Per una mappa della crisi del giornalismo e dell’editoria italiana

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«We can work it out»
Beatles, 1965

Bilancino della giornata. Vediamo… Oggi ho prodotto dieci – o dodici – aggiornamenti della Borsa. Altri tre o quattro pastoni. Nessunafirma. Visibilità zero. Nebbia in Valpadana. Vieni all’online, dicevano, qui è il giornale del futuro.
“Perché comprare un giornale che esce una volta al giorno quando lo puoi avere aggiornato ogni ora?” Sì, ogni ora, ogni mezz’ora, ogni minuto no? E perché no? Mortacci vostra… Ma noi siamo la punta di diamante del futuro. “Il futuro è qui”.
Il giornalismo di domani è questo. Giornalismo? Questo non è giornalismo, non per me almeno. Anche oggi non ho chiamato nessuna fonte, non ho sentito nessuno, non ho visto niente.
Non ho messo fuori il piede dalla redazione. Ho passato i soliti 5mila lanci di agenzia quotidiani alla ricerca della NOTIZIA. Ho linkato siti e siti, documenti, file pdf, immagini e suoni. Ho seguito indici, opzioni, future, azioni, obbligazioni. Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti.
Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno.
Domani splenderà il sole e il Giornalismo ti bacerà in fronte.
Buonanotte.

«Io lavoro al desk, di un portale a ore…» –  Il Barbiere della Sera, dicembre 2000

.


UNA PREMESSA PERSONALE
Ho iniziato a fare il giornalista nel 1997. Allora, in molte piccole redazioni locali, non era ancora arrivata internet.
Delle prospettive di questo mestiere ne discutevano ai convegni negli hotel e ai festival in ridenti località balneari, docenti universitari e guru americani, sindacalisti e presidenti dell’Ordine professionale, direttori e importanti cronisti.
Oggi, 2010, non esiste una discussione sul giornalismo che prescinda dal confronto via internet.
Sulle regole e su certi meccanismi teorici di questo mestiere ho imparato di più leggendo sul web che preparandomi all’esame d’idoneità professionale.
Ho iniziato disegnando la pagina sul menabò di carta per passarla all’ufficio grafico. Oggi la mia giornata da deskista comincia scegliendo da un book elettronico i master delle pagine. Drag and drop, et voilà: la “cornice” è montata nello spazio che mi è stato assegnato. Quando ho cominciato mi sottolineavano l’importanza (e l’obbligo, se non si era fuori per servizio) di passare in redazione la mattina per leggere i giornali. Stamattina mi sono svegliato e prima d’uscire ho scaricato i quotidiani, letto la rassegna stampa pdf. Mi sono trovato “in redazione”  digitando username e password, perché sono in telelavoro.

Oggi la mia redazione è ovunque.

Durante un convegno molto lungo posso sedermi (ecco, magari non proprio davanti al buffet) e iniziare a scrivere il pezzo. O impostare il titolo della pagina. Posso scaricare le fotografie via Usb, farle vedere in redazione, mandare ad un collega di Milano l’mp3 col discorso del suo sindaco in trasferta a Napoli.
Lo posso fare. Anzi l’ho già fatto.
Avevo – ed ho ancora – una rubrica telefonica di carta. Rossa, con la copertina rigida, ci sono un migliaio di numeri. Non la consulto più da anni e non perché la necessità di chiamare qualcuno si sia ridotta (o forse sì?) ma perché non ho più bisogno di annotare numeri con la penna. Che senso ha, non poterli mettere su un file e poi importarli nel Blackberry?

Per me, classe 1977, è cambiato molto meno di quanto è cambiato ad esempio per un collega nato nel 1950. Eppure, mentre per lui la “rivoluzione tecnologica”  ha rappresentato sì il rischio di esuberi e prepensionamenti ma a fronte d’una carriera iniziata con tutti i crismi (contratto e solidità previdenziale, possibilità di promozioni), per me è stato l’inizio di una instabilità perpetua. Un pilastro di cemento piazzato tra il sottoscritto e i gradini della scala di mobilità sociale.

UNA MAPPA DELLA CRISI DELL’EDITORIA IN ITALIA
La premessa personale mi era indispensabile per introdurre un lavoro su quest’ultimo anno dell’editoria italiana.
Si tratta  nient’altro che della riproposizione grafica, con Google Maps, dell’elenco delle circa 40 vertenze di lavoro portate avanti nel 2009 dalla Federazione Italiana della Stampa. Ristrutturazioni, cassa integrazione, contratti di solidarietà, esuberi, prepensionamenti. Una mappa ovviamente incompleta ma che conto di aggiornare via via, di aprire a collaborazioni.
A che serve riproporre così i dati?
Le vertenze editoriali dell’anno appena trascorso, sono tantissime per un piccolo Paese come il nostro: la riproposizione mash-up consente di rendere più evidente la gravità di tale situazione. Mi sono ispirato, pur non disponendo della complessa rete di “rumors” aziendali che ne costituisce l’autentica ricchezza, a Paper Cuts il sito americano che analizza giorno per giorno la crisi editoriale americana.

Ma cosa c’entrano l’esperienza  in premessa e la crisi dell’editoria col futuro del giornalismo? Spesso di quest’ultimo si parla prescindendo dalla crisi. Del resto la Rete va avanti, i social media ribaltano e controribaltano vecchie gerarchie. Sempre più  di frequente, forse a ragion veduta, si identificano la crisi del giornalismo con quella dell’editoria, entrambe contrapposte alla continua, positiva, evoluzione della Rete. Un assunto che ho sentito ripetere spesso in questo periodo è: la crisi è un’opportunità. Brutalmente: perché dovremmo preoccuparci del vecchio, se ci salverà il nuovo che avanza?

GLI EFFETTI DI QUESTA SITUAZIONE USURANTE
La scure sui posti di lavoro nel settore, nel biennio 09/10 (esuberi stimati dalla Fnsi: circa 700); la costante tensione tra le parti (editore vs. giornalista), i continui piani di riassetto e le diatribe sindacali si traducono nient’altro che in cure dimagranti repentine, dannose come solo le diete drastiche sanno essere.

La crisi si è palesata come una violenta spallata contro un giornalista già barcollante. Altro che schiena dritta! Il progressivo depauperamento delle redazioni e l’inasprimento dei rapporti aziendali non giova alla quiete e alla serenità che questo mestiere richiede.
A dispetto della mitologia cinematografica che restituisce l’immagine di cronisti travagliati e bohèmienne, la discesa “sul campo”, la cura delle fonti e la verifica delle informazioni sono possibili solo in un contesto di relativa tranquillità. Quindi senza gli affanni della produzione in tempi compressi, i carichi improbi di lavoro, la multipla fatica del cronista-deskista (articoli, più titoli, più impaginazione). In caso contrario è facile sbagliare e cadere per esempio in errore. Errore  che per il giornalista sempre più spesso si tramuta nella temuta, e dispendiosa querela per diffamazione (o causa civile per risarcimento danni).
I detrattori dell’attuale modo di fare giornalismo conoscono bene certi vizi di questo mestiere: la riproposizione eterna di clichè, la poca voglia di scavare, rischiare, di cercare le “storie”. L’accontentarsi del “cotto e mangiato” che arriva dalle agenzie di stampa, il limitarsi al copia-incolla dai comunicati stampa. Sono solo alcuni degli effetti primari del sistema deprimente che abbiamo intorno.

Molti scordano che il giornalista è prima di tutto un lavoratore.

Guardando la mappa delle vertenze curate dal sindacato, si evince come la mannaia si sia abbattuta con forza sulle redazioni regionali. Parliamo di giornali piccoli e medi, all’interno dei quali ad ogni accenno di crisi le tensioni tra gli stessi dipendenti raggiungono livelli altissimi e si riverberano sull’intera catena di comando, dal caporedattore al redattore, dall’«abusivo di redazione» al collaboratore esterno senza contratto. Per quanti di loro, i nervi non avranno retto? E parliamo delle situazioni conosciute agli organismi sindacali e previdenziali. Ci sono tantissimi casi “invisibili”, conosciuti solo dai diretti protagonisti.  Sarebbe interessante capire qual è stata, nel 2009, l’incidenza della spesa Casagit per psicoterapia, nonchè  quantificare con le Assostampa locali le cause di mobbing. Potremmo trovarci davanti a due indicatori importanti degli effetti della crisi.

MA PARLAVAMO DI GIORNALISMO
Se se ne esce, saranno i dati della fine dell’anno a suggerircelo. Le previsioni sono discordanti, tuttavia una cosa la si può affermare con relativa certezza: l’editoria degli “anni zero” ci sta portando su strade nuove. Nuove nelle forme, nei contenuti, nei modelli di gestione e diffusione. E il giornalismo?

«Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti.  Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno».

Così scriveva l’ironico narratore del Barbiere della Sera 10 anni fa. Nel corso di questo periodo si sarà probabilmente reso conto che non sono più le informazioni ad essere “riversate negli schermi” bensì sono gli utenti, i lettori, ad aggrapparsi ogni giorno a varie maniglie del sistema: una volta è il sito del quotidiano, un’altra volta è il social-media, l’altra ancora è il blog  e chissà quante altre maniglie ancora.

Cosa farà ora, a dieci anni di distanza, quel «giornalista del portale ad ore?». Spero per lui che sia stato assunto. E che il suo portale sia sfuggito alla selezione darwiniana. Me lo immagino con un contratto al minimo tabellare, pochi incentivi alla formazione professionale, nessun integrativo in busta paga. E accanito lettore delle discussioni sul giornalismo che corrono in Rete.

Del resto, a dispetto della crisi, non ha mai perso la voglia di fare questo mestiere per davvero. Un giorno.

«We can work it out»
Beatles, 1965

Bilancino della giornata. Vediamo… Oggi ho prodotto dieci – o dodici – aggiornamenti della Borsa. Altri tre o quattro

pastoni. Nessunafirma. Visibilità zero. Nebbia in Valpadana. Vieni all’online, dicevano, qui è il giornale del futuro.
“Perché comprare un giornale che esce una volta al giorno quando lo puoi avere aggiornato ogni ora?” Sì, ogni ora, ogni

mezz’ora, ogni minuto no? E perché no? Mortacci vostra… Ma noi siamo la punta di diamante del futuro. “Il futuro è qui”.

Il giornalismo di domani è questo. Giornalismo? Questo non è giornalismo, non per me almeno. Anche oggi non ho chiamato

nessuna fonte, non ho sentito nessuno, non ho visto niente.
Non ho messo fuori il piede dalla redazione. Ho passato i soliti 5mila lanci di agenzia quotidiani alla ricerca della

NOTIZIA. Ho linkato siti e siti, documenti, file pdf, immagini e suoni. Ho seguito indici, opzioni, future, azioni,

obbligazioni. Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri

internauti.
Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno.

Domani splenderà il sole e il Giornalismo ti bacerà in fronte.
Buonanotte.

«Io lavoro al desk, di un portale a ore…» –  Il Barbiere della Sera, dicembre 2000

UNA PREMESSA PERSONALE

Ho iniziato a fare il giornalista nel 1997. Allora, nelle piccole redazioni locali, non era ancora arrivata internet.
Delle prospettive di questo mestiere ne discutevano ai convegni negli hotel e ai festival in ridenti località balneari

docenti universitari e guru americani, sindacalisti e presidenti dell’Ordine professionale, direttori e importanti cronisti.
Nel 2010 non esiste una discussione sul giornalismo che prescinda dal confronto via internet.
Sulle regole e su certi meccanismi teorici di questo mestiere ho imparato di più leggendo sul web che preparandomi all’esame

d’idoneità professionale.
Ho iniziato disegnando la pagina sul menabò di carta per passarla all’ufficio grafico. Oggi la mia giornata da deskista

comincia scegliendo da un book elettronico i master delle pagine. Drag & drop, et voilà: la “cornice” è montata nello spazio

che mi è stato assegnato. Quando ho cominciato mi sottolineavano l’importanza (e l’obbligo, se non si era fuori per servizio)

di andare in redazione la mattina alle 10.30 per leggere i giornali. Stamattina mi sono svegliato prima d’uscire, ho

scaricato i quotidiani e letto la rassegna stampa pdf. Mi sono trovato “in redazione”  digitando username e password, perché

sono in telelavoro.

Oggi, la mia redazione è ovunque.

Durante un convegno molto lungo posso sedermi (ecco, magari non proprio davanti al buffet) e inizare a scrivere il pezzo. O

impostare il titolo della pagina. Posso scaricare le fotografie via Usb, farle vedere in redazione, mandare ad un collega di

Milano l’mp3 col discorso del suo sindaco in trasferta a Napoli.
Lo posso fare anzi, l’ho già fatto.
Avevo – ed ho ancora – una rubrica telefonica di carta. Rossa, con la copertina rigida, ci sono un migliaio di numeri. Non la

consulto più da anni e non perché la necessità di chiamare qualcuno si sia ridotta (o forse sì?) ma perché non ho più bisogno

di annotare numeri con la penna. Che senso ha, non poterli mettere su un file e poi importarli nel BlackBerry?

Per me, classe 1977, è cambiato molto meno di quanto è cambiato ad esempio per un collega nato nel 1950. Eppure, mentre per

lui la “rivoluzione tecnologica”  ha rappresentato sì il rischio di esuberi e prepensionamenti ma a fronte d’una carriera

iniziata con tutti i crismi (contratto e solidità previdenziale, possibilità di promozioni), per me è stato l’inizio di una

instabilità perpetua. Un pilastro di cemento piazzato tra me e i gradini della scala di mobilità sociale.

UNA MAPPA DELLA CRISI DELL’EDITORIA IN ITALIA

La premessa personale mi era indispensabile per introdurre un lavoro su quest’ultimo anno dell’editoria italiana.
Si tratta  nient’altro che della riproposizione grafica, con Google Maps, dell’elenco delle circa 40 vertenze di lavoro

portate avanti nel 2009 dalla Federazione Italiana della Stampa. Ristrutturazioni, Cassa integrazione, contratti di

solidarietà, esuberi, prepensionamenti. Una mappa ovviamente incompleta ma che conto di aprire a collaborazioni. Magari di

affidare alla stessa Fnsi.
A che serve, riproporre così i dati?
Le vertenze editoriali dell’anno appena trascorso, sono tantissime per un piccolo Paese come il nostro: la riproposizione

mash-up consente di rendere più evidente la gravità di tale situazione. Mi sono ispirato, pur non disponendo della complessa

rete di “rumors” aziendali che ne costituisce l’autentica ricchezza, a “Paper Cuts”, il sito americano che analizza giorno

per giorno la crisi editoriale americana.

Ma cosa c’entrano l’esperienza personale in premessa e la crisi dell’editoria col futuro del giornalismo? Spesso di

quest’ultimo si parla prescindendo dalla crisi. Del resto la Rete va avanti, i social network ribaltano e controribaltano

vecchie gerarchie. Sempre più spesso, forse a ragion veduta, si identificano la crisi del giornalismo con quella

dell’editoria, entrambe contrapposte alla continua, positiva, evoluzione della Rete. Un assunto che ho sentito ripetere

spesso in questo periodo: la crisi è una opportunità. Brutalmente: perché dovremmo preoccuparci del vecchio, se l’innovazione

arriva a passo di giava?

GLI EFFETTI DI QUESTA SITUAZIONE USURANTE

La scure sui posti di lavoro nel settore, nel biennio 09/10 (stimati dalla Fnsi in circa 700); la costante tensione tra le

parti (editore vs. giornalista), i continui piani di riassetto e le diatribe sindacali si traducono nient’altro che in cure

dimagranti repentine, dannose come solo le diete drastiche sanno essere.

La crisi si è palesata come una violenta spallata contro un giornalista già barcollante. Altro che schiena dritta! Il

progressivo depauperamento delle redazioni e l’inasprimento dei rapporti aziendali non giova alla quiete e alla serenità che

questo mestiere richiede. A dispetto della mitologia cinematografica che restituisce l’immagine di cronisti travagliati e

bohèmienne, la discesa “sul campo”, la cura delle fonti e la verifica delle informazioni sono possibili solo in un contesto

di relativa tranquillità. Senza gli affanni della produzione in tempi compressi, i carichi improbi di lavoro, la multipla

fatica del cronista-deskista (quindi articoli più titoli e impaginazione). In caso contrario è facile sbagliare e cadere per

esempio nella  “buca”  che per il giornalista spesso è la dispendiosa, pericolosa, querela per diffamazione (o causa civile

per risarcimento danni). Non solo quello: la riproposizione di clichè, la poca voglia di innovare di cercare le “storie”.

Accontentarsi del cotto e mangiato che arriva dalle agenzie e del copia-incolla dai comunicati stampa è uno degli effetti

primari del sistema deprimente che abbiamo intorno.

Un giornalista è prima di tutto un lavoratore.

Guardando la mappa delle vertenze curate dal sindacato, si evince come la mannaia si sia abbattuta con forza sulle redazioni

regionali. Parliamo di giornali piccoli e medi, all’interno dei quali ad ogni accenno di crisi le tensioni raggiungono

livelli altissimi e si riverberano sull’intera catena di comando, dal caporedattore al redattore, dall’«abusivo di redazione»

al collaboratore esterno senza contratto. Per quanti di loro, i nervi non avranno retto? E parliamo delle situazioni

conosciute agli organismi sindacali e previdenziali: ci sono tantissimi casi “invisibili”, conosciuti solo dai diretti

protagonisti.  Sarebbe interessante capire qual è stata nel 2009 l’incidenza della spesa Casagit per psicologi e quantificare

con le Assostampa locali le cause di mobbing. Potremmo trovarci davanti a due indicatori importanti degli effetti della

crisi.

MA PARLAVAMO DI GIORNALISMO

Se se ne esce, saranno i dati della fine dell’anno a dirlo con certezza. Le previsioni sono discordanti, tuttavia una cosa la

si può affermare con relativa certezza: l’editoria degli “anni zero” ha cambiato strada. Nelle forme, nei contenuti, nei

modelli di gestione e diffusione. E il giornalismo?

«Ho travasato numerini e nomi da uno schermo ad altri schermi. Li ho riversati in migliaia di schermi di altri internauti.

Non ho verificato una sola riga di quello che ho scritto. Domani è un altro giorno».

Così scriveva l’ironico narratore del Barbiere della Sera dieci anni fa. Nel corso d’un decennio si sarà probabilmente reso

conto che non sono più le informazioni ad essere “riversate negli schermi” bensì sono gli utenti, i lettori, ad aggrapparsi

ogni giorno a varie maniglie del sistema: una volta è il sito del quotidiano, un’altra volta è il social-media, l’altra

ancora è il blog  e chissà quante altre maniglie ancora.

Cosa farà ora, a dieci anni di distanza, quel «giornalista del portale ad ore?». Spero per lui che sia stato assunto. E che

il suo portale sia sfuggito alla selezione darwiniana. Me lo immagino con un contratto al minimo tabellare, pochi incentivi

alla formazione professionale, nessun integrativo in busta paga. E accanito lettore delle discussioni sul giornalismo che

corrono in Rete. Del resto, a dispetto della crisi, non ha mai perso la voglia di fare questo mestiere per davvero. Un

giorno.

La web-tv del Comune e il gioco delle tre carte

Una protesta iniziata due giorni fa e alla fine qualcosa si è mosso. Insomma, il Comune di Napoli ha annunciato che sulla storia della web-tv istituzionale e sugli allucinanti criteri per individuarne il direttore farà dietrofront. Rosa Russo Iervolino – sono testimone della frase – ha detto «non cercavamo mica il direttore della Bbc…».

Eh no, non è la Bbc per nulla. La frase suona vagamente sprezzante: non è la Bbc, nota per la sua imparzialità e per l’alto livello di professionalità dei suoi giornalisti, quindi noi a Napoli dobbiamo accontentarci? Nient’affatto. bisogna vigilare.  Dunque, tirando le somme:

– è stato detto che l’avviso pubblico sarebbe cambiato. Ma io lo  vedo ancora a questo link;

– è stato detto che i termini di presentazione di eventuali candidature sarebbero stati allungati. Aspettiamo e vedremo.

Infine, siccome non siamo inglesi ma manco siamo fessi, mi preme far osservare una cosa ai tantissimi colleghi che qui, su Facebook, Twitter, su Friendfeed e in mail, mi hanno scritto  (approposito: grazie per aver condiviso la notizia sui social network).

Il pubblico avviso sarebbe stato messo su internet e in Albo Pretorio il 24 dicembre, la vigilia di Natale, con scadenza 10 giorni. Cosa già di per se strana. Beh, sull’Albo cartaceo del Comune non so, ma sul sito internet la data non corrisponde al vero.
Come posso dirlo? Da cosa lo deduco?
Provate a scaricare il file pdf dell’avviso, andate nelle proprietà del vostro lettore pdf e guardate la data di creazione del file (finquando non lo cambieranno o cancelleranno).

A me esce questo:

Resuscitate Indro ed Enzo: al Comune di Napoli serve il direttore della web-tv

Sul giornale di oggi ho scritto che il Comune di Napoli farà la sua web-tv. Con soldi dei fondi europei, eccetera. Fosse solo quello.

Trascrivo qui da un documento ufficiale i requisiti richiesti per individuare il direttore di questa televisione in Rete (lettera protocollata al Comune con numero  2989 datata 16/11/2009):

1. essere giornalista professionista da almeno 20 anni;
2. avere fatto parte per almeno 3 anni di una  o più redazioni di periodici e o quotidiani di rilievo nazionale;
3. aver collaborato per almeno 5 anni con quotidiani di rilievo nazionale;
4. aver collaborato per almeno 3 anni con quotidiani on-line;
5. avere una comprovata esperienza nel campo della comunicazione istituzionale con una esperienza diretta in un ente pubblico;
6. essere autore di reportages e servizi per testate nazionali;
7. essere autore di programmi di inchiesta e di informazione del servizio pubblico;
8. aver svolto almeno una esperienza come conduttore di programmi televisivi di approfondimento del servizio pubblico;
9. avere una esperienza di conduzione di almeno 5 anni di notiziario televisivo del servizio pubblico;
10. avere esperienze pluriennali di ideazione, redazione e conduzione di programmi televisivi e giornalistici nell’ambito della televisione pubblica e non commerciale;
11. avere svolto ampia qualificata e comprovata attività quale formatore nel campo del giornalismo e della comunicazione;
12. avere una comprovata esperienza di direzione e formazione di un team professionale nel campo della comunicazione.

Dodici requisiti, analizzati i quali si desume che:

– il prescelto avrà ad occhi e croce più di cinquant’anni (ma nella migliore delle ipotesi);
– il prescelto sarà necessariamente un giornalista (o un giornalista pensionato) della Rai (leggi punti 7,8,9,10);
– il prescelto non dovrà aver granché competenza di web. Ammesso che (punto 4) aver collaborato con quotidiani on-line non venga considerato un titolo di conoscenza di tempi, mezzi e modalità d’una web-tv.

Nel pezzo di oggi non l’ho scritto  (poco spazio ed è sempre meglio dare i fatti che le opinioni) ma è allucinante che un progetto pubblico con soldi pubblici per un ente pubbliconon venga avviato con una selezione pubblica.
Il Comune di Napoli – come tutti gli enti istituzionali – ha tra l’altro anche degli elenchi professionali ad hoc (che strano, sono spariti da internet) cui attingere  in caso di nuove attività da intraprendere.

Il sindacato dei giornalisti, l’Assostampa Napoli, ha inoltre un altro elenco, lunghissimo. È quello dei colleghi professionisti e disoccupati. A Napoli il precariato giornalistico è su percentuali altissime. Fra i senza lavoro ci sono colleghi con curricula di tutto rispetto.

Parliamo di qualità: essere professionisti da un ventennio è garanzia di qualità per dirigere un giornale, una radio, una web-tv?  Garantisce  a prescindere competenza e affidabilità? Imporre il requisito (punto 10) di aver lavorato nel solo servizio pubblico (dove non ci sono concorsi veri da decenni, ma assunzioni a chiamata diretta) è davvero giusto?

Leggeteli bene, quei requisiti: ipoteticamente Indro Montanelli e Enzo Biagi sarebbero fuori (nessuno dei due ha il requisito del punto 9).

E se il Comune di Napoli avesse voluto assumere, per assurda ipotesi, Enrico Mentana, non avrebbe potuto: il fondatore del TG5 e ideatore di Matrix ha lavorato (punto 10)  anche per la tivvù commerciale.

L’anno più lungo dei giornali

Di seguito c’è un lungo articolo apparso sul sito della Federazione Italiana della Stampa che raccoglie un anno di vertenze. Un anno lungo e complesso, come si suol dire “di lacrime e sangue”: la crisi, eccetera eccetera.

Sono riportate le vertenze di tanti giornali, ma all’appello – per quello che ho potuto conoscere di persona  – mancano tantissime altre storie. I tagli “interni” mai arrivati all’attenzione della Fnsi, mannaie silenziose che sono calate con precisione chirurgica sui desk ma soprattutto sui collaboratori esterni, anello debolissimo della catena. Per non parlare dei sacrifici spesso invisibili al sindacato, come ad esempio  dei rimborsi per gli esterni o dei telefoni per i redattori. E ancora: chissà se si può quantificare il taglio dei servizi chiesti agli inviati. Ne deriva un giornalismo povero  non solo di mezzi ma anche di idee, incapace a fronteggiare le tante novità che arrivano dal web. Difatti se abbiamo un  giornalismo cartaceo debole, che si arrocca per paura di perdere quel poco che rimane,  non ci attende certo un giornalismo on-line più forte, tutt’altro.

Poi, c’è il caso della Campania: siamo una regione con tantissimi giornalisti, due università con master post-laurea che sfornano professionisti ma pochissima analisi circa la situazione dei colleghi che lavorano a tempo indeterminato, quelli col contratto a scadenza, la folta platea dei precari e dei “sommersi” e infine quelli che hanno appena conseguito l’agognata tessera e non hanno nemmeno idea di come iniziare. Una mappa della crisi in Campania non c’è ancora, bisognerebbe inziare a mettere nero su bianco.

L’articolo della Fnsi:

Duemilanove, un anno durissimo, l’intero settore editoria è in crisi, ad oggi una trentina di società editoriali hanno fatto ricorso alle leggi sugli ammortizzatori sociali per esodi “strutturali”, quindi definitivi. Il Dipartimento sindacale della Fnsi, insieme con i Comitati di Redazione, è impegnato ogni giorno su più tavoli di confronto in sede aziendale, Fieg e ministero del Lavoro, per ridurre le richieste contenute nei “piani di riorganizzazione in presenza di crisi”, avanzate dalle aziende.

Nella stragrande maggioranza dei casi, l’esame dei bilanci e dei piani aziendali segnala un’assoluta carenza di progettualità sul “modello giornale” a fronte di una volontà precisa di scaricare costi sulla categoria e sullo Stato attraverso gli stati di crisi.

La pesante contabilità della crisi ci dice che a fine novembre si sfiorava quota 600, tra prepensionamenti, cassa integrazione straordinaria, in deroga, e contratti di solidarietà. Il segretario generale della Fnsi, Franco Siddi, ha stimato in almeno 700 forse più, i colleghi che lasceranno le aziende entro la fine del 2010. Se non fosse stato per il tempestivo intervento della Fnsi e dell’Inpgi sul governo per eliminare gli abbattimenti sui prepensionamenti, questi colleghi lascerebbero le aziende con pensioni falcidiate. Mentre oggi possiamo parlare di sostanziale tenuta dei livelli pensionistici della categoria. Comunque di molto superiori alle pensioni che avranno i colleghi che oggi si affacciano alla professione. L’attività politica congiunta Fnsi-Inpgi ha inoltre fatto si che il governo abbia posto a carico della fiscalità generale il peso dei prepensionamenti e nona carico dell’Inpgi. Due risultati fondamentali che attenuano l’impatto che è, e sarà, comunque doloroso sull’occupazione giornalistica. Da queste considerazioni emerge chiara la necessità che si faccia il punto sul settore. Che il governo, mantenga gli impegni presi, di fare al più presto gli Stati generali dell’Editoria, per individuare gli strumenti di sostegno all’editoria all’altezza della situazione. Una politica di mero taglio dei costi attraverso la legge 416 non paga, non è in grado di mettere in campo una strategia e gli strumenti adatti all’uscita dalla crisi.

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Giornalismi generazionali

Alla fine il risultato  preciso è stato questo: favorevoli 158, contrari 57 e astenuti 20. Ma capirete, col caos che c’era qualche voto può pure sfuggire. Vabbè, comunque è andata e ci sarebbe da discutere ore e ore sul nuovo contratto giornalistico. Potrei parlarvi di scatti d’anzianità, contintgenza, ammortizzatori sociali, Inpgi, CdR, distacchi e sanzioni disciplinari. Non lo farò ora, però.

Partiamo da lontano. Da Perugia: mentre ieri all’Ergife Hotel si consumava l’ultimo atto che prelude al sì al contratto (ci sarà un referendum nelle redazioni ma è solo un atto politico, non è tecnicamente vincolante) a Perugia c’era il Festival Internazionale del Giornalismo. Beh, veramente io volevo anche andarci – domani si parla di Giancarlo Siani – tuttavia era doversoso guardare al contratto, da buon sindacalista. In Umbria c’erano blogger, colleghi inglesi, americani, direttori di riviste e giornali,  si discuteva di AgoraVox, di micro blogging, di pagare per la singola inchiesta su web anzichè per il vecchio e ormai agonizzante (?) giornale cartaceo; all’Ergife si decideva di come mandare avanti lo sgarrupato sistema editoriale italiano. Paradossale: l’ottimismo di Perugia sul futuro che ho letto da alcuni blog è sconvolgente se penso a quel che ho sentito io al sindacato. La crisi del Gazzettino, i tagli al Mattino di Napoli; Il Sole 24 Ore vacilla e taglia i compensi ai collaboratori; un pianto greco collettivo.

Nei commenti al live blog ce n’è uno di un caro amico  e collega che provocatoriamente suggerisce una moratoria alle iscrizioni all’Ordine dei Giornalisti, viste le migliaia di  professionisti sfornati ogni anno, nonostante una crisi che non garantisce nemmeno i “garantiti”, figuriamoci i precari. D’altro canto, come poter impedire ad una persona di fare quel che vuole nella vita?
Ordine e Sindacato: ogni volta che vado ad un evento promosso da Fnsi o dall’Odg, non posso non notare l’acredine fra i due organismi, l’uno sindacale l’altro ordinistico, che dovrebbero tutelare i giornalisti e invece spesso non collaborano, litigano anzi. Non conosco le ragioni politiche profonde, ma è preoccupante. E soprattutto  si stanno mettendo in condizione che qualcuno dica, un domani non troppo lontano che “uno di loro è di troppo”. E amen.

Ieri attraverso twitter ed un plugin che riversa sul blog wordpress le “twittate” mi sono prodotto nel mio primo live blog, divertendomi. Sul palco ad un certo punto è salito un tizio che, scandalizzato, se l’è presa con quella parte del contratto sui sistemi di “videoscrittura”. Io intanto col culo su una comoda poltroncina e un telefonino, facevo la mia diretta web. Se vogliamo il solco generazionale fra giornalismi  è tutto qui.