incipit.

anna-politkovskaia

Ebbene.
Come s’inizia un blog? Senza inconsapevolezza, dico: l’altro lo cominciai senza manco sapere cosa sarebbe diventato esattamente, era il 2002. Ora, invece qualcosa in più la so. So che si chiama giornalisticamente.
E che quest’articolo – l’ultimo – della giornalista russa Anna Politkovskaia, uccisa qualche giorno fa, è un modo per iniziare. E per non dimenticare. Quello che segue è tratto da un lungo, e bello, servizio Ansa.

«Ogni giorno arrivano sulla mia scrivania decine di fascicoli che sono copie di dossier delle persone condannate per ‘terrorismo’ o ancora sotto inchiesta. Perche’ metto le virgolette alla parola terrorismo? Perche’ la maggior parte di questa gente e’ stata nominata terrorista d’autorita’, e questa prassi ha non solo sostituito in questi anni la vera lotta al terrorismo, ma ha anche creato potenziali nuovi terroristi in cerca di vendetta”. ”Quando la procura e i tribunali funzionano non in nome della legge e della punizione dei colpevoli – prosegue Politkovskaia – ma su mandato politico, per produrre lusinghieri dossier sulla lotta al terrorismo da presentare poi al Cremlino, i fascicoli si sfornano facilmente”.
E’ una ”catena di montaggio che organizza ‘sincere’ confessioni e garantisce ottime statistiche sulla lotta al terrorismo nel Caucaso del nord” scrive la giornalista, presentando ai suoi lettori una di queste vicende, la storia di Beslan Gadaiev. L’uomo, estradato nei mesi scorsi dall’Ucraina su mandato della polizia cecena, ha scritto ad Anna una lunga lettera che la giornalista ha riportato integralmente. Gadaiev vi racconta dettagliatamente cosa gli e’ accaduto una volta arrivato al commissariato di polizia di Grozny. ”Mi hanno portato in una stanza – afferma – e mi hanno chiesto se fossi stato io a uccidere quella gente. Ho giurato di non aver mai ammazzato nessuno, ne’ russi ne’ ceceni, ma loro mi hanno detto ‘No, sappiamo che sei stato tu’. Ho provato a negare, ma hanno cominciato subito a picchiarmi. Mi hanno tempestato il viso di pugni, poi mi hanno messo le manette e mi hanno infilato fra le gambe e la catena un tubo di metallo perche’ restassi completamente immobile. Hanno sospeso quel tubo fra due mobili e mi hanno attaccato alle dita dei fili elettrici. Mi hanno torturato con le scosse, mentre continuavano a picchiarmi coi manganelli”.
”Non sopportavo piu’ il dolore – prosegue Gadaiev – ho invocato Dio e li ho pregati di smettere. Per non sentire le mie grida e le mie suppliche, mi hanno messo in testa un sacchetto di plastica nera. Non ricordo quanto e’ durata, ma ho iniziato a perdere i sensi dal dolore. Allora mi hanno tolto il sacchetto di plastica dalla testa e mi hanno chiesto se volevo confessare. Ho risposto ”Si’. Ditemi cosa devo confessare”’. Una volta interrotta la tortura, Gadaiev ha provato di nuovo a negare le accuse. Lo hanno rimesso nella posizione di prima e hanno ricominciato da capo. ”Non so quanto tempo sia durata. Ogni tanto mi buttavano addosso un secchio d’acqua perche’ non svenissi”. Alla fine ha ceduto. ”Mi hanno avato, mi hanno truccato il viso e il corpo per cancellare i segni delle torture e mi hanno portato di fronte ai giornalisti perche’ confessassi pubblicamente tre omicidi e una rapina a mano armata, minacciandomi non solo di nuove torture, ma anche di stupro. Ho dovuto acconsentire”. Beslan e’ stato costretto anche a giustificare i segni di violenza comunque visibili come le conseguenze di un tentativo di fuga. Politkovskaia ha verificato il contenuto della missiva mettendosi in contatto con l’avvocato difensore di Gadaiev, Zaur Zakriev, e con l’organizzazione umanitaria non governativa ‘Memorial’ che per prima aveva ricevuto le denunce di tortura. Le fonti hanno confermato. ”Gadaiev ora e’ ricoverato nell’ospedale del carcere numero uno di Grozny – riferisce Anna – e un certificato medico attesta i segni delle violenze subite”.

Il testo termina con una frase incompiuta: ”L’avvocato Zakriev ha presentato una denuncia formale alla procura della repubblica cecena su questa brutale violazione dei diritti umani…”. Il punto finale all’articolo lo hanno messo i killer: con due pallottole al cuore e una alla testa».