A diciotto anni si vota, non si è particolarmente maturi. Si hanno idoli, miti e si dovrebbero avere punti di riferimento. In diciotto anni se t’han tirato su male si vedono già gli effetti; si capisce se sarai incendiario o pompiere (sei l’uno in giovinezza e forse sarai l’altro in vecchiaia).
Officina 99 compie diciott’anni ed è una storia da raccontare.
è nato / n’atu centro sociale occupato cantava Luca Zulù Persico; io nel 1991 avevo giusto 14 anni; guardavo con la coda dell’occhio gli studenti che scendevano in corteo con la “Pantera”. Li avrei ritrovati poco più tardi, ma non a scuola.
Fu Faccenda Elio (Elio si faceva chiamare dagli amici ma sul registro di classe era Elpidio) a spiegarmi in puro dialetto di Grumo Nevano perché era importante conoscere a memoria “Curre curre guagliò“. Siccome sulla mitica bancarella di via Foria non trovavo la cassetta pezzotta “mixed by Erry” dovetti aspettare lui che mi registrava una Tdk 60 con i pezzi migliori di questi “99 posse”. Incominciai a leggere II Manifesto: quando un giorno mio padre andò a comprarlo, l’edicolante si incazzò: “Dincell, a figlet che questi so’ e giurnal re terroristi” (diglielo a tuo figlio che questi sono i giornali dei terroristi).
Nel frattempo era passata l’epoca di Faccenda Elpidio detto Elio; guardavo Rai Tre – Telekabul con “Avanzi” e i Novenove cantavano “‘e camurriste votano Psi/ ’e sicchie ’e lota votano Msi“. All’epoca qualche manifestazione l’avevo iniziata a seguire pure io, ero “quello che capiva di politica”. E all’istituto tecnico industriale statale “Enrico Fermi” l’assistente di laboratorio, un simpatico fascistone che faceva un ottimo caffè nel laboratorio di Chimica Analitica I continuava a dirmi che in Tangentopoli a Napoli c’era pure il Pci e che l’avrei scoperto presto, molto presto. E vabbè, intanto occupavamo la scuola nel rione Siberia e io tenevo in mente “‘o documento”. Però quando bussò la Digos al portone pensai che magari potevo evitare di mandarli a quel paese a suon di rap. Ci andai anche, ad un concerto dei novantanove con i Bisca, altro storico gruppo napoletano. Mostra d’Oltremare, “Futuro remoto”: mi intrufolai un paio d’ore prima mangiando alla mensa allestita nei padiglioni. Uno sballo prima e dopo.
Ma ho parlato solo dei 99, non di Officina che è ben di più. Per una serie di ragioni logistiche ho sempre più seguito le attività dello Ska, il laboratorio occupato che sta poco distante piazza del Gesù, costola centrale del Csoa di periferia. Però, Officina 99 l’ho scoperta per davvero soltanto da giornalista. Mai stato attivista: per timidezza sociale e ideologica, per un limite che ho ancor oggi, non essendo stato mai capace di aderire organicamente ad un movimento, ad una idea o azione politica. Troppo scettico sono, troppo pieno di domande per accettare le verità e le contraddizioni calate dall’alto (o dal basso). Ma ne potrei raccontare di cortei, di proteste, di presidi; fui il primo a scrivere che il centro sociale di via Carlo di Tocco sarebbe stato acquistato dal Comune di Napoli facendo involontariamente – mi avrebbero detto poi – un enorme piacere a chi in giunta comunale premeva per acquistare quell’immobile su cui pendeva uno sfratto per occupazione abusiva. Le giornate del “Global Forum” laboratorio delle violenze che rappresentarono il G8 di Genova; ho ancora le foto conservate. Fortunatamente non conservo niente dei calci in culo che presi per il tratto che dal Maschio Angioino porta al Municipio di Napoli, da un signore in tenuta antisommossa.
Per il resto Officina 99, intesa come movimento ha rappresentato un presidio serio e concreto del “pensare diverso”. L’opensource, scrittori, film-maker e giornalisti alternativi.
Non sempre ha rappresentato il “fare diverso”, tuttavia: ne ho visti di assidui frequentatori del centro sociale scalare poi velocemente le vette del potere bassoliniano, piazzati nei centri di formazione professionale,nelle università, nei punti nevralgici. Ma tant’è: a diciott’anni si vede se sei hai qualcosa che non va, ma c’è ancora tempo per cambiare.