Se l’editore non sa comunicare: la campagna Fieg sulla lettura

«Chi legge, si vede» dice la campagna della Fieg, cioè la Federazione degli Editori. E la pubblicità dovrebbe far capire che leggere (quotidiani e periodici) è un vantaggio. Lo è mica per la cultura, perché così si è migliori e si capisce più di ciò che hai intorno. Lo è perché si ha la battuta pronta con le amichette o in ufficio. Lo dicono i due soggetti che Fieg utilizzerà per le sue campagne. «Il miglior modo per non rimanere senza parole». E gli argomenti sono cuciti letteralmente addosso ai protagonisti della campagna, una sorta di tag cloud umana. Andando ad ingrandirli, si vede che c’è di tutto. La donna ha: danza, jeans, moda, tatuaggi, coiffeur, mare, uomini, polizia (?), pianobar. L’uomo: pesca d’altura,  calcetto, mostre, Borsa, touchsceen, pizza (?), fisico, sauna, foto.

Insomma argomenti fondamentali per l’acquisto di un quotidiano o un settimanale. Politica, sociale, welfare, fisco, medicina magari un’altra volta che intristiscono tanto. Scrive nel suo lancio la Fieg:

«Realizzata con la collaborazione creativa dell’Agenzia TBWA Italia – la stessa che ha curato la precedente attività di comunicazione della Fieg rivolta agli investitori pubblicitari, tuttora visibile su parte della stampa periodica – la campagna sottolinea come leggere i giornali “faccia la differenza” in termini di ampliamento e approfondimento delle proprie conoscenze, di scoperta di cose nuove, di costruzione di una coscienza critica, di aumento di consapevolezza: chi legge i giornali, quotidiani e periodici, raramente resta “senza parole”, ma, al contrario, sa cosa e come dirlo».

Se così devo essere rappresentato, da lettore, questo punto, preferisco il non-lettore ritratto in mutande con un eloquente “boh”.

Io ho più amici di te: la Brunettiade in Rete. Comunicazione istituzionale o politica?

Renato Brunetta, ministro all’Innovazione e Pubblica amministrazione, mette sul sito del dicastero una sorta di rendiconto annuale  della comunicazione del suo ministero. E qui sta il  punto. Finquando c’è l’elenco degli articoli di giornale che gli hanno dedicato, degli interventi scritti e delle lettere spedite ai giornali è un conto. Ma la conta delle “citazioni” su Google, o peggio ancora, gli amici nella fanpage su Facebook (con tanto di classifica  di chi ne ha di più) cosa rappresenta? Comunicazione istituzionale o comunicazione politica?
La differenza sta che la prima la pagano i cittadini (per essere informati su vicende che riguardano il funzionamento dell’Ente) la seconda se la dovrebbe pagare il politico, visto che giova alla sua persona e basta. Insomma, è  il vecchio dilemma che spesso si verifica anche coi blog istituzionali.