Tarantelle, canzoni, sole e mandolino, a Napoli si muore a tarallucci e vino…

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«Tarantelle, canzoni, sole e mandolino
a Napoli si muore a tarallucci e vino…»*

Abito a pochi metri dalla Duchesca, il mercatino della sparatoria in cui qualche giorno fa è stata ferita una bimba di 10 anni. E però lavoro in una redazione affacciata sul golfo di Napoli con un panorama spettacolare. Il salotto buono e il ripostiglio.
Napoli non è una immagine ma un percorso. Anche per questo mi arrabbio molto quando si semplifica la visione della città; coi social network poi quest’inguacchio ci riesce benissimo. La nostra città (non importa se non siete nati qui, se mi state leggendo vi offro la cittadinanza, la daranno pure a Maradona…) si presta magnificamente allo stereotipo commerciale su più livelli.
La vuoi iconografica e ammaliante? C’è.
La vuoi tetra e pericolosa? Eccola.
La vuoi storica? A disposizione.
Moderna, dalle mille sfide future? Postindustriale? Tradizionale? Camorra? Anticamorra?
Nessun problema.

Volete il piedino a zampa di leone? E Giggino vi da il piedino a zampa di leone…(ja vediamo se indovinate chi è)

È dunque normale che in una città del genere coesistano visioni (tutte schiacciate nella narrazione televisiva ovviamente) molto diverse l’una dall’altra. Il problema è la guerra tra i rappresentanti delle singole ‘fazioni’. Come al solito.

Qual è Napoli? La serie Sky Gomorra col clan Savastano (a proposito… ma che brutto spot, quello con Salvatore Esposito per la Dacia)? Il commissario dei Bastardi di Pizzofalcone, (cioè il Montalbano partenopeo andato in onda su Raiuno)? Le bellezze documentate da Alberto Angela? (Ah: dicono che la metropolitana di Toledo sia così bella che non facciano passare i treni per non sciuparla)
E non solo: aggiungici pure Un posto al sole che ha ormai 20 anni di vita e le sempreverdi repliche notturne de La Squadra.
Qual è la vera Napoli? E quanto i social hanno modificato la nostra percezione della città, quanto il nostro esserne cittadini consapevoli di ciò che accade?

Che dite, il discorso merita o no un approfondimento? Fatemi sapere che ne pensate, ci tengo.

Il libro Gomorra è stato pubblicato 10 anni fa, Luigi De Magistrisgoverna da 7 anni quasi. Secondo voi può essere d’attualità uno scontro in cui uno nega sostanzialmente l’altro? Ebbene sì.
Per la prima volta ho preso le parti dello scrittore, l’argomento era – manco a dirlo – la visione della città recente. A tinte cupe quella di Saviano, ottimista sulla camorra quella di De Magistris. Non mi sono piaciute le parole del sindaco. Sostenere che Saviano e ‘ci fa i soldi’ è vergognoso. Attenzione ad avallare questi ragionamenti: sono l’anticamera della censura preventiva sui temi fastidiosi da discutere ai politici

Due anni fa ci lasciava Pino Daniele. Io ne ho scritto, ma c’è chi l’ha fatto meglio di me, legandolo agli anni Ottanta partenopei.

Propositi nei prossimi giorni: andare  a vedere al cinema “Napoli ’44” di Francesco Patierno, tratto dall’omonimo libro di Norman Lewis.

*Il titolo di questa newsletter è una canzone particolare. È della Smorfia. La cantavano, quarant’anni fa circa, Massimo Troisi,Lello Arena ed Enzo Decaro. Spiega, mille volte meglio di come abbia tentato di farlo io, la rabbia di chi non vorrebbe Napoli inchiodata all’oleografia, a dispetto di una realtà tutt’altro che ‘a tarallucci e vino’.
La  conoscevate ? Mi fate sapere che ne pensate?

Tarallucci e vino
Sei bambini in un basso sporchi ed affamati
gli occhi pieni di paura
con le mani cercavano un pezzetto di pane
nei sacchetti della spazzatura
Ho provato a dargli una fetta di mare
un raggio di sole e una canzone
ma il sole ed il mare da soli non bastano
per poter campare!

Tarantelle, canzoni, sole e mandolino
a Napoli si muore a tarallucci e vino
Tarantelle, canzoni, sole e mandolino
a Napoli si muore a tarallucci e vino

Alla fine del mese il padrone di casa
vuole i soldi della pigione
Non abbiamo una lira, siamo senza lavoro
ma lui non sente ragioni
Napoli è il paese del mandolino
noi gli abbiamo portato il nostro concertino
ma lui non è un poeta
e così tutt’a un tratto abbiamo avuto
un avviso di sfratto!

Le strade crollano, il mare inquinato,
case come prigioni, m’hanno licenziato!
Però in galleria che soddisfazione
la gente è felice e parla di pallone
Però Napoli è sempre il paese del mare
e perciò si capisce ci si deve arrangiare
” ‘O mattino ” ” ‘e fravaglie ” ” ‘e treglie ”
” ‘e pummarole ”
Napule è ‘o paese d’’o sole mio!

Qui metto dei fatti che mi sono piaciuti e non c’entrano con Napoli

Troisi e l’occhio di bue

Quando morì Massimo Troisi io ero una rotellina del mondo dello spettacolo; reggevo l’occhio di bue in un cabaret. L’ho fatto per qualche anno. Quella sera lo spettacolo si fermò un momento: per guadagnare un applauso il comico più vecchio disse al pubblico che era morto Troisi, loro applaudirono, increduli. Pensai che si applaude sempre, ad ogni cosa.
Poi sono passato ad altro tipo di spettacoli, ad altri comici. Al giornalismo, insomma.

Massimo Troisi è morto quindici anni fa, dunque avevo più della metà di trent’anni e mi ricordo che lui aveva già sceneggiato la sua morte, in “Morto Troisi, viva Troisi” uno sketch che fino a qualche anno fa la Rai rimandava spesso in onda.  Ci parlava anche Renzo Arbore che è l’artista più gettonato ai funerali dei mostri sacri dell’arte napoletana. Quando muore un artista napoletano e vai ai funerali, c’è sempre Renzo Arbore, il suo ricordo è un punto fisso per i giornalisti. Troisi nello sketch previde pure questo.
Quando morì un mio amico che si vantava di avere «la stessa malattia di Massimo Troisi» capiì che entrambi sapevano da anni di non avere in fondo molto tempo davanti. E capiì pure perché «chi vuole un figlio non insiste».

A Troisi è intitolato il parco del Bronx di San Giovanni a Teduccio. Il Comune di Napoli lo fece perché era la cosa più vicina a San Giorgio a Cremano, città natale dell’artista. Meglio chiamarlo “Parco Troisi”, avran pensato, visto che fino ad allora si chiamava “Parco Mazzetta”, essendo nato coi soldi delle bustarelle di Tangentopoli recuperate prima che sparissero in qualche tasca. È veramente un parco di merda, la versione horror di Kyde Park, la parodia nana di Central Park. Lo gestiscono gli ex disoccupati organizzati che lavorano col Comune. Penso che Troisi non avrebbe voluto un parco diverso da quello, una costante testimonianza dell’ipocrisia napoletana, il pensare contro il voler dire, il far finta di voler fare contro il voler fregarsene.

E in una sera d’estate e d’elezioni, dove nessuno ha speso mezza parola  e in ansa c’è sempre la solita cerimonia religiosa, il solito personaggio che promette la mostra itinerante delle mutande utilizzate nel secondo film  o dei calzini indossati dal trio “La Smorfia” mi rivedo il film, riascolto la malinconica canzone.
Come con Paz: caro  Massimo in questi quindici anni non ti sei perso niente.