E io ti seguo. A Fortapàsc

Ho visto “E io ti seguo” e “Fortapàsc” a distanza di pochi giorni l’uno dall’altro. Però prima di iniziare a parlarne, vorrei soffermarmi sulle locandine. Quella del film di Maurizio Fiume ha un inciso, che il Giancarlo Siani del suo film ripete ad un collega: «Io non voglio conoscere la verità, ma mi piacerebbe poterla scrivere». Una frase paradossale (come si può scrivere senza conoscere? È forse un accenno alla scrittura inconsapevole di fatti che portarono Siani alla morte?); una frase che però mette la scrittura al centro di tutto.  È su sfondo rosso, il Siani di “E io ti seguo” sembra una icona di Che Guevara.
La locandina del film di Marco Risi è invece diversa in tutto e per tutto. Colori di guerra – dominano i toni “militari” – e il Siani di Fortapàsc è raffigurato con la bocca  cancellata. Questa cosa mi ha molto colpito. È davvero il simbolo-bocca che con un omicidio, la camorra ha voluto cancellare. Quello che diceva, non quello che scriveva? Facile a dire “era la cosa più d’impatto”. Eh no, secondo me c’è tutta una idea.

Si potrebbe scrivere a lungo della mancata distribuzione del film di Fiume e dei problemi di finanziamento di quello di Risi; fatto sta che l’uscita di quest’ultimo ha determinato – almeno a Napoli, grazie ad un mensile,  Chiaia Magazine, che l’ha allegato all’uscita di marzo – il rilancio del primo lungometraggio sulla vita e sulla morte di Giancarlo Siani. Sono andato a vedere “Fortapàsc” col pregiudizio di chi vedeva dietro una operazione commerciale e dei “professionisti dell’antimafia”. Mi dispiace dirlo, ma questo pensavo, ora penso semplicemente che va visto, che è una pellicola assolutamente degna di esser vista. Così come bisogna però vedere “E io ti seguo”.
“Fortapàsc” restituisce una immagine sceneggiata, romanzata (il tuffo nudi dallo scoglio, certi dialoghi improbabili col capo della redazione del Mattino a  Torre Annunziata) che, associata ad una colonna sonora degna del Risi “re” degli anni Ottanta, imprimono ben bene l’immagine romantica del giovane giornalista indomito. Quello che va a bussare alla porta del villone del sindaco o che trova sotto il garage di via Morelli il pretore che gli da’ i documenti – una scena che è un chiaro omaggio a “Tutti gli uomini del presidente” -.
Napoli è ricostruita bene, però secondo me il film s’incarta quando deve spiegare cos’è successo a Giancarlo Siani. Il passaggio da Torre a Napoli e le settimane che precedettero la morte del giovane giornalista napoletano sono spiegate col timore di chi aveva paura  di toccare i tanti punti oscuri di quella vicenda (il libro-dossier di Siani;  l’agenda sparita; il ricorso ad un agente di polizia per chiedere protezione; l’ombra di strani movimenti ne “Il Mattino” di quegli anni). Manca totalmente il dopo omicidio, nel film di Risi. Cos’è successo immediatamente dopo l’omicidio ovvero la battaglia per far aprire il giornale con la notizia dell’agguato. Una vicenda – quest’ultima, insieme a tante altre – magistralmente raccontata da Antonio Franchini nel libro “L’Abusivo” edito da Marsilio e recentemente ristampato in edizione economica (peccato che con la fascetta “a questo  libro è ispirato “Fortapàsc”: in realtà “L’Abusivo” ha ispirato molto più il lavoro di Fiume). Insomma, “Fortapàsc” sembra un poco  come quei film americani che raccontano la vita di una principessa mantenendo le cose salienti ma lavorando di sottrazione. E di somiglianze: ci sono  almeno 4 attori già visti in “Gomorra” di Matteo Garrone (più il direttore della fotografia).
Però la scena finale –  totalmente inventata ma estremamente simbolica – vale da sola il prezzo del biglietto.

L’uscita di “E io ti seguo” penso sia stata l’ultima occasione in cui la consulta del sindacato dei giornalisti della Campania si sia riunita per parlare di qualcosa. E infatti si riunì per sconfessare la ricostruzione del film, assolutamente malvisto dal Mattino e dalla famiglia di Siani. In verità tutto quello che esce dal film di Maurizio Fiume, scaturisce dagli atti giudiziari – almeno a quanto mi è parso -. Dunque non capisco il perché di quest’atteggiamento, ma proprio perché non mi sono note le ragioni profonde, lo rispetto. Per me il pregio del lavoro di Fiume è stato quello di andare più a fondo sul versante della ricostruzione, non mettendo un velo sul contesto, sui documenti – le lettere di Siani ad una amica, le deposizioni dei pentiti -. Detto questo, è innegabile che il costo di produzione dei due film (5 milioniè costato quello di Risi, meno di un decimo di quello di Maurizio Fiume) traccia un solco enorme sugli attori, sulle location, sulle riprese. Però Fiume anche se è più “lento” riesce a non essere eccessivamente pesante o narrativo, lascia spazio alle immagini.
Io sono stato contento di averli visti entrambi a distanza ravvicinata, sul fronte narrativo mi sono sembrati l’uno il complementare dell’altro. Vi invito a fare altrettanto.