Napoli, fai uno sforzo e vai a votare

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Schifati dagli avvenimenti, annoiati, superiori e superati. Preoccupati – ma più di Facebook e della brutta seconda serie di Gomorra -. Sciatti scialbi e attenti. Come gatti che non guardano ma guardano tutto e pronti a scattare, scappare o stare. Comunque siate, andate a votare.
Immaginate per un momento, solo per un momento, un altro modello di governo, e le schede con un solo partito su cui mettere il segno. È successo, non molto tempo fa. I militari a sorvegliare il corretto andamento dell’inutile sforzo elettorale, la radio a gracchiare il trionfo e il bagno di folla. È successo, non molto tempo fa.

Andate a votare.
Napoli non ha bisogno soltanto di votare qualcuno, Napoli ha bisogno di qualcuno che vada a votare. Non di qualcuno che difenda la città, ma di una città forte e capace di difendere chi la vive. E per essere forte c’è bisogno di qualcuno che la  forza te la dia; quale miglior modo della partecipazione?

Todo sobre mi candidato, ovvero il tatuaggio su Napoli. La storia scritta dai perdenti

Tatuarsi la pelle non significa scriverci sopra e via. È piuttosto scegliere il punto giusto tra la profondità della carne e l'epidermide. Così da incastrare l'inchiostro in un posto visibile all'esterno ma al tempo stesso protetto. Non è tutto immediato: serve il tempo giusto per applicare il pigmento; occorre calma. E precisione. Potrebbe uscire un poco di sangue: non bisogna spaventarsi. Alla fine è come una lucida ferita, protetta con la scivolosa paraffina per qualche giorno. La pelle si risana e farà il suo corso.

Ecco: un sindaco è sostanzialmente un tatuaggio sulla città.

Dovranno passare altri giorni prima che io riesca a descrivere con sufficiente lucidità cos'è successo da quando ho iniziato questa campagna elettorale fino ad oggi che ne realizzo la conclusione. Ora sono a casa: il telefono squilla ma non furiosamente. E ho dormito più di sette ore: non mi capitava da mesi.

Non esordirò dicendo di aver trovato e di aver lavorato (non da solo, ma poi ne parlo) per un risultato difficile e di aver fatto il massimo: sapevamo che i candidati a sindaco di Napoli (tutti) non sono Barack Obama, JFK o Gorbaciov. Voglio definire numericamente questo ragionamento. Alcuni sondaggi li trovate poi su internet. Altri no, sono stati commissionati in maniera privata e non ritengo di doverli divulgare visto che non li ho pagati io.

Insomma: alla fine di marzo Swg dichiarava Mario Morcone conosciuto dal 31-32 per cento circa dei napoletani interpellati. Venti giorni dopo quella percentuale era aumentata al 46-47 per cento e successivamente ha tallonato i livelli (comunque meno del 70 per cento) di Gianni Lettieri. Con una differenza: mentre Lettieri ha avuto una bassa percentuale di fiducia rispetto alla notorietà ("ti conosco ma non mi fido") con Morcone i due aspetti sono andati sempre parallelamente. De Magistris, invece, è conosciuto (come Mastella) dall'80 per cento della popolazione con una fiducia più bassa di una quindicina di punti (significa che lo conoscono anche nel centrodestra). Ci sono state le disastrose primarie Dem: con Mario Morcone la prima, frenetica, fase della candidatura, quella del "posizionamento" si è consumata sollecitando la gente del Partito democratico dove il candidato non era conosciuto.

Dunque molto del pochissimo e prezioso tempo a disposizione è stato speso appresso alla gente che in una elezione comunale avrebbe già dovuto conoscere vita morte e miracoli del suo candidato.  Occorreva rassicurare un elettorato arrabbiato per le primarie e per l'amministrazione uscente e poi propagare il messaggio. Già: l'amministrazione Iervolino. Giudicata negativamente da quasi il 90 per cento dei napoletani nelle rilevazioni di aprile. Una enormità politica, un iceberg al cui confronto le primarie erano uno scherzo. Un cataclisma con il quale ci siamo scontrati ogni giorno, fino all'ultimo.  Perché se le primarie sono state sostanzialmente una figuraccia irrisolta, la malagestione del Comune di Napoli è stato un pugnale conficcato  nella schiena del candidato dal primo all'ultimo giorno.

Defendit numerus: De Magistris ha iniziato prima ma è stato bravo a rimettere in moto intorno a lui pezzi di città atrofizzati. Altri pezzi che prudentemente (sì, è un eufemismo per definire i furbi) sono stati alla finestra ad attendere si sono messi in moto mezzo minuto dopo il primo turno. Ma questa è la politica.

Tornando alla comunicazione: particolarmente contento del fatto che nelle rilevazioni su Facebook la pagina di Morcone era seconda solo a quella dell'europarlamentare Idv che era ed è una potenza sui social network. E noi avevamo iniziato a fine marzo. Nessun segreto particolare: solo il racconto quotidiano delle attività (alla fine eravamo arrivati ad un post ogni 40-60 minuti) e una conversazione continua via social, via mail, con chi scriveva.

Il tatuaggio è venuto male e l'abbiamo visto, chiaramente. Scrivo questo post prima di conoscere il risultato del ballottaggio, ma non mi faccio troppe illusioni sul dopo: seguo da cronista le attività del Comune di Napoli da abbastanza per non riuscire più ad esaltarmi. Ci sono tante cose che ho imparato, in questi mesi: magari le racconto con calma.

Però una cosa ci tengo a dirla: un grazie grande grande a coloro i quali hanno preso parte a questa frenatica e affannosa corsa. Tantissima bella gente ed è stato il regalo più grande di quest'esperienza. Pur scrivendo da perdenti non siamo sicuramente noi gli sconfitti di questa campagna.

 


 

Elezioni reggae (gimme just a little smile)

La campagna elettorale è nel vivo, si sente la tensione crescere come quando si accelera sull'autostrada. Non è solo un fatto di propaganda: scopro cose della città che sono visibili soltanto a chi sta dietro la plancia di comando della "macchina del consenso" (se, vabbè, più che macchina, uno scooter scassato).

Da quartiere a quartiere l'approccio è diverso. Alla Pignasecca abbiamo sentito la storia del palazzo puntellato dal dopoterremoto del 1980, in cui gli inquilini morti nel corso degli anni sono stati calati dai balconi e messi nella bara nell'androne perché non si riusciva a salire la bara al quarto o al quinto piano. A Scampia al lotto H la gente ci fa entrare a casa per farc vedere le colonne fecali sfondate, la pioggia dal soffitto. Al Pallonetto di Santa Lucia ci passano davanti in quattro sul motorino e ci chiedono di salvare Napoli. Tutti e quattro.

Capisci che qualcosa non ha funzionato: che da Palazzo Giacomo l'impulso non arrivava più e da tempo. L'hai scritto centomila volte sul giornale e non dovresti stupirti. Ma come fai a non stupirti, ora che vedi l'altra faccia della situazione, con la gente che ti offre il voto in cambio di vivibilità? Dovevamo stare più attenti, noi giornalisti? Dovevamo fare di più, mi ripeto, mentre cammino sul terriccio della Zampaglione-Caselle, la discarica di Pianura che è una bomba a cielo aperto. Quello non è terriccio, è munnezza e c'è qualsiasi cosa lì sotto, mi dicono.

Per l'ottanta per cento la campagna elettorale è fatta di manifesti, Facebook, icomunicati stampa e promesse. Nessuno controlla quanto si spende, nessuno monitora: ma possibile che dei milioni d'anime belle che abbiamo in Italia, a Napoli soprattutto, nessuno si prende la briga? Su una scala da 1 a 10 io scommetto che la gente valuta assai il programma, assai la biografia del candidato a sindaco e le liste. Ma nessuno si preoccupa dei costi della campagna: un sindaco che spende tanto deve spiegare da dove vengono tutti quei soldi? È o no più ricattabile, se quei soldi glieli hanno regalati le "lobby"? Ci preoccupiamo delle strategie sociali sul web e invece dovremmo soltanto guardarci intorno: strade e vicoli tapezzati, a che costo (sociale, etico, politico?).

A questo pensavo quando sono salito su quella montagna di merda compressa, la discarica di Pianura. Ci hanno spiegato che c'è una inchiesta, che è tipo un disastro ambientale come quello del film su Erin Brockovich con Julia Roberts. Solo che lì i colpevoli li scoprivano. Noi invece ci interroghiamo su faldoni di perizie e inchieste.

È stato proprio allora che la radio dispettosa, ha trasmesso Sunshin Reggae.

 

Codesto solo oggi possiamo dirti: ciò che non siamo, ciò che non vogliamo

La campagna elettorale è un diesel scoppiettante. Entra nel vivo giorno dopo giorno e lo senti da come la tua vita viene assorbita dagli impegni, dagli orari impossibili, dalle cose da fare. Finisci per non riuscire nemmeno a riflettere sulle tante cose nuove che stai vedendo. Sto tenendo un diario. La mia agenda, invece, è ferocemente ironica: è quella che mi regalarono all'Ambasciata della Repubblica popolare Cinese. Approposito di primarie, insomma.

Per il resto questi giorni confermano l'andazzo: De Magistris cerca lo scontro come un rissoso fuori all'uscita del bar. Condividere la sua linea? Andare al muro contro muro? Mario Morcone non ce lo vedo, mentre sbava davanti ad una telecamera. Non si vede nemmeno lui così. E giustamente se uno odia il "circo equestre" della politica, perché dovrebbe emularlo? Solo perché candidato?

Gianni Lettieri invece adotta la tattica della non legittimazione dell'avversario. Insomma: ci chiamano entrambi per un confronto? Lui non va. Noi nemmeno, per ora: il confronto  è tale solo se lo fai con tutti i candidati. E poi l'uomo di Nicola Cosentino avrà anche qualcosa da spiegare ai napoletani, no? Lui invece non va, consigliato dal buon Claudio Velardi. Che sa bene, nelle dinamiche interne a sinistra, che c'è un De Magistris pronto a sparare sul Pd ogni volta. Dunque sindrome di Tafazzi e si chiude il cerchio.

Io dico: sarà così fino alla fine?

E poi, i soldi. Vedo una fiumana di denaro nelle campagne di posizionamento degli avversari. Lo capisco dalla massa di manifesti in tutta la città. Addirittura Lettieri ne ha in provincia di Caserta e di Salerno. Ma tutti questi soldi da dove escono?

Napoli, diario minimo elettorale

La grandezza di questo paese
non è più nelle piazze, non è nelle chiese
non è Roma di marmi fontane e potere
né Milano tradita da chi se la beve
non è Genova o Taranto signore del mare
non è Napoli e questo è perfino più grave
Daniele SilvestriQuesto Paese

L'ultima volta che ho avuto a che fare con la politica in senso stretto, sul simbolo c'era la falce e il martello. Mi avevano convocato ad un dibattito sulle guerre nei Balcani. Ci andai, c'erano tre persone fuori ad un balcone.

– E il dibattito?
– È chist, 'o dibattito. Vieni, pigliati na seggia, lo vuoi il caffè?

Praticamente scappai. Ho attraversato la fase negativa (tanto non cambia un cazzo); la fase  populista (tanto con voi non cambia un cazzo); la fase credulona (tutti sono delle merde tranne te). La politica poi l'ho ritrovata ovunque, facendo il giornalista. E ho avuto fortuna: Ottavio,  Paolo, Gigi, Gerry, Anto, Laura, i colleghi che con me  e tanti altri hanno condiviso le magiche vicende del Comune di Napoli erano e sono del tutto diversi da come sono io. Ho potuto dunque assimilare una regola che secondo me dovrebbero stampare su ogni manuale di giornalismo: tieniti le tue idee ma non fare mai "il tifoso". Perché l'autorevolezza di un giornalista sta nella sua storia. Se sbagli una volta nemici (e amici) te la faranno ricordare a lungo.

Quando sono arrivate le elezioni Amministrative mi sono proprio arrabbiato con un centrosinistra incapace di esprimere nelle primarie un candidato (anzi, incapace proprio di fare le primarie senza suscitar rivolte). Poi sono passato agli sfottò per l'attuale candidato del Partito Democratico a sindaco di Napoli, Mario Morcone. E questa è stata la prima cosa che gli ho detto, quando, qualche giorno fa, l'ho incontrato.

Beh, non sembrava granché colpito a dire il vero. Si vede che non è permaloso.
Poi ne parlo, di Mario. Voglio finire di parlare di me.

Giornalisticamente.net, questo blog  ce l'ho da sei anni. Scrivo però su un blog da circa una decina d'anni. È una cosa che sento parte di me: ho condiviso più o meno tutto quello che mi è capitato, su queste pagine. Ebbene, stavolta la novità è: succede che faccio parte della squadra comunicazione del candidato a sindaco di Napoli di (per ora) Pd e Sel. Non mi sono scelto l'Armada Invencible. Dall'altra parte Gianni Lettieri ha reclutato mezzo mondo (Claudio Velardi in primis) e ha la corazzata Berlusconi dalla sua; Luigi De Magistris invece è dal 2009 in campagna elettorale permanente. Noi giochiamo di corsa e – speriamo – di fantasia.

Parliamo del lavoro.
I collaboratori storici di Mario Morcone si rivolgono a lui con un misto di ammirazione e rispetto chiamandolo in un solo modo: capo. Il capo ha detto/fatto/chiesto eccetera. Il capo si rivolge a tutti nello stesso modo: gentile e deciso. Non dev'essere stato facile lavorare in contesti come quelli dell'immigrazione o all'Agenzia nazionale beni confiscati dove togli alle mafie l'unica cosa che interessa: il patrimonio, i soldi.

Aprire il comitato elettorale a piazza del Gesù è stato come shakerare vite, professionalità, storie, idee: ci sono i giovanissimi appassionati di politica; quelli che vogliono capire come funziona il cuore della "macchina del consenso" (seh vabbè); quelli che conoscono la liturgia  della campagna elettorale e quelli che invece (è il mio caso) cercano di guardare, annotare, capire e soprattutto far conoscere. Perché io sono convinto di una cosa: al di là delle idee dei copywriter, degli spot, dei social e dei siti, a Napoli per sollecitare un centrosinistra già pronto al peggio, intorpidito dal berlusconismo che vorrebbe con aggressività sfruttare il solito effetto bandwagon (abbiamo già vinto!) e di contro spaventato da chi con scenari apocalittici fa passare il messaggio «vota me o sarà l'inferno» o usa verbi tipo «massacrare» riferiti all'avversario politico, occorre proporre l'alternativa possibile. L'unica: camminare, girare in lungo e largo, allo sfinimento. Ma senza megafoni. È un lavoro estenuante ma vale il doppio.

Alternativa possibile sia chiaro, non significa turarsi il naso né lasciare immutato quel che invece dovrà cambiare e alla svelta. Significa tentare di semplificare il più possibile un concetto: siamo nella condizione di scrivere quel che sarà della Napoli futura, ma le regole non possono essere più quelle di quindici, vent'anni fa. Vabbè, non voglio far mica propaganda 🙂

Un passo indietro: i partiti. Com'è la storia? L'apparato? L'establishment? Sono stato al Pd della Campania e mi aspettavo di trovare decine di rossi funzionari col colbacco nel cassetto sinistro della scrivania, vecchie immagini di Togliatti e muri ingialliti dal fumo. Macché: di funzionario ce n'è uno, anzi una, è una signora simpatica e intelligente. E c'è un boccione con l'acqua fresca. Però ho visto tanti ragazzi al lavoro. Lo ribadisco perché il concetto che sta passando in Italia (a Napoli soprattutto) è il seguente: se ti mischi con la politica sei parte della casta.  Pure se lo fai per capire, per mettere a disposizione una professionalità o per dare "un contributo". Dove sta scritto che preoccuparci di noi è una vergogna? Disse il povero Don Lorenzo Milani, oggi tirato per la tonaca da chiunque: «Sortire da soli dei problemi è l'avarizia. Sortire insieme è la politica».

E vabbè, si conclude qui la prima pagina di questo diario elettorale minimo: dopo anni passati a seguire Palazzo San Giacomo, cade  ai miei occhi anche l'ultimo drappo sulla politica napoletana. Fatemi compagnia: vediamo che succede.