Il regalo di Giancarlo

Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985
«Della mia generazione ho potuto conoscere migliaia di persone perché per un bel po’ di anni quella gioventù, è uscita di casa e ha occupato vita e strada di questo Paese. Ha perlustrato in lungo e in largo la società che aveva intorno e ha potuto conoscere la società che lei stessa già costruiva. Se non ho amici tra i compagni di scuola, ne ho avuti in cambio migliaia dopo. Quindi non è per combinazione che ho conosciuto Giancarlo Siani, ma per l’immediata spinta a riconoscervi che avevano quelli che sono stati giovani negli anni ’70».
Erri De Luca, “Il cronista scalzo” 1996

L’anno scorso, per chiudere un cerchio che mi aveva portato da un nuovo lavoro alla cassa integrazione, mi fermai mezz’ora così, in piazza Leonardo al Vomero, dove uccisero Giancarlo Siani. Senza velleità d’alcun tipo. Solo per fissare bene nella memoria una piazza che fino ad allora avevo sempre percorso di sfuggita.
Nacque lì l’epilogo  di un libretto  sul giornalismo ai tempi del telelavoro che immeritatamente vinse proprio il “premio Siani” e che stranamente in dodici mesi non ho avuto il tempo  di  far pubblicare, pur nonostante qualche lusinghiero – e ancora stavolta immeritato – interessamento.  Con quello che è successo nei mesi a venire penso che ora potrei aggiungere un capitolo. O addirittura riscriverlo del tutto.
Eppure, anche quest’anno, in un mese abbastanza complesso, l’unica bella notizia è arrivata proprio quel 23 settembre, quella data così cupa, il giorno che ammazzarono Giancarlo.
Poi giorni passati immerso in un acquario e ieri, come spesso accade nella vita, è stata una cosa piccola piccola a ridestarmi da questa specie di trance.
In redazione (quella centrale a Cagliari) è arrivato un fax: è  di una ragazza napoletana di 18 anni i cui genitori lavorano entrambi in Alitalia. Lei ha pensato che era giusto prendere carta e penna e sintetizzare quello che papà e mamma forse dicono arrabbiati davanti ad una televisione, mentre guardano i loro colleghi in piazza o i soliti programmi di approfondimento sul caso.
Nel fax c’è scritto: «tra l’altro sono un’aspirante giornalista e ho sentito il bisogno di scrivere la mia». Il titolo dell’articolo è “Il futuro dei giovani nelle mani dei lavoratori Alitalia”.

E ho pensato che nient’altro è il senso di questo mestiere. È la 18enne liceale, arrabbiata, che dice di aver sentito “il bisogno” di scrivere. È Raffaella –  notoriamente timidissima – che prendendo la menzione assegnata quest’anno a “Santa Precaria” ha detto al direttore del “Mattino” Mario Orfeo, in una sala strapiena: bello qui in redazione, oh quasi quasi ci resto, perché non mi assumete? È la cocciutaggine di Arnaldo Capezzuto che si prende sputi, minacce e schiaffoni da quegli imbecilli razzisti che a Pianura vogliono cacciar via da un palazzo un gruppo di immigrati (mentre io al telefono cerco disperatamente come sempre di scongiurare la sua morte…); è Peppe Porzio che  dimostra cosa signfica rimettersi in gioco da professionista  vero e riparte dai vicoli del rione Sanità .
È la limpidezza di Ottavio Lucarelli, il nostro presidente dell’Ordine dei giornalisti che in tivvù ha abbattuto un allucinante tabù (o forse eccessivo pudore?) appartenuto a dire il vero più ai giornalisti della vecchia generazione: non ammettere chiaramente che Giancarlo Siani, il giornalista modello, il talentuoso cronista, il simbolo anticamorra, quella sera di settembre, quand’è stato ammazzato al Vomero su quella strana  macchina, poco dopo aver compiuto ventisei anni, era un collega precario.

Il secondo Saviano (ovvero Roberto II, la vendetta)

Robertissimo Saviano dopo Gomorra prepara il suo secondo tomo (veramente è il terzo, se contiamo il libello pubblicato con il Corriere della Sera). Oggi un cattivissimo Dagospia viene ripreso (ma con toni decisamente più soft ed entusiastici) dal Corriere del Mezzogiorno. Dago lo riproduco qui “tanto loro sono rock e non s’incazzano”, direbbe quel bell’uomo di Gianni Solla. Per il Cormezz, ecco il link. Seguono repliche e controrepliche.

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Premio Giancarlo Siani: e il resto è silenzio

Mi trovo a commentare “a caldo” tante sensazioni, tante situazioni, facce, parole scritte e dette. Non le mie, perché stamattina alla fatidica domanda “vuoi dire qualcosa, Ciro?” durante la cerimonia del Premio Giancarlo Siani ho risposto semplicemente “no, grazie”. Un po’ da Bartleby lo scrivano.
Non sono stato certo così snob da non voler ringraziare la giuria del premio, il Mattino, l’Ordine regionale e nazionale dei giornalisti, l’Assostampa, l’Associazione Siani, sia chiaro. Ma quant’è difficile dire tante cose in poche parole; l’esercizio di sintesi è così arduo che ogni parola avrebbe dovuto contenere al suo interno un’altra parola e un’altra ancora. Una specie di discorso al quadrato. Utilizzo quindi il blog, la parola scritta, in primis per ringraziare tutti ma proprio tutti per i commenti, le telefonate, le lettere, le mail: sembro un attore dei teleromanzi in questi giorni.
Poi per dire quel paio di cose che avevo in mente stamattina. Nello zaino ho portato con me “L’Abusivo” di Antonio Franchini. E percorrendo il secondo piano di via Chiatamone ho pensato a quelle scale che Giancarlo saliva, magari di corsa, ai telefonini che allora non esistevano. A quella galleria nelle cui vicinanze magari parcheggiava la sua Mehari. A quella maledetta sera di settembre.
Come facevo a sintetizzare tutto ciò in mezzo minuto? E come facevo a sintetizzare la felicità, le paure e le contraddizioni di un mestiere che m’ha fatto perdere calma e lucidità in un mese e mezzo di cassaintegrazione, quando pensavo che tutto si era dissolto, distrutto in un momento?
In sala c’erano tanti miei colleghi, molti dei quali ancora clamorosamente precari nonostante le grandi qualità. Cosa avrei dovuto dire, se non che lo dedico a loro il premio, precari e fragili baluardi della passione giornalistica e della “schiena dritta” nonostante tutto e tutti? Come poter sintetizzare il grazie alle persone più care, quelle che mi sono state affianco in quei giorni di incertezza e discussione, di caos e indecisioni? Con quali parole, se non con quelle scritte da una tastiera, avrei potuto dedicare tutto quello che è successo oggi ad Alberto Marzaioli, indimenticato e indimenticabile compagno di strada?
Dunque, silenzio: parlano gli articoli, parla la carta stampata, “il piombo” come si diceva una volta. E lasciamo che parlino i politici, le associazioni, i direttori. La soddisfazione più bella, ora, è tornare a casa e vedere le colonnine di una pagina bianca che si riempiono velocemente.
E su, la mia firma. Il grande regalo di questa giornata non è stata una pergamena, no. E’ stata una bella pubblicazione in due volumi. Si chiama “Le parole di una vita”; raccoglie tutti gli scritti di Giancarlo Siani dagli esordi al giorno prima della morte.