Fenomenologia di Roberto Saviano

Fino ad oggi sapevo che la calunnia era un venticello. Ma francamente, che lo fosse pure la minaccia no, non lo sapevo. E invece, c’è sempre da imparare: la minaccia di morte è un venticello. Oggi è su un giornale, rivelazione presunta di un pentito. Domani non c’è più: il pentito – che ieri era attendibile – ora dice che di minacce non sa una cippa. E diventa meno attendibile di ieri, forse ha paura. Certo. L’ex killer nonché galeotto, ha paura.

Oh, ma che vi credete.
Mi è simpatico, ‘obberto. Non è amico mio su Facebook perché non me l’ha mai chiesto e io sono timido (mySpace non ce l’ho). Ma se io vedessi in strada, Saviano, non farei come l’altra volta alla Fnac che pensai solo “ma cazzo è l’unico in Europa che compra ancora i cd”. Ma non te li scarichi gli mp3, Robbè?

Comunque, io lo porterei a mangiare da Nennella ai Quartieri o dalle Figliole a Forcella. La scorta?  Macchè; sta con me, che vuoi che gli succeda? Al massimo si mette una parrucca e dico che è il cugino di Mimmo Dany. E se poi si muore, muoriamo entrambi da buoni amici, una magnata val bene un agguato. Gli porterei pure una donna, una mia vecchia conoscenza esperta di lingue romanze che stravede per lui.
Se lui vuole, tengo pure la casa: ci sta il vecchio di fronte che vuole  cedere la nuda proprietà e non gliene frega un cavolo di chi compra, tanto vuole dare i soldi al nipote che deve comprarsi il posto di lavoro in una cooperativa sociale. Però Robè, di fronte a me – io abito al rione Sanità – ci abita il “cane lupo”. È un bambino che la mattina alle  7 fa UUUUUUUUUUUUUH, UUUUUUUUUUUUUUUUUH. Che vuo’ fa?

Io te lo dico, Robè. Non pigliarti collera. Ma te lo ricordi Massimo Troisi? «Robbertì, scinne, tuocc ‘e femmene, va a rubbà…». Tu, se resti qui ti fanno andare al manicomio, ‘obbè.  Nientedimeno per scriverlo mezza volta Annalena Benini sul Foglio che sarebbe carino vederti cu ‘na brava guagliona, s’è scatenato un putiferio.
Sì, vabbè ho capito, Sandokan, Zagaria, Iovine e tutto. Hai ragione tu è una battaglia sacrosanta e io ti porto in un palmo di mano, sei la corona della mia testa, sei la crema dell’umanità.

Del resto, mi sono spugnato 16 euro per Gomorra che è un mattone. Io parlo ‘nfaccia: l’ho comprato nonostante quelle cose le avessi già lette dagli atti della magistratura, dai libri di bravi colleghi come Gigi Di Fiore, Simone Di Meo, Bruno De Stefano, dai pezzi di Rosaria Capacchione. E dagli articoli di decine di giornalisti piccoli piccoli come me che se mi togli le domeniche lo stipendio non m’arriva a 2mila euro.
E m’hanno pure querelato, mannaggia la maronna, Robbè.

Nientedimeno t’hanno fatto pure la statuina del presepe. Non è bella, eh. Pari Rocky Balboa quando ha appena abbuscato (approposito, ma vuoi fare il pugile? Vieni alla palestra di Giggino Pescevolante che sta nel garage, non paghi niente, Robè, però quando vai da Mentana gli fai un poco di pubblicità).
E pensare che io quello ti volevo dire, Robè: scendi da quel cazzo di presepe, prendi il tuo libro e va vattenn un paio di mesi alle Maldive. Poi torni e dici: sapete quello che vi dico? Mi riprendo la mia vita, caro Editore, caro Produttore e caro Direttore del Giornale e della Televisione.

Anche perché, caro Roberto, se vivere sotto camorra significa non vivere e se non vivere significa non godere la luce, l’aria, il silenzio e l’ammuina, la gente e il confronto con la gente, a te t’hanno già sotterrato (e non è solo colpa della malavita): ucciso da minacce ma anche dal frettoloso tentativo politico e sociale di scaricare coscienze, massacrato dai lanci d’agenzia in solidarietà, dalle mobilitazioni virtuali, da certe articolesse, ammazzato come lo furono un sindacalista, un poliziotto, un prete anti-camorra.