È la pioggia che sfugge agli ombrelli, tocca in faccia identica a quando, in estate, i raggi di sole bruciano e sembrano tatuare la pelle; non è Lisbona con la pioggia obliqua di Pessoa, nè la light rain londinese.
Non è il nuvolone che da Lungotevere all’autostrada di Tel Aviv mi seguiì per far compagnia, insegnandomi che viaggiare poco significa poter tramutare ogni particolare in fenomenale coincidenza.
Pioggia napoletana, rassegnata: tira quel poco di vento; bisogna bagnarsi e accettarlo, come si accetta la precaria esistenza dell’acqua nelle pieghe dei pantaloni, sulla punta delle scarpe.