La grandezza di questo paese
non è più nelle piazze, non è nelle chiese
non è Roma di marmi fontane e potere
né Milano tradita da chi se la beve
non è Genova o Taranto signore del mare
non è Napoli e questo è perfino più grave
Daniele Silvestri – Questo Paese
L'ultima volta che ho avuto a che fare con la politica in senso stretto, sul simbolo c'era la falce e il martello. Mi avevano convocato ad un dibattito sulle guerre nei Balcani. Ci andai, c'erano tre persone fuori ad un balcone.
– E il dibattito?
– È chist, 'o dibattito. Vieni, pigliati na seggia, lo vuoi il caffè?
Praticamente scappai. Ho attraversato la fase negativa (tanto non cambia un cazzo); la fase populista (tanto con voi non cambia un cazzo); la fase credulona (tutti sono delle merde tranne te). La politica poi l'ho ritrovata ovunque, facendo il giornalista. E ho avuto fortuna: Ottavio, Paolo, Gigi, Gerry, Anto, Laura, i colleghi che con me e tanti altri hanno condiviso le magiche vicende del Comune di Napoli erano e sono del tutto diversi da come sono io. Ho potuto dunque assimilare una regola che secondo me dovrebbero stampare su ogni manuale di giornalismo: tieniti le tue idee ma non fare mai "il tifoso". Perché l'autorevolezza di un giornalista sta nella sua storia. Se sbagli una volta nemici (e amici) te la faranno ricordare a lungo.
Quando sono arrivate le elezioni Amministrative mi sono proprio arrabbiato con un centrosinistra incapace di esprimere nelle primarie un candidato (anzi, incapace proprio di fare le primarie senza suscitar rivolte). Poi sono passato agli sfottò per l'attuale candidato del Partito Democratico a sindaco di Napoli, Mario Morcone. E questa è stata la prima cosa che gli ho detto, quando, qualche giorno fa, l'ho incontrato.
Beh, non sembrava granché colpito a dire il vero. Si vede che non è permaloso.
Poi ne parlo, di Mario. Voglio finire di parlare di me.
Giornalisticamente.net, questo blog ce l'ho da sei anni. Scrivo però su un blog da circa una decina d'anni. È una cosa che sento parte di me: ho condiviso più o meno tutto quello che mi è capitato, su queste pagine. Ebbene, stavolta la novità è: succede che faccio parte della squadra comunicazione del candidato a sindaco di Napoli di (per ora) Pd e Sel. Non mi sono scelto l'Armada Invencible. Dall'altra parte Gianni Lettieri ha reclutato mezzo mondo (Claudio Velardi in primis) e ha la corazzata Berlusconi dalla sua; Luigi De Magistris invece è dal 2009 in campagna elettorale permanente. Noi giochiamo di corsa e – speriamo – di fantasia.
Parliamo del lavoro.
I collaboratori storici di Mario Morcone si rivolgono a lui con un misto di ammirazione e rispetto chiamandolo in un solo modo: capo. Il capo ha detto/fatto/chiesto eccetera. Il capo si rivolge a tutti nello stesso modo: gentile e deciso. Non dev'essere stato facile lavorare in contesti come quelli dell'immigrazione o all'Agenzia nazionale beni confiscati dove togli alle mafie l'unica cosa che interessa: il patrimonio, i soldi.
Aprire il comitato elettorale a piazza del Gesù è stato come shakerare vite, professionalità, storie, idee: ci sono i giovanissimi appassionati di politica; quelli che vogliono capire come funziona il cuore della "macchina del consenso" (seh vabbè); quelli che conoscono la liturgia della campagna elettorale e quelli che invece (è il mio caso) cercano di guardare, annotare, capire e soprattutto far conoscere. Perché io sono convinto di una cosa: al di là delle idee dei copywriter, degli spot, dei social e dei siti, a Napoli per sollecitare un centrosinistra già pronto al peggio, intorpidito dal berlusconismo che vorrebbe con aggressività sfruttare il solito effetto bandwagon (abbiamo già vinto!) e di contro spaventato da chi con scenari apocalittici fa passare il messaggio «vota me o sarà l'inferno» o usa verbi tipo «massacrare» riferiti all'avversario politico, occorre proporre l'alternativa possibile. L'unica: camminare, girare in lungo e largo, allo sfinimento. Ma senza megafoni. È un lavoro estenuante ma vale il doppio.
Alternativa possibile sia chiaro, non significa turarsi il naso né lasciare immutato quel che invece dovrà cambiare e alla svelta. Significa tentare di semplificare il più possibile un concetto: siamo nella condizione di scrivere quel che sarà della Napoli futura, ma le regole non possono essere più quelle di quindici, vent'anni fa. Vabbè, non voglio far mica propaganda 🙂
Un passo indietro: i partiti. Com'è la storia? L'apparato? L'establishment? Sono stato al Pd della Campania e mi aspettavo di trovare decine di rossi funzionari col colbacco nel cassetto sinistro della scrivania, vecchie immagini di Togliatti e muri ingialliti dal fumo. Macché: di funzionario ce n'è uno, anzi una, è una signora simpatica e intelligente. E c'è un boccione con l'acqua fresca. Però ho visto tanti ragazzi al lavoro. Lo ribadisco perché il concetto che sta passando in Italia (a Napoli soprattutto) è il seguente: se ti mischi con la politica sei parte della casta. Pure se lo fai per capire, per mettere a disposizione una professionalità o per dare "un contributo". Dove sta scritto che preoccuparci di noi è una vergogna? Disse il povero Don Lorenzo Milani, oggi tirato per la tonaca da chiunque: «Sortire da soli dei problemi è l'avarizia. Sortire insieme è la politica».
E vabbè, si conclude qui la prima pagina di questo diario elettorale minimo: dopo anni passati a seguire Palazzo San Giacomo, cade ai miei occhi anche l'ultimo drappo sulla politica napoletana. Fatemi compagnia: vediamo che succede.