Apprendere dell’esistenza di un vero e proprio gruppo anti-sushi sulle belle pagine Food&Wine de l’Espresso, con tanto di manifesto “w il pesce cotto” di quel grande che è Gianni Mura è un conto; leggerlo dopo una cena a base di sushi e Chirashi-zushi non ha prezzo, per dirla col noto slogan pubblicitario.
Non sono un esperto, al massimo potrei definirmi un mangione di sushi. L’Espresso food&wine mette avanti il pericolo di questo parassita micidiale, l’anisakis. Vederlo fa schifo, pensare solamente che possa finire in corpo uccide ogni slancio gastronomico. Troppo semplicistico, però.
Mura, non è vero che «in Italia i fiori del mare si sono mangiati da sempre cotti, o almeno marinati»: a Napoli negli anni ne ho vista di gente che mangiava pesce crudo (che non preferisco, sia chiaro) molto tempo prima che moda del sushi dilagasse. Altra cosa importante: questo temibile parassita – come in un altro pezzo è correttamente scritto – crepa anche tenendo i tranci di pesce per un giorno a -20 gradi centigradi (o per un quarto d’ora a -60° C) grazie ad un abbattitore, macchinetta del freddo d’obbligo in ogni sushi bar o ristorante giapponese il cui proprietario voglia restare aperto per più di due giorni. E poi, diciamocela tutta, la schifezza la mangi molto spesso anche ben cotta e pagandola a peso d’oro: pensiamo a tutta quella carne tenuta male, ai formaggi marciti e serviti, ai prodotti abilmente falsificati. Perché dimostrare paura solo verso il sushi, apprezzato in tutto il mondo?
Dunque, caro, grande, Mura, non si tratta nè di resistere a mode nipponiche nè tanto meno dei vantaggi di mangiare “all’italiana”: chi ti serve il pesce col vermicello parassita (così’ come la bistecca avariata o il formaggio ammuffito o il vino al metanolo) è un delinquente. E basta.