconda solo a quella dell'europarlamentare Idv che era ed è una potenza sui social network. E noi avevamo iniziato a fine marzo. Nessun segreto particolare: solo il racconto quotidiano delle attività (alla fine eravamo arrivati ad un post ogni 40-60 minuti) e una conversazione continua via social, via mail, con chi scriveva.

Il tatuaggio è venuto male e l'abbiamo visto, chiaramente. Scrivo questo post prima di conoscere il risultato del ballottaggio, ma non mi faccio troppe illusioni sul dopo: seguo da cronista le attività del Comune di Napoli da abbastanza per non riuscire più ad esaltarmi. Ci sono tante cose che ho imparato, in questi mesi: magari le racconto con calma.

Però una cosa ci tengo a dirla: un grazie grande grande a coloro i quali hanno preso parte a questa frenatica e affannosa corsa. Tantissima bella gente ed è stato il regalo più grande di quest'esperienza. Pur scrivendo da perdenti non siamo sicuramente noi gli sconfitti di questa campagna.

 


 

Elezioni reggae (gimme just a little smile)

La campagna elettorale è nel vivo, si sente la tensione crescere come quando si accelera sull'autostrada. Non è solo un fatto di propaganda: scopro cose della città che sono visibili soltanto a chi sta dietro la plancia di comando della "macchina del consenso" (se, vabbè, più che macchina, uno scooter scassato).

Da quartiere a quartiere l'approccio è diverso. Alla Pignasecca abbiamo sentito la storia del palazzo puntellato dal dopoterremoto del 1980, in cui gli inquilini morti nel corso degli anni sono stati calati dai balconi e messi nella bara nell'androne perché non si riusciva a salire la bara al quarto o al quinto piano. A Scampia al lotto H la gente ci fa entrare a casa per farc vedere le colonne fecali sfondate, la pioggia dal soffitto. Al Pallonetto di Santa Lucia ci passano davanti in quattro sul motorino e ci chiedono di salvare Napoli. Tutti e quattro.

Capisci che qualcosa non ha funzionato: che da Palazzo Giacomo l'impulso non arrivava più e da tempo. L'hai scritto centomila volte sul giornale e non dovresti stupirti. Ma come fai a non stupirti, ora che vedi l'altra faccia della situazione, con la gente che ti offre il voto in cambio di vivibilità? Dovevamo stare più attenti, noi giornalisti? Dovevamo fare di più, mi ripeto, mentre cammino sul terriccio della Zampaglione-Caselle, la discarica di Pianura che è una bomba a cielo aperto. Quello non è terriccio, è munnezza e c'è qualsiasi cosa lì sotto, mi dicono.

Per l'ottanta per cento la campagna elettorale è fatta di manifesti, Facebook, icomunicati stampa e promesse. Nessuno controlla quanto si spende, nessuno monitora: ma possibile che dei milioni d'anime belle che abbiamo in Italia, a Napoli soprattutto, nessuno si prende la briga? Su una scala da 1 a 10 io scommetto che la gente valuta assai il programma, assai la biografia del candidato a sindaco e le liste. Ma nessuno si preoccupa dei costi della campagna: un sindaco che spende tanto deve spiegare da dove vengono tutti quei soldi? È o no più ricattabile, se quei soldi glieli hanno regalati le "lobby"? Ci preoccupiamo delle strategie sociali sul web e invece dovremmo soltanto guardarci intorno: strade e vicoli tapezzati, a che costo (sociale, etico, politico?).

A questo pensavo quando sono salito su quella montagna di merda compressa, la discarica di Pianura. Ci hanno spiegato che c'è una inchiesta, che è tipo un disastro ambientale come quello del film su Erin Brockovich con Julia Roberts. Solo che lì i colpevoli li scoprivano. Noi invece ci interroghiamo su faldoni di perizie e inchieste.

È stato proprio allora che la radio dispettosa, ha trasmesso Sunshin Reggae.

 

Informazione come l’acqua

Di una manifestazione un cronista annota anzitutto tre cose: dov'è iniziata, dove si è conclusa e quanta gente vi ha preso parte. Ieri alla manifestazione contro il precariato a Napoli non c'era tanta gente. Almeno non in proporzione al problema per il quale si manifestava. Per le donne ad esempio c'era molta più gente. Perché?

Mi viene in mente che un anno e mezzo fa, quando nasceva incassando ironiche battute e ilari sgomitate dei colleghi, il Coordinamento giornalisti precari della Campania, ebbe analogo problema. La relativa partecipazione fisica a fronte di una intensa partecipazione sui canali sociali web. C'è una diffidenza di base, mutuando un celebre sketch di Totò la chiamo "diffidenza Pasquale" ("Vediamo questo stupido dove vuole arrivare"): la gente, in una città così teatrale, dove scendere in corteo è come andare su un palcoscenico, crede poco nella spontaneità di certe reazioni al sistema. E poi: negli ultimi anni hanno reso la piazza un continuo test, in cui se non raggiungi X presenze la tua voce non è valida (anche ieri l'hanno fatto, il ministro Sacconi ha detto che si trattava di pochi ragazzi pilotati eccetera). Non sembra, ma è un modo per intimidire le persone: attento che fai flop, questo è il messaggio. La gente, assuefatta alle tivvù, addormentata dal "tanto non cambia un cazzo", non rischia anche di partecipare alla minoranza. Una perfetta spirale del silenzio.

Nonostante tutto, però, noi ieri eravamo in piazza. Per la prima volta da quando faccio questo mestiere ho visto i giornalisti in corteo per una rivendicazione salariale non legata al rinnovo del contratto. Insomma, per la prima volta Napoli gridava una cosa semplice: l'informazione è un bene comune, come l'acqua. E tutti ne devono fruire dell'acqua e delle notizie: pulite, libere. Lo scandalo è che siamo finiti ad urlare in piazza anche questo.