Alla fine le search stories di Google possono raccontare, o almeno suggerire, la vita professionale di qualcuno. Quantomeno le fasi salienti. Insomma, una sorta di curriculum. Il mio, per esempio.
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Eran giovani e forti alla Provincia di Napoli
Il (mio) discorso di fine anno
No, non è quello di quel tizio su quel Colle romano, roba antica, superata.
Con Norberto Gallo e Francesco Bassini di Napolionline.org la mattina di San Silvestro mi sono immodestamente prodotto in una lunga videointervista su due argomenti che in questo scorcio di fine 2009 hanno tenuto banco: il fallimento politico e amministrativo delle Municipalità di Napoli e la questione della web-tv voluta da Palazzo San Giacomo. Ringrazio entrambi (più Francesco Iacotucci of course) per aver sopportato i miei sproloqui.
Camorra, andare alla fonte
Questo accadeva nel 2005, prima che venisse ripreso da qualche altra parte (pag. 213).
Negli ultimi anni i cronisti napoletani sono stati zitti, quasi intimiditi. Dire «io l’avevo già scritto» oggi equivale ad essere invidioso o geloso dello straordinario successo altrui.
Andiamo oltre: c’è un bel posto in pieno centro, a Napoli: si chiama Emeroteca Tucci. Lì sono raccolti i giornali di anni e anni. Basta andarci e consultare i faldoni.
Ci dovrebbe andare soprattutto a chi – fortunatamente ce ne sono tanti – si interessa di camorra, ne scrive sui blog, sui giornali più o meno noti e diffusi; ne parla in giro, scrive libri. La ricerca storica e bibliografica serve a sfatare miti. Uno su tutti: di camorra si parla da sempre. Nessuno può arrogarsi il diritto di fare il capostipite della sofferenza, il portabandiera dell’anticamorra nel giornalismo. Viceversa tutti abbiamo il dovere di fare la nostra parte, con umiltà e sobrietà. Anche quando si è più esposti e sarebbe più facile parlare. Io la vedo così: un servizio al lettore, non sciabolate contro l’aria.
«E po se faccio ‘e corna, nun è pe cattiveria, è che ce l’aggio a morte cu chi sfrutta ‘a miseria». Pino Daniele – Sciò live
Il regalo di Giancarlo
Napoli, 19 settembre 1959 – Napoli, 23 settembre 1985
«Della mia generazione ho potuto conoscere migliaia di persone perché per un bel po’ di anni quella gioventù, è uscita di casa e ha occupato vita e strada di questo Paese. Ha perlustrato in lungo e in largo la società che aveva intorno e ha potuto conoscere la società che lei stessa già costruiva. Se non ho amici tra i compagni di scuola, ne ho avuti in cambio migliaia dopo. Quindi non è per combinazione che ho conosciuto Giancarlo Siani, ma per l’immediata spinta a riconoscervi che avevano quelli che sono stati giovani negli anni ’70».
Erri De Luca, “Il cronista scalzo” 1996
L’anno scorso, per chiudere un cerchio che mi aveva portato da un nuovo lavoro alla cassa integrazione, mi fermai mezz’ora così, in piazza Leonardo al Vomero, dove uccisero Giancarlo Siani. Senza velleità d’alcun tipo. Solo per fissare bene nella memoria una piazza che fino ad allora avevo sempre percorso di sfuggita.
Nacque lì l’epilogo di un libretto sul giornalismo ai tempi del telelavoro che immeritatamente vinse proprio il “premio Siani” e che stranamente in dodici mesi non ho avuto il tempo di far pubblicare, pur nonostante qualche lusinghiero – e ancora stavolta immeritato – interessamento. Con quello che è successo nei mesi a venire penso che ora potrei aggiungere un capitolo. O addirittura riscriverlo del tutto.
Eppure, anche quest’anno, in un mese abbastanza complesso, l’unica bella notizia è arrivata proprio quel 23 settembre, quella data così cupa, il giorno che ammazzarono Giancarlo.
Poi giorni passati immerso in un acquario e ieri, come spesso accade nella vita, è stata una cosa piccola piccola a ridestarmi da questa specie di trance.
In redazione (quella centrale a Cagliari) è arrivato un fax: è di una ragazza napoletana di 18 anni i cui genitori lavorano entrambi in Alitalia. Lei ha pensato che era giusto prendere carta e penna e sintetizzare quello che papà e mamma forse dicono arrabbiati davanti ad una televisione, mentre guardano i loro colleghi in piazza o i soliti programmi di approfondimento sul caso.
Nel fax c’è scritto: «tra l’altro sono un’aspirante giornalista e ho sentito il bisogno di scrivere la mia». Il titolo dell’articolo è “Il futuro dei giovani nelle mani dei lavoratori Alitalia”.
E ho pensato che nient’altro è il senso di questo mestiere. È la 18enne liceale, arrabbiata, che dice di aver sentito “il bisogno” di scrivere. È Raffaella – notoriamente timidissima – che prendendo la menzione assegnata quest’anno a “Santa Precaria” ha detto al direttore del “Mattino” Mario Orfeo, in una sala strapiena: bello qui in redazione, oh quasi quasi ci resto, perché non mi assumete? È la cocciutaggine di Arnaldo Capezzuto che si prende sputi, minacce e schiaffoni da quegli imbecilli razzisti che a Pianura vogliono cacciar via da un palazzo un gruppo di immigrati (mentre io al telefono cerco disperatamente come sempre di scongiurare la sua morte…); è Peppe Porzio che dimostra cosa signfica rimettersi in gioco da professionista vero e riparte dai vicoli del rione Sanità .
È la limpidezza di Ottavio Lucarelli, il nostro presidente dell’Ordine dei giornalisti che in tivvù ha abbattuto un allucinante tabù (o forse eccessivo pudore?) appartenuto a dire il vero più ai giornalisti della vecchia generazione: non ammettere chiaramente che Giancarlo Siani, il giornalista modello, il talentuoso cronista, il simbolo anticamorra, quella sera di settembre, quand’è stato ammazzato al Vomero su quella strana macchina, poco dopo aver compiuto ventisei anni, era un collega precario.